Art. 2359 c.c.
36 risultati
Diritto di controllo del socio di s.r.l. sulla società controllata: perimetro e limiti
Il socio di s.r.l. non può esercitare il diritto conoscitivo di cui all’art. 2476, co. 2, c.c. se non nei confronti della società cui direttamente partecipa, alla quale sola può rivolgere le sue richieste, dunque non può ravvisarsi un diritto del socio della partecipante alla ispezione materiale diretta (accesso) presso la partecipata di questa. Tuttavia, le concrete attività di gestione della controllante, sulla quale il socio ha diritto di sorveglianza ex art. 2476, co. 2, c.c., includono lo svolgimento di attività che si riverberano e si correlano con quelle della controllata (e ciò ancor più quando vi è un rapporto di direzione e coordinamento), sì che anche il diritto di sorveglianza ex art. 2476, co. 2, c.c. del socio della controllante necessariamente si amplia e, quanto alla documentazione, si estende a quella ragionevolmente necessaria ovvero in concreto esaminata/utilizzata per l’esercizio delle proprie funzioni dall’organo amministrativo della società soggetta al potere di ispezione e conseguentemente da reputarsi nella materiale disponibilità giuridica della stessa, nella necessaria coincidenza fra poteri di gestione e poteri di controllo di una società di capitali.
I soci titolari di diritti particolari non hanno diritto a conoscere tutta la documentazione della controllata, avendo essi diritto a conoscere solo quella funzionale all’esercizio dei loro diritti e al controllo della gestione della controllante di cui sono soci, quindi entro i limiti in cui per l’esercizio della propria gestione la controllante disponga/debba disporre di documenti della controllata.
Il controllo sugli affari della controllata da parte del socio di s.r.l. con diritti particolari
L’art. 2476, co. 2, c.c. riconosce ai soci di s.r.l. che non partecipano all’amministrazione il diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione della società. Detta disposizione riconosce ai soci un diritto potestativo di controllo, attuabile nelle forme del pieno accesso all’intera documentazione sociale, a prescindere dalla entità della partecipazione al capitale sociale, il cui esercizio non è subordinato alla ricorrenza di esigenze e di interessi particolari e rispetto al quale il soggetto passivo si trova in situazione di soggezione ovvero nella situazione di dover soggiacere alla richiesta di accesso formulata dal socio, il quale non è neppure tenuto ad indicare i motivi per i quali l’esercizio della potestà in questione venga fatta valere.
I soci di s.r.l. cui lo statuto attribuisca il diritto particolare di nominare gli amministratori di una società controllata, nonché di approvazione delle relative decisioni a contenuto gestorio e di quelle di modifica dello statuto, hanno diritto a ottenere le informazioni relative alla controllata funzionali all’esercizio di tali diritti amministrativi.
Sotto il profilo del periculum in mora, il ritardo nell’esercizio del diritto di accesso alla documentazione sociale del socio non amministratore di s.r.l. determina la lesione del relativo diritto di controllo; lesione che, se non venisse sanata con provvedimento immediato, attendendosi l’esito di un eventuale giudizio di merito, sarebbe destinata a perpetrarsi, con estrema difficoltà di tutela per equivalenti, considerata la natura non patrimoniale del diritto azionato ai sensi dell’art. 2476, co. 2, c.c. Il requisito del periculum in mora è, pertanto, di per sé connaturato all’esigenza di controllo del socio rispetto alla concreta evoluzione delle vicende sociali, esigenza che sarebbe inevitabilmente frustrata dai tempi del giudizio ordinario.
Revoca dell’amministratore per violazione di una norma ordinamentale interna alla holding
Presunzione dell’esercizio di direzione e coordinamento e impugnativa di bilancio per omessa indicazione della stessa
L’art 2497 sexies c.c. pone una presunzione non assoluta ma relativa, iuris tantum, tale per cui, pur in presenza dell’elemento da cui si trae la presunzione (la posizione di controllo in assemblea o la particolare posizione contrattuale) è ammessa la prova contraria. La prova contraria dovrà essere fornita da colui la cui posizione è attinta dalla presunzione. La presunzione di esercizio di attività di direzione e coordinamento che si fonda sul controllo assembleare ex art 2359, n. 1, c.c. si caratterizza per porre in correlazione la situazione statica del controllo in assemblea con l’esercizio dinamico dell’attività di direzione e coordinamento nella eterodiretta. Può dirsi che l’attività di direzione e coordinamento, in sé legittima, sia esercizio del controllo a livello gestorio. Controllo assembleare e attività di direzione e coordinamento sono due situazioni differenti, la presunzione legale ex art 2497 sexies c.c. fa discendere dalla prima situazione la prova della seconda, ma non consente di ricondurre ad uno le due.
L’obbligo di verità gravante sulla società in sede di redazione del bilancio di esercizio non risulta pienamente compatibile con l’interpretazione e applicazione de plano della presunzione ex art 2497 sexies c.c. Il principio di verità del bilancio e il principio di effettività dell’attività di direzione e coordinamento non possono quindi andare disgiunti: rigorosamente vanno valutati tutti gli elementi in atti al fine di accertare se il controllo oltre che esercitato in assemblea si è inverato anche nella fase dinamica gestoria. La presunzione ex art. 2497 sexies c.c. con riferimento agli obblighi di informazione (contenuto del bilancio) si atteggia diversamente rispetto alle ipotesi di responsabilità gestoria invocate verso la controllante holding perché, mentre in queste ultime la presunzione di direzione e coordinamento discendente dal dato noto del controllo assembleare è sostenuta da uno o più atti gestori che si assumono compiuti su indicazione, volontà della controllante, nel caso di violazione agli obblighi informativi contabili a fronte della presunzione si ha la denuncia di una omissione. La parte che contesta il rapporto di direzione e coordinamento è onerata della prova positiva contraria, cioè la prova di quei fatti che portano a escludere in concreto l’esercizio di attività di direzione e coordinamento. La prova contraria del fatto negativo può essere resa anche attraverso elementi presuntivi.
Responsabilità ex art. 2497, co. 2, c.c.: presupposti, natura e regime prescrizionale
L’attività di direzione e coordinamento, di per sé legittima, assume, ai sensi dell’art. 2497 c.c., i connotati dell’antigiuridicità quando sia esercitata da parte della società controllante nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta alla sua direzione/coordinamento, e in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa. Il secondo comma della norma prevede, inoltre, una responsabilità solidale in capo a chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, a chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.
La predetta disposizione normativa e, in particolare, quella di cui al secondo comma, prevede un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, inquadrata nello schema di cui all’art. 2043 c.c., riconducibile alla violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale dell’attività di direzione e coordinamento della società controllata da parte della controllante. Gli amministratori della società controllante rispondono in solido, in via aquiliana, per la lesione all’integrità del patrimonio della società controllata conseguente a condotte che costituiscono violazione dei suddetti principi o per aver concorso con gli amministratori della società controllata al depauperamento del suo patrimonio sociale.
Il mero esercizio dell’attività di direzione e coordinamento non comporta che la controllante possa essere chiamata a rispondere delle obbligazioni di una controllata nei confronti dei fornitori della stessa o dell’inadempimento delle medesime. In altri termini, non può configurarsi una responsabilità della capogruppo per obbligazioni fisiologicamente assunte dalla controllata e rimaste inadempiute nella normale dinamica dello svolgimento dell’attività d’impresa.
Con riguardo al computo del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, il dies a quo va individuato nel momento in cui il pregiudizio agli interessi sociali sia conoscibile da parte dei soci della società eterodiretta. Ne deriva che il decorso della prescrizione va ancorato non al momento in cui sono stati posti in essere i singoli atti attraverso cui si è realizzata l’illecita condotta di direzione e coordinamento, bensì valorizzando il frangente in cui il danno si è manifestato attraverso la completa evidenziazione dello scenario fattuale che ne costituiva la causa.
L’azione individuale del socio e del terzo richiede un danno diretto e non meramente riflesso
L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non implica automaticamente la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente ai sensi dell’art. 2395 c.c., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, richiede la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente.
L’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisce solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società; la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.
L’inattività dell’assemblea, la perdita del capitale sociale e l’inadempimento contrattuale posto in essere dall’amministratore non integrano, di per sé, i presupposti della disposizione, in quanto la prima inerisce al mero funzionamento degli organi sociali e non comporta necessariamente un danno alla società o al socio, mentre il capitale è un bene della società e non dei soci, i quali dalle perdite subiscono soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione di valore della propria partecipazione e, infine, il mancato rimborso della somma presa a mutuo dalla società può comportare la responsabilità dell’amministratore soltanto quando derivi da un illecito colposo o doloso dell’organo dell’inadempimento del mutuo.
Per potersi fondatamente esperire l’azione individuale ex art. 2395 c.c. è necessario che il danno patito non sia conseguente a un generale depauperamento del patrimonio sociale ma sia singolarmente apprezzato con riferimento al pregiudizio del singolo creditore.
Successivamente alla dichiarazione di fallimento della società, l’azione dei creditori sociali di cui all’art. 2476, co. 6, c.c. diviene azione di massa; essa, fino a che la procedura è in corso, è esercitabile esclusivamente dal curatore fallimentare e non dai singoli creditori (art. 2394 bis c.c.; 146 l.fall., 255, lett. b), c.c.i.i.).
Attività di direzione e coordinamento derivante da vincolo contrattuale e principio di effettività
In ordine al concetto di attività di direzione e coordinamento, la normativa di riferimento dà rilievo all’esercizio effettivo e attuale del potere gestorio da parte della società che esercita in modo continuativo la direzione nei confronti della controllata. Conseguentemente, in base a tale principio di effettività, ciò che assume rilievo è la situazione di fatto esistente al momento dell’inizio, dello svolgimento e della cessazione dell’attività del gruppo. Tale principio di effettività governa, a maggior ragione, la fattispecie del controllo contrattuale di cui all’art. 2359, co. 1, n. 3, c.c., in quanto la posizione di controllo nasce da vincoli negoziali particolari sia per il contenuto giuridico, sia per la determinata situazione di fatto in cui si inseriscono, quale ad esempio la dipendenza economica.
Responsabilità da direzione e coordinamento a carico del socio unico ente pubblico diverso dallo Stato
Ai sensi dell’art. 2497 sexies c.c. si presume, fino a prova contraria, che la holding svolga attività di direzione e coordinamento nei confronti delle società controllate se si verifica una ipotesi prevista ex art. 2359 c.c., fra le quali quella del comma 1, n. 1), in cui la controllante detiene la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (art. 2359, co. 1, n. 1, c.c. richiamato dall’art. 2497 sexies c.c.).
Non sussiste alcun dubbio in ordine all’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 2497 c.c. nel caso di società controllata da ente pubblico diverso dallo Stato. Vale richiamare sul punto la norma di interpretazione autentica dettata dall’art. 19 d.l. 78/2009, convertito in l. 102/2009, secondo cui l’art. 2497, co. 1, c.c. si interpreta nel senso che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria. Il riferimento alla finalità di natura economica o finanziaria rende evidente come, ai fini dell’applicazione dell’art. 2497 c.c., la partecipazione dell’ente pubblico possa essere detenuta non già solo per scopi lucrativi, ma anche per la realizzazione delle proprie finalità istituzionali, a condizione che la loro attuazione richieda lo svolgimento di attività economica realizzata attraverso la società partecipata. Pertanto, la norma di interpretazione autentica ne chiarisce l’applicabilità anche a quegli enti che, seppur per loro natura non possono qualificarsi come enti pubblici economici (certamente non possono definirsi enti pubblici economici Comuni, Province e Regioni), detengono partecipazioni societarie per svolgere una determinata attività con criteri di economicità.
Ove un comune sia socio unico di una società ed eserciti sulla stessa un controllo gestionale e finanziario stringente, esso esercita sulla stessa un controllo analogo a quello che svolge sui propri uffici interni; ne consegue che il requisito della direzione e coordinamento deve ritenersi in re ipsa, in quanto il controllo analogo determina l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento nell’interesse istituzionale dell’ente pubblico e non nell’interesse esclusivo della società controllata.
Qualora ad agire in giudizio ex art. 2497 c.c. sia il curatore del fallimento della società eterodiretta, non opera la condizione prevista dal terzo comma dell’articolo citato, secondo cui il socio e il creditore sociale possono agire contro chi ha esercitato direzione e coordinamento solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta all’attività di direzione e coordinamento. È evidente, infatti, che nessuna preventiva escussione è possibile nei confronti di società fallita.
L’art. 1304, co. 1, c.c. si riferisce unicamente alla transazione che abbia ad oggetto l’intero debito, e non la sola quota del debitore con cui è stipulata, poiché è la comunanza dell’oggetto della transazione che comporta, in deroga al principio secondo cui il contratto produce effetti solo tra le parti, la possibilità per il condebitore solidale di avvalersene pur non avendo partecipato alla sua stipulazione.
Ove la transazione stipulata tra il creditore e uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideate di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.
Attività di direzione e coordinamento: definizione della fattispecie e responsabilità
L’attività di coordinamento realizza un sistema di sinergie tra diverse società del gruppo nel quadro di una politica strategica complessiva, estesa all’insieme delle società, mentre l’attività di direzione individua una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa ossia sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali. In particolare, la direzione e il coordinamento richiedono una incidenza nella gestione dell’impresa, mentre le funzioni di audit e compliance imposte dalla controllante sulle controllate non sarebbero significative di per sé della eterodirezione (e così, ad esempio, la predisposizione di codici di comportamento, circolari relative all’assetto organizzativo, amministrativo o contabile). Non si esclude che possa esservi un esercizio concorrente nell’ambito dello stesso gruppo di attività di direzione e coordinamento laddove la subholding abbia il potere di determinare essa stessa i contenuti delle direttive ricevute dalla holding di vertice.
L’azione di responsabilità riconosciuta al socio ed al creditore della società eterodiretta è azione propria, diretta e non azionata in via surrogatoria rispetto all’azione sociale. Si tratta di un’azione volta alla riparazione di un danno comunque riflesso maturato in capo alla società: si tratta di ipotesi derogatoria rispetto alla regola del diritto societario comune per la quale il singolo socio che ha subito un danno riflesso non può agire in via individuale per reintegrare il proprio patrimonio personale, ma solo agire in via surrogatoria per la reintegrazione del patrimonio sociale. Nel caso dell’art. 2497 c.c., invece, il socio, pur avendo subito un danno riflesso, viene tutelato e gli è consentito chiedere il risarcimento del proprio danno, sulla base della considerazione che difficilmente la società eterodiretta, che partecipa dell’interesse di gruppo e che ne ha attuato le direttive, proporrebbe una azione risarcitoria nei confronti della capogruppo.
L’art. 2497, co. 3, c.c. non prevede una condizione di procedibilità costituita dalla preventiva infruttuosa escussione della eterodiretta, in quanto l’obbligo di risarcire i soci esterni danneggiati dall’abuso dell’attività di direzione e coordinamento è posto unicamente in capo alla società capogruppo. Tale norma, infatti, si limita a prevedere un’ipotesi meramente fattuale, al ricorrere della quale l’obbligo risarcitorio della controllante viene meno. È esclusa la responsabilità della capogruppo in tre casi, in cui un danno risarcibile non esiste più: (i) perché è mancante, alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento (art. 2497, co. 1, ultima parte, c.c.); (ii) perché è integralmente eliminato, anche a seguito di operazioni a ciò dirette (art. 2497, co. 1, ultima parte, c.c.); (iii) o perché è azzerato dalla stessa società controllata, che abbia soddisfatto la pretesa risarcitoria (art. 2497, co. 3, c.c.), secondo un meccanismo meramente fattuale.
Legittimato attivo all’esperimento dell’azione ex art. 2497 c.c. è anche il socio di maggioranza della società eterodiretta.
Responsabilità da attività di direzione e coordinamento: in particolare, la ripartizione dell’onere probatorio
La responsabilità da abuso di attività di direzione e coordinamento ha natura contrattuale e secondo i principi che regolano gli oneri di allegazione e di prova in ipotesi di responsabilità contrattuale l’attore deve provare: (i) l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento (titolo); (ii) il danno (pregiudizio arrecato al valore o alla redditività della partecipazione, pregiudizio all’integrità del patrimonio); (iii) il nesso causale tra attività di direzione e coordinamento e danno. L’attore è, invece, esentato dalla prova dell’illiceità dell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento e la società convenuta-controllante deve provare che il danno deriva da causa a lei non imputabile – cioè la liceità dell’attività direttiva (conformità alle regole di corretta gestione societaria ed imprenditoriale) –, ovvero di avere fatto tutto quanto in suo potere per evitare il danno (art. 1218 c.c.). Oppure la società convenuta-controllante può, in presenza di abuso, provare l’esistenza di vantaggi compensativi, o che il danno è stato eliminato. In particolare, configurando la responsabilità come contrattuale, non v’è dubbio che la prova dell’esistenza dei vantaggi compensativi si propone come elemento scriminante la responsabilità, e non la loro assenza come elemento costitutivo della responsabilità, e va provata dalla società controllante convenuta. È vero tuttavia che la responsabilità non può derivare, genericamente, da un’attività (in sé legittima), ma sempre da un fatto determinato, da un’operazione o da un insieme di operazioni, diverse e collegate o dello stesso tipo e ripetute, ma in ogni caso adeguatamente individuate e, soprattutto, la loro illiceità – specie in relazione ad una clausola molto aperta quale quella che costituisce il criterio di liceità dell’attività di direzione e coordinamento – può non essere di immediata percezione, sicché l’attore deve quanto meno allegare in modo specifico e dettagliato il profilo di illiceità che ritiene connotare il fatto generativo di danno, altrimenti la convenuta rimane privata della possibilità di difendersi.
La configurabilità del controllo esterno di una società su di un’altra, quale disciplinata dal primo comma, n. 3, dell’art. 2359 c.c. e consistente nella influenza dominante che la controllante esercita sulla controllata in virtù di particolari vincoli contrattuali, postula l’esistenza di determinati rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare rappresentino la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società controllata. Deve trattarsi di contratti che per le obbligazioni e prescrizioni che ne discendono impediscono stabilmente alla società debole contraente di svolgere autonomamente le proprie scelte di gestione imprenditoriale di fatto vincolate, imposte dalle disposizioni contrattuali tanto da trasformare la società in una sorta di mera succursale dell’altra contraente che quindi assume verso la controparte una posizione di effettivo controllo.
La direzione e coordinamento consiste in attività di indirizzo idonea a incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, sulle scelte strategiche, operative, finanziarie, commerciali. L’attività di direzione e coordinamento è attività lecita se si svolge secondo i corretti principi di gestione societarie e imprenditoriale, assumendo invece connotati illeciti quando trasmoda assumendo i connotati dell’abuso. Il potere di direzione e coordinamento su base contrattuale può ravvisarsi quando, per esempio, una parte può imporre all’altra una certa organizzazione del personale, le caratteristiche dei servizi o dei beni da rendere, una politica dei prezzi, o specifiche strategie di mercato.
L’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.fall., pur essendo un atto di autonomia negoziale, appartiene agli istituti del diritto concorsuale e fa parte di una procedura di natura concorsuale; tale procedura concorsuale deve considerarsi superata, assorbita, qualora ad essa succeda, come strumento di ristrutturazione del medesimo indebitamento, il fallimento del debitore che, quale procedura concorsuale maggiore, prevale; il successivo fallimento travolge anche l’accordo anche se non espressamente risolto, salva diversa espressa volontà delle parti.