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Art. 2359 c.c.
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26 Gennaio 2023

La responsabilità per attività di direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c.

L’art. 2497 c.c. prevede una azione di responsabilità che può essere esercitata dai creditori sociali della società eterodiretta (e, in caso di fallimento, dal curatore) nei confronti dell’ente o della società che ha abusato dell’attività di direzione e coordinamento, al fine di ottenere il ristoro del pregiudizio conseguente alla lesione cagionata all’integrità del patrimonio sociale, lesione di cui risponde solidalmente (oltre chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio nei limiti del vantaggio conseguito) anche “chi abbia preso parte al fatto lesivo”, cioè gli amministratori della controllante e della controllata che hanno elaborato ed attuato le direttive lesive. La direzione e coordinamento rilevante ex art. 2497 c.c. si realizza per il solo fatto del suo effettivo esercizio e l’art. 2497-sexies c.c. sancisce che tale attività si presume sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento del bilancio o che comunque controlla la società in questione ai sensi dell’art. 2359 c.c.: vengono dunque in rilievo il controllo esercitato disponendo “della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”, il controllo esercitato mediante “voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria” e “l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa”, cioè ogni forma di potere effettivo e di ingerenza anche non tipizzati realizzati attraverso l’organizzazione societaria o attraverso la gestione di rapporti contrattuali e senza che sia necessaria alcuna spendita del nome della società etero diretta. Quanto all’antigiuridicità della gestione – ossia l’esercizio di quella attività di direzione “nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale” – tale espressione ricomprende nell’ambito di responsabilità ex art. 2497 c.c. tutte le ipotesi in cui è stato perseguito un interesse extrasociale rispetto a quello della società eterodiretta e il parametro concernente i “principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale” impone il rispetto dei principi di diritto societario ricavabili dalle norme di legge e dallo statuto della controllata e preclude all’ente controllante di imporre, nell’interesse esclusivamente proprio, politiche aziendali o singole operazioni prive di sostenibilità economica eventualmente anche per assenza di vantaggi compensativi. Infatti, l’attività di direzione e coordinamento deve essere caratterizzata, ex art. 2497 c.c., dall’osservanza dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società controllate, nel senso che l’unitarietà della direzione non può giustificare l’utilizzo della gestione delle imprese controllate ad esclusivo beneficio dell’interesse delle società controllanti, bensì per il coordinamento degli interessi delle due.

26 Settembre 2022

Sulle caratteristiche dell’attività di direzione e coordinamento e sulla legittimazione attiva della società eterodiretta ai sensi dell’art. 2497 c.c.

Per attività di direzione e coordinamento si intende la formulazione ed attuazione di regole organizzative secondo un progetto unitario, inteso quale manifestazione di volontà dell’ente dirigente. In particolare, la direzione unitaria non si esaurisce nel solo effettivo esercizio di influenza dominante ad opera di una società o di un ente su altra società: ciò che connota l’attività di direzione e coordinamento è l’accentramento presso gli organi gestori della controllante o delle holding intermedie di funzioni amministrative inerenti alle diverse entità aggregate, in modo da creare una struttura organizzativa intesa ad assicurare un processo di direzione unitario, articolato nella pianificazione e programmazione, nell’organizzazione, nel coordinamento e nella guida riconducibile ad un unico soggetto giuridico. L’attività di direzione e coordinamento è un quid pluris rispetto al controllo, in quanto manifestazione di un potere di ingerenza più intenso e pregnante, consistente nel flusso costante di istruzioni impartite dalla società controllante e trasposte all’interno delle decisioni assunte dagli organi della controllata, involgenti momenti significativi della vita della società quali le scelte imprenditoriali, il reperimento dei mezzi finanziari, le politiche di bilancio e la conclusione di contratti importanti.

L’art 2497 c.c., nel mentre configura una responsabilità da abuso di direzione e coordinamento della società dirigente verso i soci e creditori della società controllata, finisce inevitabilmente per svolgere una funzione conformativa della fattispecie anche rispetto alla responsabilità della società dirigente verso il soggetto direttamente danneggiato, cioè la società controllata, la quale è legittimata ad agire ai sensi dell’art. 2497 c.c.

15 Luglio 2022

Abuso di dipendenza economica: aspetti processuali e sostanziali

La legitimatio ad causam consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento, dovendo tenersi da essa distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito alcun esame d’ufficio, atteso che la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione attinente al merito della lite, a tale stregua pertanto rientrando nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata. La legittimazione ad agire o a contraddire, quale condizione dell’azione, si fonda dunque esclusivamente sull’allegazione fatta in domanda, e una concreta ed autonoma questione intorno ad essa si delinea soltanto quando l’attore faccia valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una pronunzia contro il convenuto pur deducendo la relativa estraneità al rapporto sostanziale controverso. E’ pacifico che tali conclusioni sono espressione del principio contenuto nell’art. 81 c.p.c., secondo il quale, nel processo, nessuno può far valere un diritto altrui in nome proprio, fuori dei casi espressamente previsti dalla legge. L’indagine del Giudice volta a verificare la sussistenza della legitimatio ad causam deve essere unicamente diretta ad accertare la coincidenza, dal lato attivo, tra il soggetto che propone la domanda e colui che nella stessa domanda è affermato titolare del diritto e, dal lato passivo, tra il soggetto contro il quale la domanda è proposta e quello che nella domanda è indicato come soggetto passivo del diritto.

In tema di contratto di fornitura, l’abuso di dipendenza economica, di cui all’art. 9 della l. n. 192 del 1998, è nozione indeterminata il cui accertamento postula l’enucleazione della causa concreta della singola operazione che il complessivo regolamento negoziale realizza, secondo un criterio teleologico di valutazione, in via di fatto, della liceità dell’interesse in vista del quale il comportamento è stato tenuto; nell’applicazione della norma è pertanto necessario: 1) quanto alla sussistenza della situazione di “dipendenza economica”, indagare se lo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti sia “eccessivo”, essendo il contraente che lo subisce privo di reali alternative economiche sul mercato (p. es., perché impossibilitato a differenziare agevolmente la propria attività o per avere adeguato l’organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto); 2) quanto all'”abuso”, indagare la condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l’intenzionalità di una vessazione perpetrata sull’altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell’impresa dominante (quale, p. es., modificare le proprie strategie di espansione, adattare il tipo o la quantità di prodotto, o anche spuntare migliori condizioni), mirando la condotta soltanto ad appropriarsi del margine di profitto altrui.

Il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve accompagnare il contratto nel suo svolgimento, dalla formazione all’esecuzione, ed, essendo espressione del dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 della Costituzione, impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire nell’ottica di un bilanciamento degli interessi vicendevoli, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di norme specifiche. La sua violazione, pertanto, costituisce di per sé inadempimento e può comportare l’obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato.

Responsabilità solidale ed onere della prova del concorso in contraffazione di modello comunitario

Un illecito contraffattivo imputato a più a soggetti per aver asseritamente violato una precedente inibitoria proseguendo nella commercializzazione di un prodotto registrato come modello comunitario ha natura extracontrattuale e può dar luogo a responsabilità solidale tra i concorrenti nell’illecito.

A tal fine, l’attore è onerato sia della prova della contraffazione che della prova del concorso fattivo di più soggetti nella sua realizzazione in base ai principi di diritto comune.

Gli atti interruttivi della prescrizione compiuti nei riguardi di un condebitore solidale – nella specie un ricorso cautelare e un successivo atto di citazione – interrompono la prescrizione anche nei confronti degli altri condebitori, con effetti regolati, per tutti i condebitori, dall’art. 2945 comma 2 c.c..

Nel caso in cui venga allegato il concorso della società controllante nella contraffazione posta in essere dalle società controllate, in mancanza di prova di condotte o decisioni concrete e rilevanti ai fini dell’attuazione dell’illecito contraffattivo, non è possibile trasferire sic et simpliciter la responsabilità dell’illecito dalle controllate alla controllante. Del resto, il controllo societario e anche la stessa presunzione di direzione e coordinamento ex artt. 2359 e 2497 sexies c.c. non elidono la distinzione soggettiva fra i vari soggetti giuridici e le individualità delle rispettive responsabilità. Allo stesso modo, il legale rappresentante della controllante non può ritenersi responsabile dell’illecito ex art. 2395 c.c., in concorso con la sua società e le altre società del gruppo, in mancanza di prova di un suo fattivo contributo alla violazione dell’inibitoria.

23 Aprile 2021

Assegnazione di azioni in altre società e qualifica di emittente

L’operazione con cui una società assegni liberalmente ai dipendenti parte delle azioni detenute in una s.p.a. non è qualificabile come «collocamento» e, pertanto, non è idonea a configurare la società le cui azioni siano così assegnate quale emittente azioni diffuse in misura rilevante fra il pubblico. Infatti, perché si possa parlare di «collocamento», è necessario che quest’ultimo sia posto in essere o dalla stessa società emittente o da chi ne detenga il controllo e, comunque, per un corrispettivo; solo in questo caso si può ritenere effettivamente perseguito quel ricorso al mercato dei capitali di rischio che – esso solo – può rendere il titolo dell’emittente «diffuso» fra il pubblico degli investitori.

19 Gennaio 2021

Il fallimento della società controllata: rapporti con la holding, quantificazione del danno e prescrizione

Relativamente al controllo societario esercitato ex art. 2359 c.c., non si  configura l’esistenza e l’operatività di una holding di  fatto preposta al controllo e alla gestione di una società poi fallita se non sussistono specifici requisiti: una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo, idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa; il comune intento sociale perseguito; l’esteriorizzazione del vincolo societario, tramite la spendita del nome e/o il compimento di attività negoziale nell’interesse della holding; l’organizzazione imprenditoriale autonoma della holding rispetto a quella delle società controllate, volta al coordinamento dei fattori produttivi relativi al gruppo di imprese; l’economicità aggiuntiva ovvero la produzione di un plusvalore dovuto all’attività di direzione e coordinamento (così anche Cass. civ. 20.05.2016, n. 10507; Cass. civ. 18.11.2010, n. 2334). Peraltro, nelle società di fatto tra consanguinei, la prova dell’esteriorizzazione del vincolo societario deve essere rigorosa, dovendosi basare “su elementi e circostanze concludenti, tali da escludere che l’intervento del familiare possa essere motivato dalla “affectio familiaris” e deporre, invece, nel senso di una sua compartecipazione all’attività commerciale” (a proposito Cass. civ. n. 33230 del 16.12.2019; nello stesso senso, Cass. civ. n. 15543 del 20.06.2013).

Nella quantificazione del danno subito dalla società e dai creditori, il CTU deve utilizzare il criterio della differenza dei netti patrimoniali, effettivamente utilizzabile in presenza di situazioni di prosecuzione dell’attività d’impresa per un periodo di tempo considerevole: tale criterio consente infatti di accertare, in modo attendibile, l’effettiva diminuzione patrimoniale della società, in ipotesi di ingiustificata prosecuzione della liquidazione, quando risulta più problematico ricostruire ex post le singole operazioni non conservative e collegare ad esse un danno al netto dell’eventuale ricavo.

Il termine di prescrizione è quinquennale e decorre, nell’azione sociale di responsabilità, dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno (termine che rimane sospeso, ex art. 2941 n. 7 c.c., fino alla cessazione dalla carica dell’amministratore o del liquidatore, cui si applicano ex art. 2489 co. 2 c.c. le norme in tema di responsabilità degli amministratori), mentre nell’azione a tutela dei creditori sociali il termine di prescrizione decorre da quando è oggettivamente percepibile l’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti, dal momento che – in mancanza di prova contraria, offerta dall’amministratore o dal liquidatore, con riferimento ad una data diversa e anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale – si presume coincidente con la dichiarazione di fallimento (così Cass. civ. n. 24715 del 4.12.2015; Cass. civ. n. 13378 del 12.06.2014).

 

Attività da direzione e coordinamento – presunzione e onere probatorio

Ai fini della configurabilità dell’esercizio di attività da direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c. il ricorso alla presunzione ex art. 2497 sexies c.c. non soddisfa pienamente l’onere probatorio, essendo necessario, per colui che agisce ex art. 2497 c.c., allegare gli elementi costitutivi dell’abuso dell’attività da direzione e coordinamento dovendo provare l’esercizio in fatto dell’eterodirezione con riguardo alle operazioni gestorie contestate.

8 Novembre 2019

Responsabilità solidale di società a seguito di scissione

Ai sensi dell’art. 2506-quater, ultimo comma, c.c., ogni società partecipante alla scissione può essere chiamata a rispondere solidamente di un debito, rispondendone per intero solo la società cui il debito è trasferito o mantenuto, mentre le altre sono responsabili solidali, secondo un beneficium ordinis, solo nei limiti della quota di patrimonio netto di loro spettanza, come determinato al momento della scissione, atteso che la suddetta norma tende a mantenere integre le garanzie dei creditori sociali ma non anche ad accrescerle; l’eventuale mancata opposizione del creditore alla scissione non preclude l’esperimento dell’azione nei confronti della società beneficiaria. [ LEGGI TUTTO ]

29 Ottobre 2019

Efficacia cross-border dell’ordine di inibitoria emanato dal giudice di un altro stato-membro; responsabilità di società consorella per illecita violazione di segreti industriali; l’efficacia temporale del provvedimento interdittivo

L’ordine d’inibitoria stabilito nella sentenza di un giudice di un altro Stato membro dell’Unione Europea (Germania) non è dotato in sé di efficacia extraterritoriale rispetto ai fatti illeciti commessi in Italia. Infatti, il principio della territorialità degli effetti delle  privative su diritti immateriali non titolati, quale riserva di sovranità dello Stato (com’è noto progressivamente erosa dalla disciplina sovranazionale sostanziale e processuale in materia di Marchio Comunitario -Reg. (CE) n. 207/2009- e di Modello Comunitario -Reg. (CE) n.6/2002- e, a breve, in materia di Brevetto Unico Europeo) sembra doversi ancora applicare in materia di segreti, per la quale una giurisdizione e un diritto sostanziale uniformi non esistono nello spazio europeo. Dunque ad oggi, ad esclusione dell’ipotesi del marchio comunitario e del modello comunitario, perché una sentenza di uno Stato Membro abbia efficacia extraterritoriale, il giudice che l’ha pronunciata deve essersi posto la questione della giurisdizione su fatti avvenuti fuori dal proprio Stato di appartenenza (e conseguentemente avere individuato i criteri di collegamento per radicare la propria giurisdizione anche per fatti fuori dal territorio nazionale). Questa interpretazione appare sorretta proprio dal nuovo dettato di cui all’art. 45 del Reg. (CE) n. 1215/2012, secondo il quale l’autorità dello Stato richiesto “è vincolata dall’accertamento dei fatti sul quale l’autorità giurisdizionale d’origine ha fondato la propria competenza”. Tuttavia, l’impossibilità di un nuovo riesame della questione sulla giurisdizione da parte del giudice ad quem (salvo le eccezioni di cui agli art. 34 e 35 del precedente Reg. (CE) n. 44/2001 corrispondenti all’art. 44 del nuovo Regolamento) opera sul presupposto che un controllo sulla giurisdizione sia stato compiuto dal giudice a quo, ossia dall’autorità che ha emesso il provvedimento dotato di efficacia transfrontaliera.

Cosicché, nell’ipotesi di marchio comunitario (secondo gli artt. 97 e 98 del Reg. (CE) 207/2009) e di modello comunitario (secondo gli artt. 82 e 83 del Reg. (CE) 6/2002) se la giurisdizione è fondata sul criterio di collegamento del forum rei, l’inibitoria deve ritenersi cross-border (art. 98 comma 1 del Reg. (CE) 207/2009; art. 83 comma 1 del Reg. (CE) 6/2002), mentre nel caso di giurisdizione fondata sul forum commissi delicti, essa è limitata al territorio dello Stato-Membro in cui il Tribunale ha sede (art. 98 comma 2 del Reg. (CE) 207/2009; art. 83 comma 2 del Reg. (CE) 6/2002). Negli altri casi, ivi inclusi i segreti industriali, la pronuncia- qualunque sia il criterio di giurisdizione applicato per avere efficacia transfrontaliera deve essere in ogni caso esplicitamente tale.

Secondo indirizzo pacifico, comunitario e nazionale gli effetti del giudicato vanno riguardati in base alle norme dello Stato d’origine (e dunque dell’ordinamento interno al quale appartiene il giudice a quo che ha adottato la sentenza) e non alle regole del giudizio dettate dell’ordinamento interno del giudice che deve recepirlo (ad quem). 

Ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, numero 3 c.c. e secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza anche comunitaria in materia Antitrust, va ritenuta responsabile una società consorella, che pur non detenendo quote nel capitale  sociale di quella che ha posto in essere  l’illecito, eserciti comunque un’influenza determinante su di essa in virtù di  vincoli economici e giuridici quali, appunto, la sussistenza di vincoli contrattuali .

Quanto all’efficacia temporale del provvedimento interdittivo, occorre tenere in conto del principio di proporzionalità che le misure dirette a tutelare i segreti debbono rispettare. E ciò in particolare alla luce degli interessi dei terzi operatori e dell’impatto che l’interdetto può cagionare a enti sanitarie, pubbliche o private, a fronte dell’art. 124, comma 6 bis, c.p.i. e del bilanciamento degli interessi in conflitto, da operare secondo la regola del “case by case”. La pendenza invero di rapporti contrattuali della parte interdetta con soggetti terzi e in particolare con strutture ospedaliere non può essere ostativa all’adozione del provvedimento inibitorio, ma solo alla sua modulazione temporale, mediante la concessione del c.d. “grace period” diversamente modulato a seconda delle specifiche condotte, salvaguardando la sola prosecuzione delle forniture già in corso con pubbliche amministrazioni o comunque presidi ospedalieri.