Art. 2368 c.c.
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Natura della sottoscrizione; aumento di capitale con compensazione di crediti
In materia di aumento del capitale di una società a responsabilità limitata, la sottoscrizione della quota del nuovo capitale è qualificabile come atto negoziale e, precisamente, come contratto consensuale, in relazione al quale la legge non prevede l’adozione di una forma particolare e dal quale poi sorge l’obbligo di versamento per il socio. [Nel caso di specie, accertata la validità della sottoscrizione dell’aumento di capitale, il Tribunale ha qualificato l’operazione realizzata come sottoscrizione dell’aumento di capitale in denaro, integralmente liberato mediante la compensazione del debito da conferimento con il credito vantato dal sottoscrittore verso la società a titolo di corrispettivo della cessione di crediti contestualmente stipulata].
Sospensione della delibera assembleare nell’arbitrato societario e nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c.
In forza del disposto degli artt. 34, co. 1, e 35, co. 5, d.lgs. n. 5/2003, la pattuizione di una clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari ex art. 2378 c.c. ed agli arbitri compete anche il potere di disporre la sospensione dell’efficacia della delibera (in virtù della precedente formulazione dell’art. 818 c.p.c. che impediva agli arbitri di concedere misure cautelari).
Nel lasso di tempo intercorrente fra la proposizione della domanda di arbitrato e la formazione dell’organo arbitrale, è riconosciuta pacificamente la competenza del giudice ordinario in relazione alla sola istanza di sospensione della delibera e ciò fino al momento in cui l’organo arbitrale non solo sia stato nominato, ma anche sia concretamente in grado di provvedere, allo scopo di garantire agli interessati la piena e concreta fruizione del diritto di agire in giudizio ex art. 24 Cost.
Il provvedimento di nomina del curatore speciale costituisce un sub-procedimento di volontaria giurisdizione che si traduce in un atto sempre modificabile e revocabile dal giudice che lo ha emesso, che non passa in giudicato e non assume una stabilità idonea ad integrare la nozione di definitività.
Il provvedimento di nomina del curatore speciale di cui all’art. 78 c.p.c. è diretto non già ad attribuire o negare un bene della vita, ma ad assicurare la rappresentanza processuale tanto al soggetto che ne sia privo, quanto al rappresentato che si trovi in conflitto di interessi col rappresentante; ha pertanto una funzione meramente strumentale ai fini del singolo processo ed è sempre revocabile e modificabile ad opera del giudice che lo ha pronunciato.
Non sussiste conflitto d’interessi, tale da rendere necessaria la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società, in cui il legislatore prevede la legittimazione passiva esclusivamente in capo alla società, in persona di chi ne abbia la rappresentanza legale; nè è fondata una valutazione di conflitto di interessi in capo all’amministratore, solo in quanto la deliberazione assembleare abbia ad oggetto profili di pertinenza dello stesso organo gestorio, posto che ravvisarvi un’immanente situazione di conflitto di interessi indurrebbe alla nomina di un curatore speciale alla società in tutte o quasi tutte le cause di impugnazione delle deliberazioni assembleari o consiliari, con l’effetto distorsivo per cui il socio impugnante tenterebbe sempre di ottenere, mediante il surrettizio ricorso al procedimento di nomina di un curatore speciale alla società ex art. 78 c.p.c., l’esautoramento dell’organo amministrativo dalla decisione delle strategie di tutela a nome della stessa.
Non sussiste conflitto di interesse rilevante ex art. 78 c.p.c. allorché il socio che sia anche amministratore abbia espresso il proprio voto determinante a favore della deliberazione relativa al suo compenso, atteso che egli legittimamente può avvalersi del proprio diritto di voto per realizzare anche un proprio fine personale, salvo non si accerti che attraverso il voto egli abbia sacrificato a proprio favore l’interesse sociale.
Mentre l’art. 78 c.p.c. si applica qualora si ravvisi una conflittualità tra la società ed il suo rappresentante (ossia l’amministratore), il conflitto di interessi di cui all’art. 2373 c.c. riguarda il rapporto fra socio e società, ossia quando il socio si trova nella condizione di essere portatore, di fronte ad una data deliberazione, di un duplice interesse: del suo interesse di socio e di un interesse esterno alla società.
Quorum costitutivo e deliberativo per le decisioni dei soci della s.r.l. e invalidità della delibera adottata in violazione dei detti quorum.
Non è nulla la clausola dello statuto che prevede che il quorum costitutivo previsto per l’assemblea dei soci sia più basso del quorum deliberativo, potendosi così verificare l’ipotesi di un’assemblea regolarmente costituita ma impossibilitata a prendere validamente qualsivoglia decisione, risolvendosi sostanzialmente in un difetto di coordinamento che, al più, rende inutile il raggiungimento del quorum costitutivo, qualora non sia raggiunta la superiore maggioranza richiesta per la deliberazione.
La previsione dell’unanimità per le decisioni dei soci della s.r.l. non risulta di per sé preclusa dalle norme del codice civile in quanto, mentre in materia di S.p.A. il codice limita le modifiche statutarie dei quorum previsti per le deliberazioni sociali alla possibilità di prevedere una “maggioranza più elevata” (art. 2368 c.c.) − elemento da cui si deriva l’inderogabilità statutaria del principio maggioritario − con riferimento alle S.r.l., a seguito della riforma operata dal d.lgs. n. 6/2003, il rinvio all’autonomia statutaria risulta assai più ampio, essendo la regola maggioritaria prevista “salva diversa disposizione dell’atto costitutivo”.
Ai sensi degli artt. 2479 ter e 2377 c.c. per le decisioni dei soci “che non sono prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo”, la delibera assunta in violazione del quorum deliberativo legale o statutario − esistente e provvisoriamente efficace − è annullabile, essendo la categoria della nullità riservata ad ipotesi tassativamente individuate.
Assemblea totalitaria e abuso di maggioranza
Nel caso di mancata convocazione dell’assemblea, l’art. 2379 bis c.c. preclude al socio che, pur non essendovi convocato, abbia partecipato e ne abbia consentito lo svolgimento, di impugnare la delibera esitata dall’assemblea. In altre parole, per quell’ipotesi di totale compromissione del diritto d’informazione del socio, cui la convocazione è preordinata, in omaggio al principio generale immanente nel sistema del diritto societario – di garantire, il più possibile, la stabilità delle decisioni assembleari – il legislatore ha inteso prevedere un’ipotesi di nullità sanabile.
Di fronte a un’assemblea totalitaria, l’accertamento della presenza dell’intero capitale sociale e della maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo esclude la rilevanza della mancanza delle formalità previste per la convocazione, il cui astratto rilievo officioso rimane neutralizzato. Tale assemblea ha competenza generale, senza che rilevi l’eventuale violazione delle norme che disciplinano la convocazione.
La disciplina dell’assemblea totalitaria contenuta al comma 4 dell’art. 2366 c.c. è da ritenersi applicabile anche alle assemblee di s.r.l.
L’esecuzione del contratto di società deve essere improntata ai ben noti canoni di correttezza e buona fede e l’abuso di maggioranza (c.d. abuso, o eccesso, di potere) può condurre all’annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando le stesse non trovino alcuna giustificazione nell’interesse sociale – per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale – oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli.
Nel nostro ordinamento non esiste una norma che identifichi espressamente la figura dell’abuso di potere nelle deliberazioni assembleari, anche se, da tempo, si ammette l’esistenza di tale fattispecie, riferendola alle ipotesi di applicazione non corretta del principio maggioritario; più precisamente, tale figura giuridica non tipizzata si estrinseca nell’esercizio del diritto di voto da parte del socio di maggioranza a danno degli altri soci, tramite l’adozione di una delibera assembleare lesiva degli interessi della minoranza, ovvero, in alternativa, in contrasto con l’interesse sociale.
Il cosiddetto abuso della regola di maggioranza costituisce una species del ben più ampio genus dell’abuso del diritto, al quale si riconducono tutte quelle ipotesi in cui un comportamento, che formalmente rappresenta l’esercizio di un diritto soggettivo, è sprovvisto di tutela giuridica o comunque illecito in quanto svolto in violazione delle regole generali di buona fede e correttezza, le quali sono di applicazione generale a tutti i rapporti giuridici obbligatori e, tra questi, anche a quelli derivanti dal contratto di società. Sussiste, infatti, la figura dell’abuso quando la decisione dell’assemblea risulta arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci di maggioranza allo scopo di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero per ledere i diritti del singolo partecipante.
Invalidità della delibera di aumento di capitale per violazione del diritto di opzione
La delibera con la quale, a seguito di riduzione integrale del capitale sociale per perdite, si decida l’azzeramento e il contemporaneo aumento del capitale sociale, consentendone la sottoscrizione immediata e per intero a uno solo dei soci, presente all’assemblea, in tanto è valida in quanto venga contestualmente assegnato ai soci che ne abbiano diritto (soci assenti all’assemblea o soci presenti ma impossibilitati ad una sottoscrizione immediata) il termine di trenta giorni, pari al periodo minimo previsto dall’art. 2481 bis, co. 2, c.c., per l’esercizio del diritto di opzione, fungente da condizione risolutiva dell’acquisto delle partecipazioni sottoscritte dal socio in misura eccedente a quella di propria spettanza. Altrimenti, la delibera sociale così assunta si porrebbe in netto contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 2481 bis, co. 2, c.c. nella parte in cui prevede che la decisione di aumento di capitale debba assegnare un termine di almeno trenta giorni ai soci per esercitare il diritto di sottoscrizione, posto che l’esercizio postumo del diritto di opzione opera come condizione risolutiva e rimuove pro quota e retroattivamente gli effetti dell’originaria sottoscrizione immediata e per intero del socio presente.
Se è vero che la qualità di socio deve sussistere, pena la carenza di interesse, dall’inizio dell’impugnazione fino alla decisione della causa, è anche vero che, qualora dalla decisione dipenda la permanenza dell’attore nella società, l’interesse ad agire sussiste in ogni caso, proprio perché dalla decisione dipende la qualità di socio.
Inesistenza ed invalidità della delibera di seconda convocazione per vizi formali e sostanziali
La deliberazione assembleare societaria assunta, in seconda convocazione, non preceduta dalla verbalizzazione del mancato raggiungimento delle maggioranze richieste per la sua costituzione in prima convocazione, non può essere considerata “inesistente”, possedendo tutti gli elementi per essere riconducibile al modello legale delle deliberazioni assembleari e per essere imputata alla società nel cui ambito viene assunta, e ponendo solo problemi di validità legati all’accertamento della maggioranza necessaria per assumere la deliberazione.
Non ogni incompletezza o inesattezza del verbale inficia la validità della delibera assembleare, considerato che l’art. 2377, co. 5, n. 3, del c.c. limita la rilevanza dell’incompletezza o inesattezza del verbale ai fini dell’annullamento della delibera all’ipotesi in cui siano tali da impedire l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione. In tal senso, la mancata allegazione al verbale di documenti prodotti dai soci non determina di per sé l’invalidità ai sensi dell’art. 2377 c.c., per l’incompletezza dello stesso.
Nelle società di capitali il diritto del socio a percepire gli utili presuppone e necessita di una preventiva delibera assembleare che ne disponga la distribuzione. Il socio ha, dunque, una aspettativa ma non un diritto di credito esigibile sino a quando l’assemblea, in sede di approvazione di bilancio (o, comunque, anche in un momento successivo), non decida circa la distribuzione, l’accantonamento o il reimpiego degli utili nell’interesse della stessa società.
La delibera assunta dalla maggioranza di non distribuire l’utile di esercizio è censurabile (da un punto di vista sostanziale) unicamente sotto il profilo dell’abuso di maggioranza, il cui carattere abusivo deriva dalla condotta dei soci di maggioranza volta ad acquisire posizioni di indebito vantaggio in antitesi con l’interesse sociale e/o idonea a provocare la lesione della posizione degli altri soci (rendendo più onerosa la partecipazione o sacrificando la legittima aspettativa di remunerazione dell’investimento in violazione del canone di buona fede e correttezza (ex art. 1175 e 1375 c.c.) nella esecuzione del contratto sociale (ove l’esercizio in comune dell’attività economica avviene proprio “allo scopo di dividerne gli utili”). Tuttavia, grava sul socio di minoranza che impugna la delibera l’onere di provare in giudizio che la decisione dell’accantonamento degli utili sia viziata sotto il profilo dell’abuso di maggioranza.
A tal proposito, la mancata distribuzione per diversi esercizi dell’utile sociale costituisce un indice rivelatore ma non è di per sé sufficiente a dimostrare il carattere abusivo della delibera di accantonamento (ciò anche in considerazione del fatto che la stessa produce effetti positivi diretti sul patrimonio della società e riflessi sul valore delle partecipazioni dei soci), rivestendo elemento determinante ai fini della decisione la valutazione circa le concrete ed effettive motivazioni sottese alla volontà della maggioranza. Tuttavia, il sindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza deve, comunque, arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede e non può spingersi a complesse valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione e programma dell’attività comune sottese all’accantonamento dell’utile.
Assegnazione di azioni in altre società e qualifica di emittente
L’operazione con cui una società assegni liberalmente ai dipendenti parte delle azioni detenute in una s.p.a. non è qualificabile come «collocamento» e, pertanto, non è idonea a configurare la società le cui azioni siano così assegnate quale emittente azioni diffuse in misura rilevante fra il pubblico. Infatti, perché si possa parlare di «collocamento», è necessario che quest’ultimo sia posto in essere o dalla stessa società emittente o da chi ne detenga il controllo e, comunque, per un corrispettivo; solo in questo caso si può ritenere effettivamente perseguito quel ricorso al mercato dei capitali di rischio che – esso solo – può rendere il titolo dell’emittente «diffuso» fra il pubblico degli investitori.
Conflitto d’interessi del socio di s.r.l. e applicazione analogica dell’art. 2368, co. 3, c.c. in materia di assemblea di s.p.a.
Riconosciuta con la riforma del 2003 la piena autonomia dei diversi modelli societari, la possibilità di estensione della disciplina della s.p.a. in materia di s.r.l. va esaminata in concreto attraverso gli ordinari passaggi di (i) preliminare individuazione di [ LEGGI TUTTO ]
Divieto di domande nuove, impugnativa di delibera per conflitto d’interessi, fondamento della clausola statutaria di prelazione e conseguenze in caso di sua violazione
Ove la domanda formulata nell’atto di citazione sia diversa da quella proposta in sede di precisazione delle conclusioni, riproducendo queste ultime l’oggetto della memoria ex art. 183 co. 6 n. 3, c.p.c., non sussiste carenza di interesse ad agire né inammissibilità per la tardività delle modificazioni [ LEGGI TUTTO ]
Azioni proprie e calcolo delle maggioranze assembleari
La disciplina del computo delle azioni proprie ai fini del calcolo delle maggioranze, dopo la modifica intervenuta con il d.lgs. 224/2010, deve ritenersi differenziata per le società aperte e per le società chiuse. Mentre per le prime le azioni [ LEGGI TUTTO ]