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Art. 2377 c.c.
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31 Gennaio 2023

La regola di cui all’art. 2388 c.c. costituisce un principio generale dell’ordinamento

La regola dettata in materia di società per azioni dall’art. 2388 c.c. costituisce un principio generale dell’ordinamento. Ne consegue che, con riferimento ai consorzi, i membri del consiglio direttivo e i consociati possano impugnare le delibere dell’assemblea dei consociati, così come gli stessi consociati possono impugnare le delibere dell’organo amministrativo o direttivo, laddove ne risulti direttamente leso un loro diritto.

26 Gennaio 2023

Quorum costitutivo e deliberativo per le decisioni dei soci della s.r.l. e invalidità della delibera adottata in violazione dei detti quorum.

Non è nulla la clausola dello statuto che prevede che il quorum costitutivo previsto per l’assemblea dei soci sia più basso del quorum deliberativo, potendosi così verificare l’ipotesi di un’assemblea regolarmente costituita ma impossibilitata a prendere validamente qualsivoglia decisione, risolvendosi sostanzialmente in un difetto di coordinamento che, al più, rende inutile il raggiungimento del quorum costitutivo, qualora non sia raggiunta la superiore maggioranza richiesta per la deliberazione.

La previsione dell’unanimità per le decisioni dei soci della s.r.l. non risulta di per sé preclusa dalle norme del codice civile in quanto, mentre in materia di S.p.A. il codice limita le modifiche statutarie dei quorum previsti per le deliberazioni sociali alla possibilità di prevedere una “maggioranza più elevata” (art. 2368 c.c.) − elemento da cui si deriva l’inderogabilità statutaria del principio maggioritario − con riferimento alle S.r.l., a seguito della riforma operata dal d.lgs. n. 6/2003, il rinvio all’autonomia statutaria risulta assai più ampio, essendo la regola maggioritaria prevista “salva diversa disposizione dell’atto costitutivo”.

Ai sensi degli artt. 2479 ter e 2377 c.c. per le decisioni dei soci “che non sono prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo”, la delibera assunta in violazione del quorum deliberativo legale o statutario − esistente e provvisoriamente efficace − è annullabile, essendo la categoria della nullità riservata ad ipotesi tassativamente individuate.

19 Gennaio 2023

Distribuzione di utili e abuso di maggioranza

L’abuso di maggioranza è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società – per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale – ovvero sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli. È dunque necessario dimostrare l’esercizio “fraudolento” ovvero “ingiustificato” del potere di voto, non potendo l’abuso consistere nella mera valutazione discrezionale del socio dei propri interessi, ma dovendo concretarsi nella intenzionalità specificatamente dannosa del voto, ovvero nella compressione degli altrui diritti in assenza di apprezzabile interesse del votante.

 

Non è configurabile un diritto del socio agli utili senza una preventiva deliberazione assembleare che abbia deciso per la distribuzione, rientrando invero nei poteri dell’assemblea, in sede approvazione del bilancio, la facoltà di disporne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società, sulla base di una decisione censurabile solo se si possa configurare come espressione dell’iniziativa della maggioranza volta ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno dei soci di minoranza, cui venga deliberatamente resa più onerosa la partecipazione.

18 Gennaio 2023

Abuso di maggioranza e invalidità della delibera di approvazione del bilancio

L’abuso di maggioranza integra una violazione della clausola generale di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto sociale, che trova fondamento negli artt. 1175 e 1375 c.c., sull’assunto che le delibere assembleari costituiscano fondamentali momenti esecutivi del contratto di società. Tali norme impongono che i soci informino il proprio operato ai suddetti principi imponendo un impegno di cooperazione in base al quale ciascun socio deve tenere condotte idonee a soddisfare le legittime aspettative degli altri membri della compagine societaria.

Tale fattispecie rappresenta l’unica ipotesi in cui il giudice esercita non un controllo di mera legittimità, ma un vero e proprio sindacato nel merito della delibera societaria: infatti, non si configura formalmente una violazione di legge, ma una strumentalizzazione del principio di maggioranza a danno degli interessi della minoranza.

L’abuso di maggioranza è idoneo a determinare l’invalidità della delibera assembleare laddove quest’ultima non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società, perché tesa al perseguimento, da parte dei soci di maggioranza, di un interesse personale antitetico a quello sociale oppure perché espressione di un’attività fraudolenta dei soci di maggioranza, preordinata a ledere i diritti di partecipazione e i diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli.

Il discrimen tra la legittima soggezione della minoranza al principio maggioritario e l’abuso di detto principio, tale da rendere arbitrario e ingiustificato il voto apparentemente vincolante, è la ricorrenza di un superiore interesse sociale, che rende giustificato il pregiudizio sopportato dalla minoranza.

Grava sul socio impugnante l’onere di provare che alla base della decisione della maggioranza non vi fosse alcun interesse sociale e che alcun vantaggio per la società potesse derivarne.

Il socio ha diritto ad agire per l’impugnativa della delibera di approvazione del bilancio solo quando egli possa essere in concreto indotto in errore dall’inesatta informazione fornita sulla consistenza patrimoniale e sull’efficienza economica della società, ovvero quando per l’alterazione o incompletezza dell’esposizione dei dati derivi o possa derivare un pregiudizio di ordine patrimoniale. La delibera di approvazione del bilancio è nulla allorché le violazioni civilistiche commesse comportino una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche ogni qual volta dal bilancio e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni previste dalla legge per ciascuna delle singole poste iscritte.

Nell’impugnazione di una delibera di approvazione del bilancio, il socio deve assumere di aver subito un pregiudizio a causa del difetto di chiarezza, veridicità e correttezza di una o più poste contabili ed è onerato della indicazione di quali siano esattamente le poste iscritte in violazione dei principi legali vigenti, spettando poi al giudice, nel giudizio sulla fondatezza della domanda, logicamente successivo al vaglio del preliminare interesse della parte all’impugnazione, esaminare le singole poste e verificarne la conformità ai precetti legali.

L’azione sociale mira a far valere la responsabilità degli amministratori per le violazioni dei loro doveri, che abbiano cagionato un pregiudizio patrimoniale alla società. Essa ha natura contrattuale, originando dall’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo ovvero dall’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza e di intervento preventivo e successivo; obblighi tutti che vengono a gravare sugli amministratori in forza del mandato loro conferito e del rapporto che, per effetto della preposizione gestoria e del susseguente inserimento nell’organizzazione sociale, si instaura con la società.

Di conseguenza, in termini di riparto dell’onere della prova, grava sulla parte che agisce l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi (che costituiscono obbligazioni di mezzi e non di risultato), i pregiudizi concretamente sofferti dalla società e il nesso eziologico tra l’inadempimento e il danno prospettato. Per converso, incombe sull’amministratore l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso ovvero di fornire la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi posti a suo carico.

Sui singoli soci che si assumono direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori incombe l’onere di provare la condotta illecita, anche sotto il profilo della colpevolezza, il danno e il nesso causale.

17 Gennaio 2023

Sostituzione della delibera assembleare invalida di s.r.l.

È applicabile anche alle deliberazioni della s.r.l. la disposizione di cui all’art. 2377, co. 8, c.c., richiamata dall’art 2479 ter, co. 4, c.c.; la norma dispone che l’annullamento della prima deliberazione adottata non può essere pronunciato se la stessa sia stata sostituita da altra, presa in conformità della legge e dell’atto costitutivo. La sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall’assemblea in conformità della legge sussiste se la nuova deliberazione ha un identico contenuto, cioè provvede sui medesimi argomenti della deliberazione impugnata, ferma soltanto l’avvenuta rimozione dell’iniziale causa di invalidità.

3 Gennaio 2023

Sull’abuso di maggioranza nella delibera di scioglimento della società per deliberazione dell’assemblea

All’infuori della ipotesi di un esercizio “ingiustificato” ovvero “fraudolento” del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della deliberazione di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze relative all’economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva. Pertanto, ai fini dell’annullamento della delibera di scioglimento anticipato della società ex art. 2484 n. 6 c.c. per conflitto di interessi o per abuso di potere è necessario che sussista o un contrasto tra l’interesse della maggioranza e l’interesse sociale o che il voto della maggioranza sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta diretta a provocare la lesione dei diritti spettanti ai soci di minoranza uti singuli (nel caso di specie il Tribunale annulla la delibera, rilevando l’abuso da parte del socio di maggioranza, che con il proprio voto ha deliberato lo scioglimento anticipato della società, dopo che era fallita una trattativa sulla cessione della quota del socio di minoranza e dopo che era stato disposto il trasferimento dell’azienda sociale a favore di altra società partecipata dal socio di maggioranza).

3 Gennaio 2023

Il diritto di sottoscrizione spettante ai soci e la legittimazione a impugnare le delibere assembleari

In tutti i casi di riduzione del capitale per perdite, l’art. 2482 quater c.c. esclude che possano essere apportate modificazioni alle quote di partecipazione e ai diritti spettanti ai soci. Tale disposizione esprime il c.d. principio di invarianza, prevedendo che, in tutti i casi di riduzione del capitale sociale per perdite, i soci conservano i diritti sociali secondo le partecipazioni originarie.

L’art. 2481 bis c.c., nel disciplinare l’aumento di capitale mediante nuovi conferimenti, vieta all’assemblea di escludere o limitare il diritto spettante ai soci, al fine di evitare operazioni in pregiudizio della minoranza. In particolare, con l’art. 2481 bis c.c., il legislatore ha inteso dettare nella società a responsabilità limitata una disciplina dell’aumento di capitale a pagamento autonoma rispetto a quella della società azionaria. Tuttavia, sebbene nella disciplina della società azionaria si parli di diritto di opzione, mentre nella società a responsabilità limitata si parli di diritto di sottoscrizione, i due concetti sono essenzialmente assimilabili. Il diritto di sottoscrizione consiste nella facoltà di aderire alla decisione di aumento di capitale, per tutta o una parte della quota di propria spettanza, alle condizioni e nei termini stabiliti dalla decisione medesima: esso va ricondotto alla nozione civilistica dell’opzione di cui all’art. 1331 c.c. L’autonomia privata si esplica anche con riferimento ai termini e alle modalità di esercizio del diritto, in quanto l’art. 2481 bis c.c. rimette la loro determinazione alla delibera assembleare di aumento. L’unica indicazione contenuta nella norma riguarda il termine (minimo) per l’esercizio del diritto di opzione da parte dei soci, che non può essere inferiore a trenta giorni. Tale termine ha natura inderogabile.

L’aumento di capitale a pagamento comporta un aumento sia del capitale nominale, sia del patrimonio sociale, mediante conferimento alla società di nuove risorse. L’effetto modificativo del contratto sociale non si produce automaticamente con la deliberazione di aumento di capitale, ma con il concorso delle volontà dell’ente e dei sottoscrittori del nuovo capitale deliberato e quindi in una fase successiva e diversa da quella meramente deliberativa. Pertanto, ai fini del perfezionamento dell’operazione di aumento di capitale, la deliberazione assembleare, con la quale è stato approvato l’incremento quantitativo del capitale, è sicuramente necessaria ma non sufficiente, in quanto è pur sempre necessaria la dichiarazione di adesione dei soci, ovvero, se prevista, anche dei terzi. Tale dichiarazione si manifesta, appunto, con la sottoscrizione di una quota dell’aumento deliberato. Il negozio di sottoscrizione ha natura consensuale e si perfeziona con lo scambio del consenso tra il socio sottoscrittore o il terzo e la società, per il tramite dell’organo amministrativo. Quindi, la deliberazione di aumento di capitale ben può configurarsi come una proposta e la sottoscrizione del socio o del terzo come una accettazione, secondo il classico schema del contratto di natura consensuale. Alla natura consensuale del negozio di sottoscrizione consegue che il mancato adempimento delle obbligazioni di versamento in proporzione alla quota di partecipazione sottoscritta non incide sull’avvenuto perfezionamento del contratto, attendendo invece alla fase esecutiva dell’accordo già concluso.

Considerato che il diritto di sottoscrizione spetta ai soci in proporzione alle partecipazioni da essi possedute e che l’art. 2482 quater c.c. prevede la regola della immodificabilità delle quote anche in caso di riduzione del capitale per perdite, deve ritenersi che anche l’azzeramento del capitale sociale per perdite non comporti l’estinzione della partecipazione. Tuttavia, poiché l’inderogabilità di tale regola riguarda l’attribuzione del diritto e non il suo esercizio, coloro che non partecipano all’aumento del capitale successivo alla riduzione – mediante la sottoscrizione – perdono la qualità di soci e i relativi diritti.

Il socio non sottoscrittore mantiene sempre la legittimazione ad impugnare, sebbene la sua partecipazione sia stata azzerata dall’operazione sul capitale, ciò in quanto la perdita della qualità di socio in capo a chi non abbia sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale lascia permanere la legittimazione ad esperire le azioni di annullamento e di nullità della deliberazione assembleare adottata ex art. 2447 o 2482 c.c.

29 Dicembre 2022

Esclusione del socio di s.r.l. per giusta causa e abuso di potere in assemblea

È legittima l’introduzione a maggioranza assembleare di una clausola di esclusione del socio ai sensi dell’art. 2473 bis c.c. Pertanto, qualora la clausola rispetti i requisiti di sufficiente specificità e sia sorretta da giusta causa, la stessa può essere introdotta durante societate anche a maggioranza. È inammissibile una clausola generica di esclusione, in quanto è necessario determinare specificatamente nell’atto costitutivo le fattispecie che, incidendo sulla permanenza del vincolo societario, consentono di estromettere il socio dalla società, da cui la ritenuta illegittimità di tutte quelle clausole che, nei presupposti, evidenzino generiche “gravi inadempienze del socio” senza indicare specificatamente determinate tipologie di comportamento, dal momento che l’organo competente alla valutazione dei requisiti legittimanti l’esclusione del socio, sia esso amministrativo o assembleare, si vedrebbe assegnato un potere privo di adeguato controllo. Così come è illegittima una clausola che non concretizzi in maniera prevedibile e aprioristicamente valutabile quella giusta causa che il legislatore richiede come requisito fondamentale dell’esclusione. Infatti, quando il legislatore della riforma consente che lo statuto possa “prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio” non costringe all’elencazione di eventi che, se giudicati a posteriori, sarebbero qualificabili come casi di giusta causa, ma consente di introdurre nello statuto la previsione di eventi che da quella società sono a priori considerati, al fine dell’ordinato sviluppo della propria attività, elementi di grave turbativa, legittimanti per ciò l’allontanamento di uno dei membri di quella collettività, e quindi fattispecie di giusta causa. In sostanza, la giusta causa verificabile a posteriori non può non essere che un concetto valevole per l’ordinamento nel suo complesso e quindi per tutti i consociati che di quell’ordinamento sono parte; mentre la giusta causa specificata a priori è la giusta causa propria di quella data collettività che la definisce per sé, e che quindi potrebbe essere non generalizzabile al di fuori di quella collettività ove è stata definita e ove essa vige.

È legittimo individuare una giusta causa di esclusione ex art. 2473 bis c.c. nel fallimento del socio; con l’ovvia precisazione, tuttavia, che il compendio della liquidazione dovrà essere versato alla procedura e che, comunque, in tal caso occorrerà applicare il disposto dell’ultimo comma dell’art. 2471 c.c., che estende al fallimento la procedura di vendita prevista per il caso del pignoramento della quota di società a responsabilità limitata.

Costituisce una legittima causa di esclusione ex art. 2473 bis c.c. quella in forza della quale un socio può essere escluso dalla società qualora il medesimo sia a sua volta una società e, senza il consenso dei restanti soci della partecipata, muti per qualsiasi causa la propria compagine sociale, anche in esito a operazioni di scissione o fusione (c.d. changing control). Tale clausola può essere introdotta in statuto a maggioranza e ben può ritenersi legittima in quanto riferita ad evento capace di incidere sulla figura dei soci sì da minare alle radici il fondamento dell’unità di quella compagine sociale.

Costituisce una legittima causa di esclusione ex art. 2473 bis c.c. quella in forza della quale un socio può essere escluso dalla società qualora non adempia agli obblighi assunti nei confronti della società o di altri soci, quali obblighi funzionali al perseguimento dell’oggetto sociale in quanto necessari in vista del perseguimento delle competenze e dei mezzi, anche economici necessari all’attività della società, come previsti nell’atto costitutivo, in scrittura privata autenticata o non disconosciuta.

Posta l’astratta configurabilità della vicenda dell’abuso di potere anche rispetto ai voti espressi dai soci in seno all’assemblea, va precisato che, perché possa dirsi integrato un vizio della delibera, è necessario allegare e dimostrare che la stessa sia il portato di un esercizio fraudolento ovvero ingiustificato del potere di voto; e ciò in quanto l’abuso non può consistere nella mera valutazione discrezionale dei propri interessi ad opera dei soci, ma deve concretarsi nella intenzionalità specificatamente dannosa del voto, ovvero nella compressione degli altrui diritti in assenza di apprezzabile interesse del votante. L’abuso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari quando la deliberazione: a) non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società; deve pertanto trattarsi di una deviazione dell’atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento, da parte dei soci di maggioranza, di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale; b) sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza, diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli poiché rivolta al conseguimento di interessi extrasociali. I due requisiti testé evidenziati non sono richiesti congiuntamente, ma in alternativa. Ne deriva, in adesione ai principi ora enunciati, che l’esame del merito della delibera è ammesso solo in presenza di indici oggettivi da cui sia dato inferire la violazione di vincoli imposti dall’ordinamento alla maggioranza e desunti nei modi succitati. Della sussistenza e della prova di tali indizi è naturalmente onerata la parte che assume l’illegittimità della deliberazione; grava, cioè, sul socio di minoranza l’onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto. È, poi, chiaro che la presenza del fine fraudolento – la cui prova può essere data anche induttivamente, dimostrando che lo scopo apparentemente perseguito dalla società è in realtà inesistente – costituisce non solo un sintomo del vizio della decisione impugnata, ma anche il limite alla tutela della minoranza. L’abuso di potere, infatti, è pur sempre un vizio di legittimità della delibera, riscontrabile solo nella misura in cui non comporti un controllo giudiziario sulle libere determinazioni dell’autonomia privata provenienti dagli organi della società, rispetto alle quali è preclusa qualsiasi valutazione di opportunità.

L’esigenza di consentire a ciascun socio, non soltanto di partecipare ai lavori assembleari in modo consapevole e informato sulle questioni che ivi saranno trattate, ma anche di veder tutelata la sua buona fede per il caso in cui non intenda prendervi parte, viene perseguita mediante la previsione dell’obbligo di indicare, nell’avviso di convocazione, l’elenco delle materie che dovranno essere oggetto di trattazione e decisione (c.d. ordine del giorno), con la conseguenza che, sia nel caso in cui l’avviso di convocazione non contenga affatto l’enunciazione dell’ordine del giorno, sia nelle ipotesi in cui le materie da trattare in assemblea siano indicate in maniera generica o ambigua, le deliberazioni così adottate divengono annullabili. Segnatamente, la deliberazione adottata sulla base di un ordine del giorno dal contenuto indeterminato deve considerarsi annullabile e non nulla, in quanto le norme concernenti le formalità di convocazione dell’assemblea mirano a tutelare esclusivamente l’interesse dei soci al regolare svolgimento dell’attività interna della società e non incidono sui presupposti essenziali di formazione della volontà sociale. Tuttavia, affinché possa adeguatamente assolvere alle funzioni sue proprie, l’ordine del giorno inserito nell’avviso di convocazione non deve necessariamente sostanziarsi in una indicazione particolareggiata delle materie da trattare o, addirittura, in una anticipata comunicazione del contenuto della decisione da assumere, dimostrandosi sufficiente un’indicazione sintetica delle questioni, purché perspicua ed non equivoca. Anzi, non par superfluo evidenziare che, fuori dalle ipotesi in cui lo stesso legislatore prescrive che l’avviso di convocazione sia circostanziato e dettagliato (come nel caso dell’art. 2445 c.c.), nella formulazione dell’ordine del giorno da inserire nell’avviso di convocazione occorre contemperare l’esigenza di fornire indicazioni puntuali circa gli argomenti da trattare in assemblea, con la contrapposta esigenza di preservare l’elasticità e la flessibilità dei lavori assembleari; invero, un ordine del giorno eccessivamente puntuale e dettagliato, talvolta, potrebbe condizionare la libertà di determinazione dell’assemblea, sminuendo il rilievo che, a tal fine, assume il dibattito e la discussione dei soci.

29 Dicembre 2022

Modelli decisionali dei soci di s.r.l.

Il legislatore ha enfatizzato nelle s.r.l. una maggiore rilevanza personale dei rapporti tra i soci, tanto da rendere il metodo assembleare necessario solo per alcune particolari situazioni specifiche. I soci di s.r.l. possono infatti prevedere l’adozione di diversi modelli decisionali, salva l’insopprimibile esigenza che le decisioni vengano comunque espresse in atti scritti, soprattutto per assicurare la tempestiva informazione in merito. Per essere validamente posta in essere, la decisione dei soci necessita di una apposita clausola statutaria, la quale deve prevedere che i soci possano adottare le “decisioni” mediante consultazione scritta o consenso iscritto, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2479, comma 3, c.c.

23 Dicembre 2022

Vizi della relazione sulla gestione e invalidità del bilancio

La previsione della seconda convocazione rinviene la sua ratio nel favor deliberationis sotteso alla eliminazione del quorum costitutivo previsto per la prima (art. 2369, co. 3, c.c.). In tanto l’assemblea in seconda convocazione potrà svolgersi, in quanto quella in prima convocazione, regolarmente costituita, si sia svolta. Il mancato svolgimento della prima assemblea – trattandosi di fatto negativo – può essere provato in ogni modo, ma in primis, certamente, provando che l’assemblea in prima convocazione si è correttamente costituita. La delibera assembleare societaria, assunta in seconda convocazione, non preceduta dalla verbalizzazione del mancato raggiungimento delle maggioranze richieste per la sua costituzione in prima convocazione, non può essere considerata inesistente, in quanto essa possiede tutti gli elementi per essere riconducibili al modello legale delle deliberazioni assembleari e pone solo problemi di validità legati all’accertamento della maggioranza necessaria per assumere la deliberazione (di seconda convocazione).

La violazione dei canoni di cui all’art. 2423, co. 2, c.c. comporta l’illiceità della delibera assembleare di approvazione del bilancio per violazione di norme imperative in materia contabile. Nondimeno, la nullità della delibera può essere rilevata solo nella misura in cui: (i) la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo d’esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza; oppure (ii) in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.

La relazione sulla gestione di cui all’art. 2428 c.c. ha una funzione di illustrazione ampiamente valutativa della situazione economico/gestionale della società e non è oggetto di delibera assembleare in quanto non propriamente parte del bilancio d’esercizio. Tuttavia, i vizi informativi che affliggono la relazione sulla gestione possono determinare la nullità della deliberazione nella misura in cui siano tali da rendere non chiaramente intellegibile o addirittura da falsare sul punto il bilancio. In particolare, se i vizi sono collegati a mancanze non connesse ai dati di bilancio, questi possono determinare solo la annullabilità del bilancio o la nullità dell’allegato; se i vizi invece sono connessi ad informazioni direttamente collegabili a dati contenuti nel bilancio d’esercizio, questi comportano la nullità della delibera assembleare di approvazione del bilancio se ed in quanto la loro capacità decettiva sia tale da inficiare chiarezza, correttezza e veridicità delle corrispondenti voci di bilancio.