Art. 2378 c.c.
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Impugnabilità delle delibere di approvazione del bilancio nelle società di capitali
Il fatto che l’85% del capitale sociale e l’intero complesso dei beni aziendali appartengano allo Stato, giusto provvedimento di confisca adottato ex lege 575/65, non vale a radicare la competenza, quale giudice dell’esecuzione, del Tribunale che ha disposto la confisca, in caso di impugnazione, da parte del socio di minoranza, delle delibere di approvazione dei bilanci d’esercizio di una società di capitali. A quest’ultimo, infatti, la legge riserva meramente l’accertamento e il soddisfacimento dei diritti dei creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati anteriormente alla trascrizione del sequestro e di quelli che, sempre prima della trascrizione del sequestro, abbiano trascritto un pignoramento sui beni o siano intervenuti nell’esecuzione iniziata con tale pignoramento.
La delibera di approvazione del bilancio di società di capitali, che, ovviamente, non può prescindere dalla relazione di accompagnamento redatta dall’amministratore, non comporta automaticamente – in difetto di espressa previsione nell’ordine del giorno sul quale l’assemblea è stata convocata – l’approvazione anche degli atti gestori menzionati nella relazione. Infatti, in tema di società di capitali, l’approvazione del bilancio non costituisce ratifica tacita dell’operato dell’amministratore in conflitto d’interessi, in quanto sia la disciplina del bilancio che quella dell’assemblea hanno natura imperativa e rispondono all’interesse pubblico ad un regolare svolgimento dell’attività economica.
Il vizio della delibera assembleare (volta ad approvare il bilancio) sostanziantesi nell’assenza assoluta di informazione è ravvisabile nel caso di decisione adottata non già con il metodo della consultazione scritta, bensì con il metodo assembleare, allorquando la convocazione difetti. Ad ogni modo, spetta poi al giudice di merito la valutazione delle caratteristiche del caso concreto, tra le quali rientra, inter alia, la possibilità per il socio di ottenere un rinvio dell’assemblea in base al generale principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, nel caso in cui egli, per causa a lui non imputabile, nonostante la regolarità della convocazione, non sia stato messo nelle condizioni di partecipare all’assemblea sulla base di una tempestiva informazione.
Legittimazione dell’organo gestorio all’impugnazione delle deliberazioni assembleari
Il potere di impugnare le deliberazioni assunte dall’assemblea dei soci, contrarie alla legge o all’atto costitutivo, è riconosciuto agli amministratori delle società per azioni dall’articolo 2377, comma II, c.c., e spetta al Consiglio di amministrazione e non ai singoli amministratori che compongono l’organo collegiale. Nel caso di specie, il potere di impugnare la delibera ritenuta invalida avrebbe dovuto, pertanto, essere esercitato dall’intero organo collegiale e previa apposita deliberazione. [ LEGGI TUTTO ]
Presupposti per la revoca cautelare di un amministratore ex art. 2476, co. 3, c.c. ed effetto a catena dell’annullamento delle delibere di aumento di capitale
Affinchè un amministratore possa essere revocato in via cautelare, ai sensi dell’art. 2476, III co., c.c., è necessario che coesistano contestualmente due presupposti. Innanzitutto il fumus boni iuris, consistente nella presenza di gravi irregolarità nella gestione, da intendersi in senso più rigoroso e circoscritto rispetto alla giusta causa di revoca. In secondo luogo [ LEGGI TUTTO ]
Sospensione dell’esecuzione di delibera assembleare inaudita altera parte
La richiesta di concessione di un provvedimento cautelare inaudita altera parte deve essere accompagnata dall’allegazione specifica di un pregiudizio imminente, alla possibile attuazione del provvedimento cautelare, derivante dalla previa convocazione della controparte.
Revoca del provvedimento cautelare che sospende la convocazione dell’assemblea di s.p.a.
Il provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., emesso inaudita altera parte e con il quale è stata disposta la sospensione dell’efficacia della convocazione dell’assemblea di una s.p.a., è revocato dal giudice previo accertamento della circostanza che detto provvedimento è stato comunicato ai partecipanti all’assemblea dopo lo svolgimento della stessa. In tal caso, infatti, risulta venuta meno la materia del contendere cautelare che giustificherebbe la conferma del provvedimento, e non sussiste più alcun periculum.
Sospensiva cautelare di delibera di nomina degli organi sociali in presenza di clausola compromissoria: sulla nozione di controllo e di periculum in mora
In caso di clausola compromissoria che devolva ad un collegio arbitrale la decisione delle controversie, la tempestività dell’impugnazione di una delibera deve valutarsi avendo riguardo al deposito di istanza di nomina degli arbitri, e non alla costituzione del collegio arbitrale e men che meno allo scambio del primo scritto difensivo, poiché esso suppone che il collegio arbitrale si sia insediato.
Sospensione cautelare di delibere assunte con l’esclusione dal voto di un socio per asserita violazione della prelazione
Ai fini di un procedimento cautelare d’urgenza, laddove lo statuto preveda la competenza di un collegio arbitrale per l’impugnazione delle deliberazioni dei cui effetti si chiede la sospensione con ricorso ex art. 700 c.p.c., è sufficiente a determinare la pendenza del procedimento arbitrale il deposito di istanza di nomina degli arbitri. Da un lato perché – prevedendo – il primo atto con cui la parte che agisce manifesta la relativa volontà ed innesca l’inizio del procedimento è appunto l’istanza di nomina degli arbitri rivolta all’autorità giudiziaria preposta alla loro nomina ex art. 810 commi 3 e 4 c.p.c.; dall’altro perché ogni altro e successivo atto non dipende dalla sua attività processuale, ma dall’attività processuale di altri, cioè dell’Autorità alla quale è richiesta la nomina degli arbitri, talché sarebbe del tutto incongruo far dipendere dall’operato di quest’ultima il rispetto o no del termine perentorio di impugnazione che fa capo invece alla parte. Men che meno si potrebbe avere riguardo allo scambio del primo scritto difensivo, poiché esso suppone che il collegio arbitrale si sia insediato (art. 816 bis c.p.c.).
Nel caso di specie, risulta sussistente il periculum in mora – che l’art. 2378 commi 3 e 4 c.c. presuppone per la concessione di un provvedimento d’urgenza sospensivo dell’esecuzione e degli effetti della deliberazione dei soci. Invero, tale requisito va valutato apprezzando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il socio ricorrente (che è stato escluso dalla votazione per un’asserita violazione della prelazione) dalla mancata sospensione delle delibere impugnate ed il pregiudizio che subirebbe la società dalla sospensione delle delibere stesse. Orbene, come noto, la società come tale non è titolare di qualificate posizioni soggettive in ordine al fatto che l’organo amministrativo o di controllo siano composti da determinate persone piuttosto che da altre. Dunque, dalla sospensione delle deliberazioni la società non subisce alcun pregiudizio. Viceversa il socio escluso dalla votazione subisce un grave pregiudizio consistente: (i) anzitutto nel non poter esprimere il diritto di voto che gli appartiene in ragione della titolarità del 50% del capitale sociale, diritto che, in caso di partecipazione all’assemblea, si traduce in diritto di veto, esercitabile nei limiti della buona fede. Ciò vale, rispetto alle delibere impugnate, con riferimento ai compensi degli amministratori ed alla nomina dei sindaci; (ii) in secondo luogo e soprattutto, nel vedere eliminato il proprio diritto di nominare due amministratori della società, e di concorrere alla nomina del presidente e del vice presidente del c.d.a.; (iii) in terzo luogo, l’esclusione comporterebbe l’esclusione dell’esercizio, da parte sua, di tutti i diritti amministrativi, non solo di quello di voto.
La perdita della qualità di socio in corso di causa determina il venire meno della legittimazione e dell’interesse ad agire
Nella causa promossa dal procuratore della socia di una s.r.l. in liquidazione per far dichiarare nulle per illiceità dell’oggetto le delibere assembleari con le quali erano stati approvati i bilanci di quattro esercizi sociali in quanto carenti di chiarezza veridicità e correttezza, [ LEGGI TUTTO ]
La sospensione della deliberazione assembleare impugnata impone l’irreparabilità del pregiudizio
La valutazione comparativa dei pregiudizi ai fini dell’art. 2378, quarto comma, c.c. va condotta considerando la riparabilità o irreparabilità del pregiudizio che deriva dall’esecuzione della deliberazione assembleare impugnata e dalla sua sospensione. [ LEGGI TUTTO ]
Il rappresentante comune dei comproprietari di una partecipazione di s.r.l.
Lo scopo della norma di cui all’art. 2468, co. 5, c.c. è quello di individuare un unico interlocutore con la società, al fine di agevolare i rapporti tra questa e i partecipanti alla comunione. La norma è chiara nel sancire la obbligatorietà dell’esercizio di tutti i diritti dei comproprietari, senza alcuna eccezione, per il tramite del rappresentante comune. Sicché, la chiara espressione omnicomprensiva e lo scopo di rendere più agevoli – dal punto di vista organizzativo – i rapporti tra la società e i comproprietari della partecipazione sociale inducono a ritenere che ogni diritto connesso alla titolarità della quota debba essere necessariamente esercitato per il tramite del rappresentante comune. Si tratta, dunque, di un caso di rappresentanza necessaria.
Dall’investitura del rappresentante comune derivano due distinti rapporti, l’uno interno, tra comproprietari e rappresentante comune, e l’altro esterno, tra rappresentante comune e società, con applicazione dei principi generali in tema di mandato. Ne deriva che la violazione, da parte del rappresentante comune, delle istruzioni impartitegli dai comproprietari sarà, da un lato, inopponibile alla società, ma, dall’altro, potrà essere fonte di responsabilità sulla base del rapporto di mandato.