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Art. 2383 c.c.
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11 Luglio 2024

Decadenza del consigliere di amministrazione in caso di clausola simul stabunt simul cadent

Attraverso la previsione della clausola statutaria “simul stabut simul cadent”, alle dimissioni provenienti da ciascun componente del consiglio di amministratore viene attribuito l’ulteriore effetto di determinare la decadenza immediata dell’organo gestorio.
Si tratta di una clausola che viene accettata dall’amministratore al momento dell’assunzione della carica, essendo quindi, ciascun componente dell’organo amministrativo, consapevole della possibilità che l’intero consiglio venga a cessare prima della sua naturale scadenza a seguito della manifestazione della volontà di uno solo di suoi componenti, volontà che non richiede alcuna espressa motivazione.

La decadenza immediata dell’organo amministrativo conseguente alla legittima applicazione della clausola statutaria simul stabunt simul cadent non comporta, a favore del componente non dimissionario, alcun effetto indennitario o risarcitorio, dal momento che la previsione conforma specificamente il mandato gestorio assunto da ciascun membro del consiglio di amministrazione con l’accettazione della carica.

È onere dell’amministratore revocato quello di dimostrare la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione abusiva o in mala fede della clausola. Tale prova può essere offerta anche tramite presunzioni, che tuttavia devono essere tra loro gravi precise e concordanti e denotare l’esistenza un vero e proprio “procedimento” elusivo costituito dalla concatenazione concertata di atti negoziali e comportamenti riferibili a componenti di organi sociali diversi volti a convergere sull’unico scopo della realizzazione di un effetto equivalente alla revoca ingiustificata senza indennizzo dell’amministratore.
Tra gli elementi presuntivi di tale abusivo disegno viene individuata la rinnovazione da parte dell’assemblea dei soci dell’incarico a tutti gli altri membri del consiglio con esclusione del solo componente non dimissionario.

18 Giugno 2024

Cancellazione d’ufficio dell’iscrizione della nomina ad amministratore unico

L’iscrizione della nomina di un amministratore unico di S.r.l. nel Registro delle Imprese avvenuta con allegazione di un verbale di assemblea dei soci mai tenuta e priva di nomina munita di dichiarazione di conformità ex art. 47 e 76 D.P.R. n. 445 del 2000, debitamente firmata, comporta la cancellazione d’ufficio ex art. 2191 c.c. dal Registro delle Imprese della nomina stessa.

17 Giugno 2024

Revoca giudiziale dell’amministratore di s.p.a.: inapplicabilità del rimedio cautelare di cui all’art. 2476, comma 3, c.c.

Lo strumento tipico che l’ordinamento accorda al socio di minoranza qualificata della spa che sia titolare di una partecipazione pari almeno al 10% al fine di ottenere la revoca giudiziale dell’amministratore è quello previsto dall’art. 2409 c.c. e non se ne possono riconoscere altri. In particolare, al socio di minoranza di spa è dato dal legislatore lo strumento di tutela per conseguire la revoca giudiziale dell’amministratore previsto dall’art. 2409 c.c., si tratta, questa, di una precisa scelta del legislatore che non ha predisposto all’interno della disciplina della spa una norma analoga all’art. 2476 co. 3, c.c. la quale riconosce al socio di minoranza della srl, oltre all’azione di responsabilità dell’amministratore, anche l’azione di revoca dell’amministratore esperibile pure in via cautelare. Il rimedio cautelare tipico accordato al socio della srl dall’art 2476 comma 3 c.c.. non è estensibile alla spa, nemmeno nel quadro attuale che vede l’apertura della tutela ex art 2409 c.c. anche alle srl.. La ratio della diversa disciplina tra spa e srl sta nella diversità del tipo delle due società di capitali; da un lato nella più intensa base personale della srl, nel più stretto rapporto fra i suoi soci e la gestione sociale che giustifica l’attribuzione a ciascun socio (al pari di ciò che si riscontra nella società di persone, art 2259 u.c. c.c.) della facoltà di chiedere la revoca dell’organo gestorio oltre che la facoltà di agire, senza sbarramenti di partecipazione sociale, per far valere la responsabilità sociale dell’amministratore; dall’altro in una più marcata struttura organizzativa retta dal principio di maggioranza della spa, dove il potere di revoca dell’amministratore sta solo in capo alla assemblea ex artt. 2383 e 2393, co 5, c.c. e non al socio di minoranza il quale, se minoranza qualificata, può attivare lo strumento di controllo previsto dall’art. 2409 c.c..

Abuso della clausola simul stabunt simul cadent e diritto al risarcimento dell’amministratore

La clausola simul stabunt simul cadent assolve la finalità di mantenere costanti gli equilibri originari propri del CdA, fungendo da deterrente alla disgregazione dell’organo gestorio poiché ciascun amministratore è consapevole che le dimissioni di uno o di alcuni degli altri determinano la decadenza dell’intero consiglio e, al contempo, può contribuire a quella decadenza, quando in disaccordo con gli altri.

La clausola in parola può prestarsi altresì a un uso strumentale e/o abusivo laddove le dimissioni degli amministratori siano dettate prevalentemente dallo scopo di provocare la decadenza del CdA, al fine di rimuovere gli amministratori non graditi dalla carica gestoria, in modo tale da evitare la corresponsione del risarcimento del danno che ad essi sarebbe spettato ove revocati in assenza di giusta causa ai sensi dell’art. 2383, co. 3, c.c.

Incombe sull’amministratore che lamenta la sussistenza di una revoca illegittima la prova del collegamento oggettivo e soggettivo tra le dimissioni dei consiglieri che hanno perfezionato la fattispecie statutaria della decadenza dell’intero consiglio e la successiva immediata nomina di un nuovo consiglio composto da tutti i precedenti componenti meno l’attore, nonché la prova della sua esclusiva finalizzazione all’estromissione dello stesso dal collegio degli amministratori e quindi all’ottenimento in via indiretta del risultato di revocarlo in assenza di giusta causa.

Il danno da liquidare all’amministratore è rappresentato dal lucro cessante, consistente nella mancata percezione dei compensi che allo stesso sarebbero spettati ove non fosse cessato dalle proprie funzioni per via dell’operatività della clausola innescata. Per quanto concerne, invece, il danno all’immagine, esso è danno-conseguenza che per essere risarcito necessita di essere allegato e provato, non essendo sufficiente la mera allegazione dello stesso, giacché la liquidazione del medesimo necessita di essere compiuta sulla scorta del concreto pregiudizio patito e provato dal soggetto che lo invoca.

21 Maggio 2024

Revoca dell’amministratore di società a totale partecipazione pubblica

Quando a un ente pubblico è attribuito un potere di nomina o revoca di amministratori in una società, l’ente, nell’avvalersi di tale diritto, non esercita un potere a titolo proprio, ma esercita l’ordinario potere dell’assemblea, ad essa surrogandosi, quale organo della società, per autorizzazione della legge o dello statuto. Ciò comporta, per un verso, che gli atti in questione competono all’ente pubblico uti socius, e dunque iure privatorum e non iure imperii, con la conseguenza che in relazione a essi sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. Per altro verso, che il rapporto controverso resta nella titolarità della società, unico soggetto tenuto a rispondere dell’eventuale obbligazione risarcitoria derivante dall’illegittimità del provvedimento medesimo, corollario da cui discende la necessaria partecipazione della società al giudizio di impugnazione della revoca.

La delibera di revoca dell’amministratore produce in ogni caso i suoi effetti in funzione della continuità della vita sociale, che esige certezza e stabilità degli atti, e al fine di presidiare la volontà assembleare che, come è libera di scegliere i gestori, così deve poterli revocare in ogni tempo, qualunque sia il motivo di quella scelta. Tale disciplina, dettata per le s.p.a., è applicabile in via analogica agli amministratori di s.r.l., essendo valide e applicabili anche in tale ambito le ragioni che la sorreggono. La delibera di revoca dell’amministratore deve enunciare in maniera esplicita le ragioni della revoca, che devono presentare caratteri di effettività ed essere riportate in modo adeguatamente specifico, mentre la deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori non è ammessa, restando esse ormai quelle indicate nella deliberazione, con la conseguenza che alla società compete la posizione di attore sostanziale in giudizio.

La previsione di cui all’art. 50, co. 8 e 9, TUEL identifica ex se una giusta causa oggettiva di revoca degli amministratori nel solo caso in cui la revoca intervenga nel termine di quarantacinque giorni dall’insediamento del nuovo sindaco, come previsto dall’art. 50, co. 9, TUEL. Di contro, la revoca dell’amministratore di una società partecipata da un Comune, disposta dal relativo sindaco oltre il termine di quarantacinque giorni dall’insediamento, è da ritenersi soggetta, quanto al ricorrere della giusta causa, alle regole ordinarie.

Il rapporto fra società ed ente pubblico è di assoluta autonomia, non essendo consentito all’ente di incidere unilateralmente sul suo svolgimento e sull’attività della società mediante l’esercizio di poteri autorizzativi o discrezionali. L’amministratore di designazione pubblica non è soggetto agli ordini dell’ente nominante e, anzi, per testuale previsione del codice civile (art. 2449 c.c.), ha i medesimi diritti e i medesimi obblighi dell’amministratore di nomina assembleare.

L’accertamento del venir meno del rapporto fiduciario, quale presupposto della delibera di revoca, è rilevante ai fini di integrare una giusta causa di revoca del mandato solo quando i fatti che abbiano determinato il venir meno dell’affidamento siano oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore. In caso contrario, lo scioglimento del rapporto fiduciario deriva da una valutazione soggettiva della maggioranza dell’assemblea che legittima, da un lato, il recesso ad nutum e, dall’altro, che l’amministratore revocato senza giusta causa richieda il risarcimento del danno derivatogli dalla revoca del mandato.

Società a partecipazione pubblica e nomina dell’AD

La designazione di un amministratore da parte di un socio è atto una tantum che si esaurisce nel suo compimento e che non comporta l’instaurazione alcun rapporto fiduciario permanente tra l’amministratore – investito di poteri propri, previsti dalla legge ed esercitabili in piena autonomia – e il socio che lo ha proposto.

Gli amministratori sono nominati dall’assemblea e legati da un rapporto di fiducia con questa – l’AD anche con l’intero CdA, per le deleghe attribuitegli – e vincolati al perseguimento dell’interesse della società, non di quello di singoli soci; tanto che spetta solo all’assemblea revocare gli amministratori (art. 2383 CC) e al CdA revocare le deleghe (art. 2381 CC), in ambedue i casi occorrendo una giusta causa, questa sussistendo solo quando è leso l’interesse sociale.

17 Aprile 2024

Revoca in assenza di giusta causa dell’amministratore di s.r.l.

In tema di revoca dell’amministratore di società di capitali, le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell’art. 2383, co. 3, c.c. devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori. In tale ambito spetta alla società l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie. Il concetto di giusta causa di revoca è nozione che attiene alle circostanze, anche non integranti inadempimento, idonee a ledere il rapporto fiduciario tra le parti.

In caso di amministratore di s.r.l. nominato a tempo indeterminato si applica la disciplina generale ex art. 1725, co. 2, c.c., secondo cui in caso di revoca in assenza di giusta causa e adeguato preavviso, l’amministratore revocato ha diritto ad ottenere un risarcimento del danno da parametrarsi ai compensi che il soggetto revocato dall’incarico avrebbe percepito nel periodo di preavviso e che, in linea di massima, può fare riferimento a sei mensilità. Esso viene, infatti, considerato come un periodo idoneo a contemperare la facoltà dell’assemblea dei soci di revoca ad nutum dell’organo gestorio e l’aspettativa dell’amministratore nominato a tempo indeterminato di proseguire nel rapporto percependo il relativo compenso.

9 Aprile 2024

Il socio di s.r.l. titolare di un terzo del capitale può convocare l’assemblea

La competenza dei soci di s.r.l. titolari di almeno un terzo del capitale a sottoporre all’assemblea degli argomenti implica anche il potere degli stessi di procedere alla diretta convocazione dell’assemblea, poiché diversamente risulterebbe del tutto superflua la previsione legislativa di cui all’art. 2479, co. 1, c.c. Tale potere dei soci di s.r.l. è configurato come concorrente rispetto a quello eventualmente attribuito all’amministratore dall’autonomia statutaria, anche in considerazione della valorizzazione all’iniziativa e al ruolo del socio all’interno della s.r.l.

La revoca per giusta causa dell’amministratore può discendere dal venir meno del rapporto di fiducia con la compagine societaria. La giusta causa può essere sia soggettiva che oggettiva, purché si tratti di circostanze o fatti sopravvenuti idonei a influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto.

L’amministratore revocato ha legittimazione a impugnare la deliberazione assembleare di revoca ritenuta invalida.

L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori o ex amministratori di s.r.l. può essere esercitata direttamente dalla società, fermo restando che, in tal caso, è necessaria la previa deliberazione assembleare di cui all’art. 2393 c.c. quando l’azione sia diretta a far valere la responsabilità degli amministratori per inadempimento degli obblighi imposti dalla legge o dallo statuto.

15 Marzo 2024

Distinzione tra finanziamento soci e versamento in conto capitale

Al fine di determinare se ci si trovi di fronte a un finanziamento o a un versamento in conto capitale, la prova del titolo in forza del quale la somma è stata erogata deve trarsi dalla ricostruzione della volontà negoziale e, quindi, dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso è diretto e dagli interessi che vi sono sottesi. Non ha rilevanza la voce in cui le somme sono state iscritte a bilancio e neppure può rilevare la denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle schede contabile, in quanto le scritture contabili devono rappresentare fedelmente la realtà fattuale e giuridica dei rapporti sociali.

Se il socio impugnante la prima delibera non ha impugnato anche la delibera sostitutiva, questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endosocietario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito l’invalidità in sede processuale, con il che viene meno non già la materia del contendere, ma lo stesso interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endosocietario del deliberato censurato con altro comunque efficace. Pertanto, nel giudizio relativo alla impugnazione della prima delibera non può trovar luogo alcuna valutazione delle eccezioni dell’attore relative alla invalidità della delibera sostitutiva che non sia stata a sua volta impugnata, tale valutazione essendo assorbita dalla constatazione del venir meno dell’interesse ad agire dell’attore. La valutazione ex art. 2377, co. 8, c.c. del giudice della prima impugnazione deve limitarsi alla verifica dell’effettiva portata sostitutiva della seconda delibera, vale a dire della effettiva rimozione del contenuto della prima da parte della seconda disponente sul medesimo oggetto.

Nel rapporto interno con l’amministratore e sul piano contrattuale, le scelte negoziali per conto della società sono assunte ed espresse dai soci, ai quali spetta ex lege il potere di nominare e revocare gli amministratori e di determinarne, eventualmente, il compenso (artt. 2364, co. 1, n. 3, e 2389, co. 1, c.c.). Pertanto, al fine di individuare le modalità di regolamentazione del rapporto contrattuale con l’amministratore, occorre fare riferimento a quegli atti attraverso i quali, nell’ambito dell’organizzazione societaria, si manifesta la volontà dei soci con particolare riferimento al rapporto di amministrazione. Viene in rilievo, in primo luogo, lo statuto della società, cui l’amministratore, nell’accettare la nomina, aderisce. In secondo luogo, viene in considerazione la delibera assembleare di nomina degli amministratori, la quale, laddove lo statuto attribuisca loro il diritto al compenso, può determinarne la misura; ove invece lo statuto preveda un diritto al compenso condizionato o non preveda alcunché, la stessa può deliberare l’attribuzione di emolumenti in favore degli amministratori, determinandone eventualmente l’ammontare; ovvero ancora può non prevedere nulla al riguardo.

12 Marzo 2024

Esercizio abusivo della clausola simul stabunt simul cadent

La previsione statutaria della cessazione dell’intero consiglio di amministratore per effetto delle dimissioni di taluno dei suoi membri (simul stabunt simul cadent) attribuisce all’esercizio da parte del singolo componente dell’organo amministrativo della facoltà di recedere liberamente dal mandato, l’ulteriore effetto di determinare la decadenza immediata dell’organo gestorio con la funzione, non solo di conservare gli equilibri interni di composizione del consiglio originariamente voluti e cristallizzati nella delibera assembleare di nomina evitando in particolare l’alterazione che potrebbe derivare a danno della compagine di minoranza dall’applicazione del meccanismo della cooptazione, ma anche di fungere da stimolo alla coesione dell’organo gestorio.

La decadenza immediata dell’organo amministrativo conseguente alla legittima applicazione della clausola statutaria simul stabunt simul cadent non comporta a favore del componente non dimissionario alcun effetto indennitario o risarcitorio dal momento che la previsione conforma specificamente il mandato gestorio assunto da ciascun membro del consiglio di amministrazione con l’accettazione della carica.

Quando in presenza della clausola statutaria simul stabunt simul cadent le dimissioni di taluni membri del consiglio di amministrazione siano preordinate esclusivamente a consentire poi all’assemblea dei soci di rinnovare l’organo amministrativo con l’esclusione del solo componente sgradito per sottrare la società all’obbligo di indennizzo connesso all’adozione diretta di una deliberazione assembleare di revoca senza giusta causa, può configurarsi l’abuso nell’esercizio delle facoltà spettanti ai componenti degli organi sociali coinvolti, fonte dell’obbligo della società di risarcire il danno subito dal componente non dimissionario illegittimamente privato della prestazione indennitaria.

Il complesso onere probatorio gravante sull’amministratore che deduce l’uso distorto del meccanismo decadenziale concerne, quindi, un vero e proprio procedimento elusivo costituito dalla concatenazione concertata di atti negoziali e comportamenti riferibili a componenti di organi sociali diversi volti a convergere sull’unico scopo della realizzazione di un effetto equivalente alla revoca ingiustificata senza indennizzo dell’amministratore.

La configurabilità della fattispecie procedimentale dell’abuso in questione presuppone: (i) l’esercizio strumentale della facoltà di dimissioni da parte di taluni componenti del consiglio di amministrazione con il solo scopo di provocare la decadenza immediata dell’organo in vista della programmata esclusione da parte dell’assemblea convocata per il rinnovo dell’organo del solo componente sgradito; (ii) la rinnovazione da parte dell’assemblea dei soci dell’incarico a tutti gli altri membri del consiglio con esclusione del solo componente non dimissionario; (iii) il collegamento oggettivo e soggettivo tra le dimissioni dei consiglieri che hanno perfezionato la fattispecie statutaria della decadenza dell’intero consiglio di amministrazione e la successiva immediata nomina da parte dell’assemblea del nuovo consiglio di amministrazione composto da tutti i membri precedenti escluso quello non più gradito, connotato dall’esclusivo intento di ottenere la sua estromissione senza indennizzo dall’organo gestorio.