Art. 2383 c.c.
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Giusta causa di revoca delle deleghe endo-consiliari
Nei rapporti interni al consiglio di amministrazione, la revoca della delega gestoria all’amministratore costituisce un atto che non può essere sindacato; se compiuto in assenza di giusta causa non ammette una tutela reale ma determina il diritto del revocato al risarcimento del danno.
Il venir meno del rapporto fiduciario fra titolare del potere di rappresentanza dell’ente e il suo vice può costituire giusta causa per la revoca dell’amministratore prevista dall’art. 2383, terzo comma, c.c., qualora la condotta del delegato si ponga in oggettivo contrasto con le linee d’azione condivise da tutto l’organo.
Revoca dell’amministratore di società per azioni a partecipazione pubblica – ripartizione della giurisdizione – contenuto della delibera di revoca – la giusta causa
In tema di società per azioni partecipata da ente locale, la revoca dell’amministratore di nomina pubblica, ai sensi dell’art. 2449 cod. civ., può essere da lui impugnata presso il giudice ordinario, non presso il giudice amministrativo, trattandosi di atto “uti socius”, non “jure imperii”, compiuto dall’ente pubblico “a valle” della scelta di fondo per l’impiego del modello societario, ogni dubbio essendo risolto a favore della giurisdizione ordinaria dalla clausola ermeneutica generale in senso privatistico di cui all’art. 4, comma 13, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 135.
L’amministratore revocato dall’ente pubblico, come l’amministratore revocato dall’assemblea dei soci, può chiedere al giudice ordinario solo la tutela risarcitoria per difetto di giusta causa, a norma dell’art. 2383 cod. civ., non anche la tutela “reale” per reintegrazione nella carica, in quanto l’art. 2449 cod. civ. assicura parità di “status” tra amministratori di nomina assembleare e amministratori di nomina pubblica.
In tema di revoca dell’amministratore di società per azioni, le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell’art. 2383, comma 3, c.c., devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare che adotta tale decisione senza che sia possibile la successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori.
La giusta causa di revoca dell’amministratore è individuabile non solo in fatti integranti un significativo inadempimento degli obblighi derivanti dall’incarico, ma anche in fatti che minino il “pactum fiduciae”, elidendo l’affidamento riposto al momento della nomina sulle attitudini e capacità dell’amministratore, sempre che essi siano oggettivamente valutabili come capaci di mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore revocato.
La giusta causa di revoca dell’amministratore può essere individuata anche in obblighi ex lege determinanti la necessità di una diversa composizione dell’organo gestorio in ragione dell’equilibrio di genere, o obblighi che, per la loro natura oggettiva, si pongono di per sé quale motivo di una revoca non determinata ad nutum dai soci -e, dunque, senza la ostensione di alcuna giustificazione- ma, appunto, “giustificata” da situazioni delle quali i soci non possono non tener conto nell’ambito dell’ordinamento generale.
Revoca dell’amministratore senza giusta causa e diritto al risarcimento danni: interruzione della prescrizione e dies a quo per far valere il diritto al risarcimento
Il diritto al compenso dell’amministratore, giacché derivante dal rapporto societario, in quanto istituito fra i soggetti dell’organizzazione sociale in dipendenza diretta del contratto di società o delle situazioni determinate dallo svolgimento della vita sociale, è soggetto al termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2949 c.c.
Il ricorso giuslavoristico proposto dall’ex amministratore ex art. 414 c.p.c. per ottenere il riconoscimento di un trattamento retributivo unitario e globale, comprensivo, cioè, oltre che dell’importo dovuto a titolo di dirigente con contratto di lavoro subordinato, anche dell’importo, pure preteso nel separato e successivo giudizio, a titolo di compensi per l’incarico gestorio svolto quale consigliere di amministrazione (di fatto erogato allo stesso soggetto quale emolumento relativo alla carica di amministratore delegato, a suo dire, apparentemente conferitagli ed assunta), è idoneo ad interrompere la prescrizione ai sensi degli artt. 2934 e 2944 c.c. Ne consegue che il diritto al risarcimento dei danni per la revoca senza giusta causa dalla carica di amministratore non può essere esercitato in giudizio prima del passaggio in giudicato della sentenza resa a conclusione del giudizio giuslavoristico che, escludendo l’asserita simulazione, affermi definitivamente, l’esistenza del rapporto gestorio in contestazione; diversamente opinando, infatti, all’attore verrebbe preclusa, per effetto dell’eccepita prescrizione, la facoltà di far valere il proprio diritto prima ancora del definitivo accertamento della natura reale e non fittizia del rapporto (di amministrazione) da cui detto diritto discende.
Con la possibilità dell’assemblea di revocare gli amministratori “in qualunque tempo” a norma dell’articolo 2383, comma III, c.c., la società è investita di una forma di autotutela privata in forza della quale lo scioglimento del rapporto gestorio si verifica mediante la delibera assembleare e il controllo di questa spetta al giudice soltanto in seconda battuta ed esclusivamente ai fini della liquidazione dell’eventuale risarcimento, ove la revoca non sia sorretta da una giusta causa. La nozione di “giusta causa” è distinta sia dal mero “inadempimento”, sia dalle “gravi irregolarità” di cui all’art. 2409 c.c., concernendo essa, infatti, circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento e non necessariamente cagionate dall’amministratore stesso, che, tuttavia, pregiudichino l’affidamento dei soci nelle sue attitudini e capacità, cioè compromettano il rapporto fiduciario tra le parti. L’assenza della giusta causa incide solamente in punto di risarcimento dei danni non inficiando la validità o l’efficacia della revoca, rappresentando quest’ultima atto lecito e manifestazione del diritto dei soci ai sensi dell’art. 2364 c.c., con il solo limite che i motivi di giusta causa di revoca, quantomeno nei loro elementi essenziali, devono però essere esplicitati nella delibera di revoca (sul punto, v., ex multis, Trib. Milano, 20 dicembre 2005); infatti, come ormai pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, l’accertamento in ordine alla sussistenza di una giusta causa di revoca può avere a oggetto solo le ragioni poste alla base della decisione dei soci (così, tra le altre, Cass., 2037/18).
Come ritenuto dalla costante giurisprudenza di legittimità, l’onere probatorio in ordine al venir meno del diritto al risarcimento del danno dell’amministratore per la revoca anticipata dalla carica grava sulla società a norma dell’art. 2697 c.c. (nel caso di specie, la società convenuta non ha addotto fatti idonei oggettivamente a minare la valutazione circa la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore revocato e, quindi, tali da incidere negativamente sul rapporto fiduciario intercorrente tra le parti, con la conseguenza che la domanda attorea è stata accolta e la società, per l’effetto, condannata, a titolo di risarcimento del danno sofferto dall’amministratore per la revoca senza giusta causa dalla carica, al pagamento dell’importo pari agli emolumenti non percepiti nel periodo di anticipata cessazione del rapporto gestorio).
La revoca assembleare dell’amministratore della società consortile a responsabilità limitata
In materia di società consortile costituita secondo il tipo delle società di capitali (nella specie, s.r.l.), la causa consortile può comportare la deroga delle norme che disciplinano il tipo adottato ove la loro applicazione sia incompatibile con profili essenziali del fenomeno consortile, fermo restando che siffatta deroga non può giustificare lo stravolgimento dei principi fondamentali che regolano il tipo di società di capitali scelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale. Invero, l’attributo “consortile” non indica un modello organizzativo societario, ossia un tipo, bensì unicamente uno scopo: le società consortili sono società – di qualunque tipo, salvo quello della società semplice – con scopo di consorzio. Esse cioè, richiamando l’espressione dell’art. 2615-ter, co 1, c.c., sono società che assumono «come oggetto sociale gli scopi indicati dall’art. 2602».
Gli amministratori di società consortile a responsabilità limitata possono essere revocati in via assembleare, in quanto il silenzio del testo normativo sul punto in tema di società a responsabilità limitata non comporta di per sé l’irrevocabilità dell’organo gestorio, potendo invero trovare applicazione analogica la norma dettata dall’art. 2383, co. 3, c.c., nella parte in cui prevede che gli amministratori sono «in qualunque tempo» revocabili dall’assemblea, salvo, però, il diritto al risarcimento del danno se la revoca interviene in assenza di giusta causa, dettato per le società per azioni: tale norma esprime, infatti, un principio di ordine generale.
Qualora l’atto costitutivo di una s.r.l. attribuisca a ciascun socio il particolare diritto di nominare un amministratore, al medesimo socio spetta anche il potere di revoca. La revoca dovrà essere decisa con il consenso unanime di tutti i soci, ai sensi del quarto comma dell’art. 2468 c.c., comportando essa una modifica di quel diritto, salvo, però, il caso di giusta causa, per il quale varranno gli ordinari principi prevalendo le esigenze di tutela della società. In difetto di giusta causa, tuttavia, la revoca disposta dall’assemblea senza il consenso del socio titolare del diritto dovrà ritenersi illegittima e invalida.
Sulla revoca ad nutum, da parte dell’assemblea dei soci di S.r.l., dell’amministratore nominato a tempo indeterminato
In caso di revoca senza giusta causa, da parte dell’assemblea dei soci di S.r.l., dell’amministratore nominato a tempo indeterminato, trova applicazione la disciplina generale ex art. 1725 c.c. in tema di revoca del mandato oneroso, con diritto a un congruo preavviso dell’amministratore revocato senza giusta causa. L’assenza di una giusta causa di revoca così come del congruo preavviso non integra dunque un vizio della deliberazione, ma costituisce un presupposto del risarcimento, da parametrarsi ai compensi che il soggetto revocato dall’incarico avrebbe percepito nel periodo di preavviso.
Impugnazione da parte dell’amministratore revocato della deliberazione che lo esautora dall’incarico
L’amministratore revocato è legittimato ad impugnare le deliberazioni dell’assemblea dei soci che lambiscono la sua posizione soggettiva, al fine di censurarne la legittimità sotto il profilo della correttezza del procedimento con cui è stata adottata o per aspetti concernenti il suo contenuto che siano sintomi di eventuali vizi di eccesso di potere. Costui è in ogni caso gravato dall’onere di provare l’esistenza del vizio denunciato e, in mancanza di fondamento probatorio in tal senso, le violazioni lamentate non potranno assurgere al rango di vizi invalidanti la deliberazione di revoca.
Diritto al compenso dell’amministratore e risarcimento del danno ex art. 2383 c.c. per revoca senza giusta causa
La regola della presunta onerosità del mandato applicata al rapporto di amministrazione comunque richiede che l’amministratore – attore nei confronti della società per la condanna al pagamento del proprio compenso non determinato all’atto della nomina (e nemmeno rinunciato in tale occasione o per effetto di una clausola statutaria che preveda la gratuità dell’incarico) – provi non solo l’esistenza di un valido titolo (la nomina da parte dell’assemblea) ma anche le specifiche mansioni espletate nonché il grado di complessità delle stesse, così da consentire al giudice la determinazione del compenso secondo i parametri fissati dall’art. 2225 c.c. in via generale per il lavoro autonomo ed analogicamente applicabili al rapporto di amministrazione.
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Applicazione ed impiego abusivo della clausola statutaria c.d. simul stabunt simul cadent
L’applicazione della clausola statutaria simul stabunt simul cadent (la cui validità è espressamente riconosciuta dal quarto comma dell’art. 2386 c.c.) non equivale ad una revoca dall’incarico e pertanto, se applicata senza fini abusivi, non fa sorgere alcun diritto a favore dell’amministratore decaduto: costui infatti, accettando l’iniziale conferimento dell’incarico, aderisce implicitamente alle clausole dello statuto sociale che regolano le condizioni di nomina e permanenza degli organi sociali. Detta adesione implica dunque l’accettazione dell’eventualità di una cessazione anticipata dall’ufficio di amministratore nel caso di applicazione della clausola in oggetto e in ogni caso senza risarcimento del danno (cfr. anche Trib. Milano n. 388/2015 e n. 4955/2016).
Mancata revoca dell’amministratore infedele da parte della società
Deve ritenersi incontestato che la fiducia della società nei confronti dell’amministratore non sia venuta meno laddove la prima, pur consapevole di condotte connotate da malafede del secondo, non abbia provveduto a revocarlo. [ LEGGI TUTTO ]
Delibera non accettata di nomina di amministratore
Deve ritenersi inefficace e non invalida la delibera di nomina di un amministratore che non sia accettata dall’amministratore stesso. La delibera di nomina dell’amministratore è invero un atto negoziale proprio dei soci, che [ LEGGI TUTTO ]