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Art. 2392 c.c.
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25 Luglio 2022

La responsabilità del socio unico di s.r.l. ex art. 2462 c.c.

L’art. 2462 c.c. prevede la responsabilità illimitata del socio unico, in caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte dal momento in cui l’intera partecipazione gli è appartenuta e sino a che non sia stato pubblicizzato nel registro delle imprese la dichiarazione attestante la presenza di un unico socio.

Secondo la regola generale, il trasferimento delle partecipazioni produce effetti nei confronti della società dal momento del deposito presso l’ufficio del Registro delle Imprese ai sensi dell’art. 2470, co. 1, c.c. Quando a seguito del trasferimento delle partecipazioni la società diventa unipersonale, tale adempimento non è più sufficiente, richiedendo la norma al comma 4 il deposito di una dichiarazione contenente l’indicazione del cognome, nome, denominazione, data e luogo di nascita o Stato di costituzione, domicilio o sede e cittadinanza dell’unico socio. Un nuovo deposito della dichiarazione sarà necessario ove si costituisca o si ricostituisca la pluralità dei soci secondo il comma 5. Al deposito della dichiarazione è tenuto l’organo amministrativo delle società, ma la norma prevede al comma 6 anche la possibilità che vi provveda direttamente il socio che diventi o cessi di essere unico titolare delle partecipazioni sociali, in ragione delle conseguenze che derivano dal mancato adempimento.

La previsione della responsabilità illimitata dell’unico socio si pone quale sanzione derivante dal mancato rispetto di regole poste a tutela dei terzi per i casi di partecipazione di un socio unico alla società; pertanto, il socio unipersonale deve essere ritenuto responsabile illimitatamente al ricorrere di una soltanto delle condizioni previste dalla norma.

Qualora il medesimo soggetto sia socio unico ed amministratore di una società, non potendosi evidentemente determinare una duplicazione del medesimo danno, tale danno andrà imputato al soggetto in base ai differenti titoli (responsabilità derivante dall’accoglimento di un’azione di responsabilità come amministratore e responsabilità patrimoniale illimitata per le obbligazioni sociali, come socio unico).

I doveri di amministratori e liquidatori possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

Nei casi di azione di responsabilità ex art. 146 l. fall. intentata dal curatore nei confronti degli ex amministratori di una società fallita viene esercitata cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità che sarebbe stata esperibile dalla medesima società, se ancora in bonis, nei confronti dei propri amministratori ai sensi dell’art. 2393 c.c., sia l’azione che, ai sensi del successivo art. 2394 c.c., sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza del patrimonio della società debitrice.

In merito all’ammontare del danno, il nuovo terzo comma dell’art. 2486 c.c. ha introdotto una presunzione semplice con riferimento alla quantificazione del danno secondo il criterio dei netti patrimoniali ed una presunzione iuris et de iure in favore della procedura concorsuale con riguardo all’adozione del criterio residuale della differenza tra attivo e passivo, quando non sia possibile determinare i netti patrimoniali per la mancanza o irregolarità delle scritture contabili.

19 Luglio 2022

Responsabilità degli amministratori e business judgment rule

Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore, nello svolgimento delle mansioni al medesimo affidate, non può investire le scelte di gestione ovvero le relative modalità di attuazione, ancorché esse presentino profili di rilevante alea economica, bensì anzitutto la diligenza mostrata dall’amministratore nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, potendo pertanto avere ad oggetto, ad esempio, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche ed informazioni normalmente richieste per operazioni della stessa natura e tipologia e nelle medesime circostanze (regola c.d. “procedurale”; art. 2381, co. 6, c.c.).

La natura dell’obbligazione che incombe sugli amministratori per legge e per statuto – in relazione alla quale è commisurato, in chiave di adempimento, l’obbligo di agire con diligenza – è un’obbligazione di mezzi e non di risultato – attuare l’oggetto sociale nell’interesse della società, non meccanicamente identificabile con quello del socio maggioritario – e che è così configurata (non solo ma) anche perché conforme al principio fondante secondo cui del rischio d’impresa rispondono solo i soci e non gli amministratori. Se di quel rischio non si può far carico agli amministratori, allora ben si comprende il fondamento dell’altro aspetto della regola della c.d. business judgement rule, ossia che gli amministratori rispondono soltanto per scelte del tutto arbitrarie, manifestamente irrazionali (regola c.d. “sostanziale”).

Ne consegue che l’adempimento della “regola procedurale” non ha effetti totalmente scriminanti – ben potendo l’amministratore proceduralmente diligente compiere poi scelte del tutto arbitrarie – e, per converso, il suo inadempimento non essendo di per sé foriero di responsabilità, quando, pur disinformato, l’amministratore non abbia compiuto una scelta gestoria irrazionale o arbitraria.

Il rapporto tra regola sostanziale e regola procedurale può dunque combinarsi, in relazione alla natura contrattuale della responsabilità degli amministratori, in questo modo: (i) l’onere di provare la correttezza procedurale incombe sugli amministratori chiamati in responsabilità, pur trattandosi di un “onere temperato” in relazione all’onere di allegazione specifica che grava sull’attore; l’adempimento della regola procedurale comporta una presunzione iuris tantum di correttezza sostanziale della decisione assunta dagli amministratori; tuttavia, non è consentito, a livello interpretativo, di parlare di presunzione iuris et de iure, dunque invalicabile, sia perché in fase decisionale  in fase esecutiva ben possono scaturire decisioni ed esecuzioni assolutamente irrazionali o arbitratrie, sia perchè si costruirebbe, in via interpretativa, un inesistente limite positivo alla responsabilità degli amministratori ex art. 2392 c.c.; (ii) se invece quella prova è stata raggiunta ma l’attore (la società che agisce in responsabilità) intende provare comunque l’irrazionalità o arbitrarietà della scelta, l’onere di allegazione e prova incomberanno integralmente su di lui; (iii) se manca l’allegazione o la prova della correttezza procedurale, la prova della non irrazionalità dell’operazione dovrà essere data dall’amministratore convenuto.

30 Giugno 2022

Sull’amministratore di fatto di s.r.l.

L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: a) mancanza di un’efficace investitura assembleare; b) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; c) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza. La prova della posizione di amministratore di fatto implica, per ciò, l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori della attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del conferimento o per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, fosse sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico od occasionale.

24 Giugno 2022

Responsabilità per mala gestio dell’amministratore e del liquidatore di s.r.l.

Nonostante i doveri di amministratori e liquidatori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

Nel novero delle operazioni dannose meritano senz’altro di essere comprese le distrazioni del patrimonio sociale, intendendosi per tali tutte quelle azioni, in qualsiasi modo realizzate, che non perseguono altro fine se non quello di sottrarre beni e risorse finanziarie alla società, destinandoli al soddisfacimento di interessi ad essa estranei e, anzi, contrari al suo scopo.

Dalla differente natura dell’attività gestionale dell’amministratore e del liquidatore e dai diversi obblighi specifici che la legge impone loro, deriva, al fine di far valere la responsabilità del liquidatore, l’onere della curatela di allegare inadempimenti nei confronti del liquidatore specifici e diversi rispetto a quelli svolti nei confronti dell’amministratore di una società in bonis, quali, ad esempio, la contestazione circa l’omessa attività liquidatoria, ovvero circa le modalità non corrette di liquidazione per l’eventuale eccessivo protrarsi della stessa o per il compimento di atti non finalizzati ad una rapida dismissione dell’attivo.

23 Maggio 2022

Responsabilità dell’amministratore per il compimento di operazioni irragionevoli

L’amministratore della società ha il compito di gestire l’impresa compiendo tutte le operazioni necessarie per il conseguimento dell’oggetto sociale secondo i doveri imposti dalla legge, dall’atto costitutivo e dello statuto. L’obbligo di diligenza professionale posto dall’art. 2392 c.c. e dall’art 2476 c.c. impone all’amministratore di gestire il patrimonio sociale ed indirizzare l’attività economica nel modo più idoneo agli interessi della società.

In tema di responsabilità dell’amministratore di una società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata, l’insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione (c.d. business judgment rule) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi sia ex ante, sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.

La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori verso la società comporta che quest’ultima ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni, l’illiceità delle condotte ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.

18 Maggio 2022

La responsabilità degli amministratori privi di deleghe

La posizione di garanzia e l’obbligo di intervento dell’amministratore non delegato che deve “agire informato” postulano la necessaria conoscibilità degli eventi che abbiano una portata pregiudizievole per la società. La responsabilità degli amministratori non operativi potrà essere ravvisata solo nel caso in cui sia configurabile una violazione dell’obbligo di valutazione del generale andamento della gestione, per essersi gli stessi astenuti dal controllare le operazioni compiute dai delegati di cui erano a conoscenza sulla base delle informazioni loro richieste o fornite.

La qualifica di amministratore delegante non consente l’assunzione di un atteggiamento meramente passivo che si pone in contrasto con il dovere di agire in modo informato. Il diritto di matrice individuale di cui al comma sesto dell’art. 2381 c.c. consente a ciascun consigliere di poter svolgere le proprie funzioni in modo consapevole, è direttamente correlato al dovere degli amministratori delegati di rendere in sede consiliare le informazioni richieste, e si configura come “dovere” ogniqualvolta la sua attivazione sia strumentale all’adempimento dell’obbligo di agire in modo informato, obbligo dal cui inadempimento può, inoltre, scaturire un’autonoma e specifica responsabilità.

Ne consegue, con riferimento al ruolo gestorio degli amministratori non operativi, che l’atteggiamento dismissivo e di sostanziale disinteresse alla gestione societaria non può essere addotto a causa esonerativa della responsabilità, ma va censurato come condotta inerte colpevole, di chi si sottrae agli obblighi incombenti per la carica rivestita, primo fra tutti quello di “agire informati”.

17 Maggio 2022

Trasformazione in s.p.a. di UBI e limitazione del rimborso delle azioni del socio receduto

In ossequio all’art. 28, co. 2 ter, t.u.b., la Banca d’Italia ha adottato nella Circolare n. 285 del 2013 (come successivamente modificata) le disposizioni di attuazione della riforma di cui al c.d. decreto di riforma delle banche popolari (d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 convertito in l. 24 marzo 2015, n. 33), che ha imposto l’obbligo di trasformazione a tutte le banche popolari di maggiori dimensioni. Con tali disposizioni, la Banca d’Italia ha previsto che: (i) le banche, costituite in forma di società cooperativa, muniscano i propri statuti sociali di un’apposita clausola, la quale attribuisca all’organo avente funzione di gestione, sentito l’organo con funzione di controllo, la facoltà di limitare o rinviare, in tutto o in parte senza limiti di tempo, il rimborso delle azioni del socio receduto; (ii) la decisione sull’estensione del rinvio o sulla misura della limitazione vada assunta con criterio prudenziale tenuto conto della situazione della banca, valutando in particolare, da una parte, la complessiva situazione finanziaria, di liquidità e di solvibilità della banca o del gruppo bancario e, dall’altra, l’importo del capitale primario di classe e del capitale totale, unitamente ai requisiti specifici di fondi propri e al requisito combinato di riserva di capitale; (iii) il rimborso effettivo sia comunque subordinato all’autorizzazione dell’autorità competente, ai sensi di quanto previsto dall’art. 77 del Regolamento UE 575/2013 e dal Regolamento Delegato UE 241/2014. Alla luce della normativa richiamata, la banca popolare, al momento della trasformazione in s.p.a., ha la facoltà di limitare il diritto di rimborso delle azioni recedute – attraverso il rinvio, anche in toto e sine die, del pagamento del controvalore attribuito alle azioni, oppure attraverso la sua limitazione quantitativa, totale o parziale – qualora, a seguito della valutazione dei parametri indicati dall’autorità di vigilanza, risulti funzionale al mantenimento della stabilità patrimoniale e finanziaria dell’istituto bancario.

L’organo amministrativo è chiamato a tale valutazione disponendo di un margine di discrezionalità tecnica, giacché i citati criteri che debbono orientare ex lege la sua scelta sono costituiti non solo da indici numerici fissi, ma anche da criteri mobili, volutamente elastici, costituiti dalla complessiva situazione finanziaria, di liquidità, di disponibilità della banca o del gruppo bancario. Inoltre, i criteri previsti ex lege non hanno portata esaustiva, potendo infatti la banca ricorrere ad ulteriori canoni di valutazione per orientare le proprie scelte. Ciò si deduce dal tenore dell’art. 10, par. 3, del Regolamento Delegato n. 241/2014, ove è previsto che l’entità della limitazione al rimborso debba essere determinata tenendo conto “in particolare, ma non esclusivamente” dei criteri poi indicati, nonché della norma interna che, attraverso la locuzione “in particolare”, richiama un’elencazione meramente esemplificativa dei canoni soggetti al vaglio dell’organo amministrativo. In tale prospettiva, è corretto valutare l’incidenza del costo del recesso sull’equilibrio patrimoniale della banca e dell’intero gruppo di appartenenza anche in una visione prospettica oltreché attuale, attribuendo rilievo a margini prudenziali supplementari rispetto ai requisiti minimi di patrimonializzazione. La scelta di adottare un tale più ampio margine prudenziale, anche in ossequio al principio di buona fede nello svolgimento del rapporto sociale, va ad ogni modo congruamente motivata esplicitando le ragioni, nonché gli indici patrimoniali e di bilancio che hanno portato ad una tale determinazione. Trovano, così, tutela sia l’interesse del singolo azionista a vedere remunerato il proprio investimento, sia l’interesse dell’istituto di credito alla propria stabilità patrimoniale e finanziaria, sia gli interessi generali di cui è espressione, quali la tutela del risparmio e del mercato.

Il sindacato dell’autorità giudiziaria ha natura estrinseca in quanto non può spingersi a valutare, nel merito, le singole scelte discrezionali che hanno portato la banca a limitare il diritto di rimborso, dovendosi, invece, limitare a vagliare se tali scelte siano motivate, rispondenti ai criteri di legge, non irragionevoli. Il vaglio rimesso al giudice ordinario deve consentire, quindi, di verificare che i limiti di rimborso decisi nell’esercizio di tale facoltà non eccedano quanto necessario, tenuto conto della situazione prudenziale di dette banche, al fine di garantire che gli strumenti di capitale da essi emessi siano considerati strumenti del capitale primario di classe 1, alla luce, in particolare, degli elementi di cui all’art. 10, par. 3, del regolamento delegato n. 241/2014, circostanza che spetta al giudice verificare.

La disciplina generale del diritto di recesso nelle società di capitali riconosce al socio che abbia manifestato la volontà di recesso il pieno diritto di contestare il valore di liquidazione della partecipazione proposto dagli amministratori, ai sensi dell’art. 2437 ter, co. 6, c.c., senza alcuna necessità della preventiva impugnazione per l’annullamento della delibera che lo ha stabilito.

Le regole di comportamento che presidiano la funzione amministrativa, tra le quali quelle di cui agli artt. 2381, co. 6, e 2392, co. 1, c.c. raggiungono un’intensità massima in presenza di beni e/o interessi pubblicistici, come nel caso di amministratori di banche quotate sul mercato azionario. Tra gli obblighi degli amministratori, assumono particolare rilievo quelli di rendere puntuale e completa informativa ai soci sull’andamento dello stato patrimoniale e finanziario della società, cui, simmetricamente, corrisponde il diritto soggettivo del socio o del creditore di essere informato. Tale posizione soggettiva attiva si declina – nell’ipotesi di exit – nel diritto di conoscere il valore di liquidazione delle azioni ex art. 2437 ter, co. 5, c.c., come determinato dagli amministratori. L’obbligo di adeguata informazione è, inoltre, specificato nella Circolare n. 285/2013 di Banca D’Italia, che imponeva alla banca e al suo management di rendere nota ai soci ogni informazione utile al fine di consentire loro un esercizio il più possibile consapevole del diritto di recesso.

28 Aprile 2022

Responsabilità dell’amministratore e il danno cagionato dall’anticipato rimborso di crediti postergati

L’azione di responsabilità verso gli amministratori promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. si prescrive in 5 anni dal momento della percepibilità dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti. Per l’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento. Peraltro, l’azione ex art. 146 l. fall. del curatore fallimentare unisce in sé le azioni di responsabilità degli amministratori verso la società (art. 2393 c.c.) e verso i creditori sociali (art. 2934 c.c.). Quando il curatore agisce nei confronti del liquidatore (o amministratore) in carica prima della costituzione dell’organo fallimentare: (i) il termine quinquennale di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c.) decorre dalla cessazione del liquidatore (o amministratore) dalla carica, avvenuta al momento della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento; (ii) il termine quinquennale di prescrizione dell’azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti. L’onere di provare che l’insufficienza del patrimonio sociale si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento grava sul liquidatore (o amministratore) che eccepisce la prescrizione dell’azione. Tuttavia, la mera constatazione che da un bilancio precedente la dichiarazione di fallimento fosse rilevabile l’elevata esposizione debitoria della società non implica, di per sé, né che la stessa fosse insolvente, né che il patrimonio fosse insufficiente a soddisfare i creditori sociali.