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Art. 2393 c.c.
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Trasferimento di fatto dell’azienda mediante distrazione cespiti e responsabilità solidale tra gli amministratori della cedente e la cessionaria

Il trasferimento d’azienda può avvenire anche in via di mero fatto, vale a dire in assenza di un formale atto di cessione, ogni qualvolta si determini il passaggio ad un diverso soggetto giuridico di un complesso di beni di per sè idoneo a consentire l’inizio o la continuazione di una determinata attività d’impresa, requisito configurabile anche quando detto complesso non esaurisca i beni costituenti l’azienda o il ramo ceduti, ma per la sussistenza del quale è indispensabile che i beni oggetto del trasferimento conservino un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario, all’esercizio dell’impresa.

Sono individuabili una serie di circostanze sintomatiche, idonee a disvelare (pur in assenza di un formale contratto tra le parti) l’esistenza di un trasferimento di fatto dell’azienda in ragione della distrazione e del travaso in favore di una seconda società di una serie di elementi che nel loro complesso rappresentano un’utilità economica organizzata idonea a consentire la prosecuzione dell’attività di impresa; sono tali, ad esempio, l’analogia o l’identità delle attività esercitate, l’identità soggettiva dei soci o delle cariche sociali e dei dipendenti e collaboratori impiegati, il trasferimento di una parte significativa dei beni aziendali e l’esistenza degli stessi clienti e fornitori [indici, questi, tutti ravvisabili nel caso di specie, ove – sebbene tra le due società fosse stato definito un contratto formale di cessione di attrezzature – si era verificata un trasferimento occulto di azienda con sovrapponibilità tra le stesse ed una identità di attività e di fattori produttivi: (i) identità di soggetti coinvolti quali soci ed amministratori; (ii) medesima attività di impresa svolta; (iii) trasferimento di quasi tutti i dipendenti; (iv) acquisizione di numerosi beni strumentali; (v) trasferimento dei contratti di appalto con gli stessi clienti della prima ed alle medesime condizioni giuridiche ed economiche].

Orbene, al trasferimento di fatto d’azienda consegue, quale effetto naturale, un fenomeno successorio anche in relazione ai contratti di impresa e, quindi, il subentro del cessionario, ai sensi dell’art. 2558 c.c., in tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale. Subentro automatico che appare riferibile non solo ai cosiddetti “contratti di azienda”, vale a dire quelli aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale, ma anche ai cosiddetti “contratti di impresa”, vale a dire quelli attinenti all’organizzazione dell’impresa stessa, come i contratti di appalto.

Il trasferimento di fatto d’azienda, così come la successione contrattuale che ne discende, non integra di per sé una condotta illecita, ma può dar luogo ad una tutela risarcitoria, qualora il trasferimento, di fatto appunto, in astratto perfettamente lecito, presenti evidenti connotati di illiceità e sia finalizzato a sottrarre l’azienda alla garanzia dei creditori o, comunque, a distrarne il patrimonio e l’avviamento a fronte di un prezzo vile o, addirittura, in assenza di corrispettivo.

Il trasferimento di fatto dell’azienda tramite spoliazione dei cespiti produttivi e lo svuotamento della prima società in ragione del trasferimento dei beni aziendali in capo ad una seconda, con contestuale cessazione della attività della prima (in ragione della assenza di beni organizzabili per lo svolgimento di una attività di impresa o, comunque, in conseguenza della loro dismissione) costituisce illecito per atti di mala gestio e riveste natura di condotta distrattiva di beni e di avviamento; in tale situazione è riconosciuto alla società danneggiata ed ai creditori sociali il diritto di ottenere il risarcimento dei danni e la condanna – in solido per concorso tra loro – degli amministratori della cedente e della società cessionaria beneficiaria (l’identità dei soci e degli amministratori rendono verosimile ritenere che la società beneficiaria fosse consapevole) del trasferimento di fatto e degli atti distrattivi dell’azienda.

22 Dicembre 2022

Le azioni del curatore fallimentare

Il curatore può far valere la responsabilità degli amministratori (nonché del direttore generale e dei liquidatori), della società fallita tanto a mezzo dell’azione sociale, in quanto ve ne siano i presupposti, e cioè il danno prodotto al patrimonio sociale da un atto, colposo o doloso, commesso in violazione dei doveri imposti a loro carico dalla legge o dall’atto costitutivo, quanto a mezzo dell’azione dei creditori sociali, in quanto ve ne siano i presupposti, vale a dire il pregiudizio arrecato al patrimonio sociale nella misura in cui sia stato reso insufficiente alla integrale soddisfazione dei creditori della società, da un atto commesso con dolo o con colpa, in violazione degli obblighi funzionali alla conservazione della sua integrità.

Le due azioni, ancorchè diverse, vengono ad assumere nell’ipotesi di fallimento, carattere unitario ed inscindibile, nel senso che i diversi presupposti e scopi si fondano tra loro al fine di consentire l’acquisizione di quel che è stato sottratto al patrimonio sociale per fatti loro imputabili.

Tuttavia, malgrado entrambe vengano esercitate in forma cumulativa ed inscindibile, esse presentano autonomia giuridica, conservando la loro natura giuridica e disciplina. L’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c. ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo; l’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c. ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale.

22 Dicembre 2022

Responsabilità dell’amministratore di s.r.l. per la violazione degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale

È riconosciuta in capo al curatore, anche di s.r.l. fallite, la piena legittimazione all’esercizio tanto dell’azione sociale di responsabilità, quanto dell’azione dei creditori sociali, potendo lo stesso esercitare, anche cumulativamente, entrambe le azioni, atteso il carattere unitario ed inscindibile dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall. L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ai sensi dell’art. 146, co. 2, l. fall. cumula in sé le azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., tant’è che il curatore può, anche separatamente, formulare domande risarcitorie tanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale, che ha natura contrattuale, quanto con riguardo a quelli della responsabilità verso i creditori.

La disposizione di cui all’art. 146 l. fall. prevede la legittimazione del curatore a esercitare le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori della società fallita, dovendosene dedurre che il curatore può esercitare qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società.

Con riguardo alla responsabilità dell’amministratore per la violazione degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, la quale sia stata compromessa da prelievi di cassa o pagamenti in favore di terzi in assenza di causa, deve ritenersi dimostrata per presunzioni la distrazione del denaro sociale da parte dell’amministratore ove questi non provi la riferibilità alla società delle spese o la destinazione dei pagamenti all’estinzione di debiti sociali.

16 Dicembre 2022

Il criterio di liquidazione del danno della differenza dei netti patrimoniali

Il criterio della c.d. differenza dei netti patrimoniali è stato codificato nella più recente riforma dell’art. 2486 c.c. quale regola presuntiva, ma esso era già conosciuto e ritenuto adeguato in giurisprudenza per misurare il danno derivante dalla mancata conversione dell’attività a mera gestione conservativa, pur a seguito di perdite rilevanti del capitale sociale, in quelle situazioni in cui la prosecuzione dell’attività non sia avvenuta mediante singoli e bene individuabili atti, ma nella miriade delle operazioni caratteristiche della continuità aziendale, eventualmente anche di effetto utile e magari anche recuperatorie di valori. Il criterio permette di percepire e paragonare l’effetto complessivo della gestione indebita, in quanto non meramente conservativa, alla fine del periodo di osservazione, quando tale gestione indebita cessa, rispetto al momento in cui essa avrebbe dovuto cessare, tenendo conto anche dei costi che sarebbero comunque gravati sulla società durante un congruo periodo di liquidazione.

Il termine prescrizionale dell’azione sociale non decorre se non dalla cessazione del rapporto di amministrazione, ai sensi degli artt. 2941, n. 7, e 2393 c.c. L’azione di cui all’art. 2394 c.c. vede, invece, decorrere la prescrizione dalla data in cui si rende palese al ceto creditorio la insufficienza patrimoniale della società.

16 Dicembre 2022

L’azione sociale di responsabilità promossa contro gli amministratori ha natura contrattuale

In tema di responsabilità degli amministratori, gli elementi costitutivi dell’azione sociale di responsabilità si sostanziano nell’allegazione dell’inadempimento degli amministratori ai doveri loro imposti dalla legge o dall’atto costitutivo (compresa la negligenza commisurata alla natura dell’incarico e alle specifiche competenze, con il limite della c.d. business judgment rule) e nella domanda di risarcimento del danno che i loro comportamenti inadempienti abbiano provocato al patrimonio della società.

L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori di società di capitali si fonda sulla violazione, da parte degli amministratori, degli obblighi derivanti dalla legge e dallo statuto e mira a reintegrare il patrimonio sociale anche in termini di mancato guadagno. L’azione ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi (al patrimonio della società), mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti dalla carica.

16 Dicembre 2022

Criteri per l’individuazione dell’amministratore di fatto

Ai sensi dell’art. 2639 c.c., è amministratore di fatto “chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.

Secondo l’orientamento della giurisprudenza prevalente, la corretta individuazione della figura dell’amministratore di fatto richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie (svolte in via di fatto) non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni.

Peraltro, la significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione. In relazione a questi criteri, lo svolgimento di funzioni tipiche dell’amministratore di fatto non presuppone uno svuotamento o undepotenziamento costante e non solo occasionale del ruolo dell’amministratore di diritto, poiché tale svuotamento può assumere valenza indiziaria, ma non costituisce un requisito necessario per il riconoscimento della figura, ben potendo l’amministrazione essere affidata a più persone, con coesistenza di amministratori di diritto e di fatto; in altri termini, l’esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici dell’amministratore dev’essere accertato, in positivo, per l’amministratore di fatto e non, in negativo, rispetto all’amministratore di diritto, fatta salva la rilevanza probatoria anche dei comportamenti di quest’ultimo.

Le norme di legge che disciplinano l’attività degli amministratori di una società di capitali sono applicabili non soltanto alle persone fisiche immesse, nelle forme stabilite dalla legge, mediante atto negoziale di preposizione gestoria nelle funzioni di amministrazione, ma anche a coloro che si siano di fatto ingeriti nella gestione della società in assenza di una qualsivoglia investitura da parte dell’assemblea. Pertanto, i responsabili delle violazioni di dette norme vanno individuati non sulla base della loro qualificazione formale, bensì con riguardo al contenuto delle funzioni concretamente esercitate; con l’ulteriore, necessaria precisazione che l’individuazione della figura del cosiddetto “amministratore di fatto” presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non anche meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale.

Al fine di far emergere il soggetto che effettivamente esercita le funzioni gestorie e di individuare, quindi, l’amministratore di fatto è possibile far riferimento a elementi quali l’assenza di una efficace investitura assembleare, l’attività esercitata (non occasionalmente ma) continuativamente, le funzioni riservate alla competenza degli amministratori di diritto, l’autonomia decisionale (non necessariamente surrogatoria, ma almeno cooperativa non subordinata) rispetto agli amministratori di diritto.

12 Dicembre 2022

Responsabilità dell’amministratore di s.r.l. e dell’amministratore di fatto

Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, ovvero per non aver osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, essi possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

L’individuazione della figura del c.d. amministratore di fatto presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni; l’influenza dell’amministratore di fatto si deve tradurre, per essere rilevante, nell’ingerenza concreta nella gestione sociale che abbia il carattere della sistematicità.

7 Dicembre 2022

Sulla prova dell’assunzione del ruolo di amministratore di fatto

L’espletamento in via di fatto del ruolo di amministratore della società deve essere provato mediante fonti atte a dimostrare che il terzo abbia assunto decisioni per la gestione della società, senza rivestire alcun ruolo che lo legittimasse a tanto. Rientrano in tale ambito le decisioni attinenti alla gestione dei rapporti con i dipendenti, con i terzi fornitori, con i fruitori dell’attività svolta dalla società, con le banche o comunque con soggetti in relazione con la società per i suoi fini istituzionali.

7 Dicembre 2022

Responsabilità dell’amministratore per mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili e dei libri sociali

Per potere affermare la responsabilità dell’amministratore occorre la prova che la società abbia subito un danno quale diretta conseguenza della sua azione o omissione posta in essere nell’esercizio delle sue funzioni. Il comportamento dell’amministratore non può invece essere sindacato, anche se contrario ai suoi doveri, se non ha determinato alcun danno. La tenuta irregolare dei libri e delle scritture contabili, sebbene accertata, non è quindi causa di responsabilità risarcitoria dell’amministratore ove non sia dimostrato che dette irregolarità abbiano comportato il depauperamento del patrimonio sociale.

Il debito risarcitorio ex art. 2393 c.c. ha natura di debito di valore – come tale sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria sino al momento della sua liquidazione – ancorché il danno consista nella perdita di una somma di danaro, costituendo questo solo un elemento per la commisurazione dell’ammontare del danno, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo.

7 Dicembre 2022

Responsabilità degli amministratori derivante dall’illegittima prosecuzione dell’attività di impresa

Il criterio che quantifica il danno da illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa è quello della differenza tra il patrimonio netto calcolato alla data del fallimento e alla data in cui l’attività avrebbe dovuto cessare. Poiché il patrimonio dell’impresa costituisce la misura del soddisfacimento dei creditori fallimentari, infatti, la diminuzione di valore di detto patrimonio rappresenta un danno per i creditori, ma anche per la stessa società, privata della prospettiva del rientro in bonis, una volta pagati i creditori, quando residui un attivo; e ciò ferma restando la risarcibilità dei danni riconducibili a singole condotte, laddove non siano assorbiti dall’incremento del passivo altrimenti calcolato. Vanno comunque dedotti quei costi che sarebbero stati sostenuti anche nella fase di liquidazione, previa riclassificazione dei dati patrimoniali in prospettiva liquidatoria, ossia compiendo sui bilanci le operazioni necessarie a valorizzare il patrimonio non più come strumento funzionale alla produzione del reddito d’impresa, ma come insieme dei cespiti da liquidare per il soddisfacimento dei creditori.

Salvo prova contraria, i componenti del consiglio di amministrazione hanno i medesimi poteri decisori e pertanto, in assenza di un operoso dissenso di taluno di essi rispetto alla gestione sociale, va applicata la regola della solidale responsabilità dei componenti dell’organo amministrativo collegiale. In questo senso, la redazione o l’approvazione del bilancio sono indici esterni della consapevolezza della situazione patrimoniale della società in capo a tutti gli amministratori, i quali hanno il dovere di avere costante conoscenza della situazione economico-finanziaria e patrimoniale della società.