Art. 2394 bis c.c.
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Domanda proposta nei confronti dell’impresa sottoposta a l.c.a.
Nelle procedure concorsuali opera il principio secondo il quale tutti i crediti vantati nei confronti dell’imprenditore insolvente devono essere accertati secondo le norme che ne disciplinano il concorso, sicché la domanda formulata da chi si afferma creditore in sede di cognizione ordinaria, se proposta prima dell’inizio della liquidazione coatta amministrativa, diviene improcedibile e tale improcedibilità sussiste anche se la procedura concorsuale sia stata aperta, dopo una pronuncia di condanna nei confronti dell’impresa insolvente, nel corso del giudizio in Cassazione.
Responsabilità dell’amministratore per aggravamento del dissesto in ragione dell’illecita prosecuzione dell’attività
L’azione promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. compendia in sé tanto l’azione sociale di responsabilità, volta a reintegrare il patrimonio della società, quanto l’azione dei creditori sociali, volta ad assicurare il soddisfacimento delle ragioni di credito di questi. La prima ha natura contrattuale, atteso che l’amministratore assume verso la società l’obbligo di svolgere il proprio compito con l’ordinaria diligenza, mentre la seconda ha natura aquiliana. Ne consegue che, riguardo all’azione contrattuale, sarà onere del convenuto provare l’adempimento agli obblighi sullo stesso gravanti in ragione del ruolo ricoperto e la non imputabilità a sé dei fatti dannosi; invece, con riguardo all’azione aquiliana, la curatela ha l’onere di dimostrare la condotta dolosa o colposa posta in essere dal convenuto, il danno arrecato ai creditori mediante tale condotta ed il nesso di causalità tra la prima ed il secondo.
In nessun caso è dato sindacare il merito gestorio, ossia le singole scelte amministrative e gestionali, purché sorrette da criteri di ragionevolezza. Infatti, l’obbligazione contratta dall’amministratore, come pure del liquidatore, è di natura professionale, trattandosi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori o ai liquidatori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purchè questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.
L’improcedibilità dell’azione di responsabilità promossa dal creditore nei confronti dei sindaci per l’intervenuto fallimento della società
La responsabilità dei sindaci presuppone che: (i) gli amministratori abbiano posto in essere un comportamento illecito; (ii) da tale comportamento sia derivato un danno; (iii) i sindaci, in violazione degli obblighi imposti a loro carico, non abbiano vigilato con professionalità e diligenza; (iv) sussista una relazione di causa-effetto tra la mancata vigilanza dei sindaci o il loro comportamento negligente e il danno. La responsabilità dei sindaci, anche nell’ipotesi in cui essa sia concorrente rispetto a quella degli amministratori, non costituisce una responsabilità indiretta, ma una responsabilità per fatto proprio consistente nella violazione del dovere di vigilare diligentemente sull’operato degli amministratori (responsabilità per culpa in vigilando). I sindaci rispondono, infatti, non per il fatto in sé che il danno sia stato dagli amministratori cagionato, ma solo in quanto sia configurabile, a loro carico, la violazione di un obbligo inerente alla loro funzione e, in particolare, dell’obbligo di vigilare sull’amministrazione della società con la diligenza richiesta dall’art. 2407, co. 1, c.c., di denunziare le irregolarità riscontrate e di assumere le iniziative sostitutive o conseguenti. La responsabilità dei sindaci è, quindi, limitata ai danni derivanti da quegli illeciti che avrebbero potuto o dovuto impedire esercitando, in maniera diligente, il loro controllo e, per converso, è esclusa per i danni, derivanti da comportamenti degli amministratori che, vigilando con professionalità e diligenza, non avrebbero comunque in alcun modo potuto evitare.
Nel caso di fallimento della società ovvero di assoggettamento della stessa a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria, la legittimazione esclusiva all’esercizio dell’azione di cui all’art. 2394 c.c. è, dal successivo art. 2394 bis c.c., affidata rispettivamente al curatore del fallimento, al commissario liquidatore e al commissario straordinario. Con tale scelta, il legislatore ha inteso rimarcare la parità di condizioni dei creditori sociali in conseguenza dell’assoggettamento della società a procedure concorsuali. Parimenti, l’art. 2497, co. 4, c.c. prevede che nel caso di fallimento di società soggetta a direzione e coordinamento, l’azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore. Da ciò e dalla considerazione di ordine generale per cui la legitimatio ad causam, quale condizione dell’azione, deve sussistere e permanere per l’intera durata del procedimento discende che anche nel caso in cui il fallimento della società intervenga nella pendenza del giudizio già promosso dal creditore sociale ex artt. 2394 e 2407 c.c., unico soggetto legittimato a promuovere e coltivare dette azioni, a tutela della massa dei creditori, è il curatore; per modo che deve pervenirsi indefettibilmente alla declaratoria della improcedibilità dell’azione ex artt. 2394 e 2407 c.c. coltivata dal singolo creditore pur dopo l’apertura della procedura concorsuale a carico della società debitrice.
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall.
L’azione esperita dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. ha una duplice natura: l’azione di responsabilità nei confronti di amministratori, liquidatori, sindaci e revisori esercitata a tutela della società ha natura contrattuale, mentre l’azione a tutela dei creditori sociali ha natura extracontrattuale. Tale duplice natura si riflette sull’onere della prova: infatti, con riferimento all’azione sociale, è onere dell’amministratore provare l’adempimento degli obblighi sullo stesso gravanti in ragione del ruolo ricoperto e la non imputabilità a sé dei fatti dannosi; invece, con riguardo all’azione aquiliana, la curatela ha l’onere di dimostrare la condotta dolosa o colposa posta in essere dall’amministratore, il danno arrecato ai creditori mediante tale condotta ed il nesso di causalità tra la prima e il secondo.
Al giudice non è consentito sindacare il merito gestorio; pertanto, non sono addebitabili agli amministratori o ai liquidatori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento ai sensi dell’art. 146 l. fall. compendia in sé le azioni previste a tutela della società stessa e dei creditori sociali, come espressamente previsto ex art. 2394 bis c.c. per le s.p.a.; eguale previsione si ricava agevolmente, per le s.r.l., dal combinato disposto degli artt. 2476, co. 1 e 6, c.c. e 146 l. fall. L’azione esperita dal curatore del fallimento, prevista dall’art. 146 l. fall., ha una duplice natura: ha natura contrattuale l’azione di responsabilità nei confronti di amministratori, liquidatori, sindaci e revisori esercitata a tutela della società, e natura extracontrattuale l’azione a tutela dei creditori sociali, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di onere della prova.
Non è consentito sindacare il c.d. merito gestorio, poiché l’obbligazione contratta dall’amministratore è di natura professionale, trattandosi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.
Sulla corretta individuazione dell’amministratore di fatto
La figura del c.d. “amministratore di fatto” presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non anche meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni; l’influenza dell’amministratore di fatto si deve tradurre, per essere rilevante, nell’ingerenza concreta nella gestione sociale che abbia il carattere della sistematicità.
La responsabilità del socio di s.n.c. receduto per le obbligazioni sociali in caso di successivo fallimento della società
La responsabilità solidale e illimitata del socio di s.n.c. per le obbligazioni sociali è posta a tutela dei creditori della società e non di quest’ultima, sicché solo i creditori possono agire nei confronti dei soci per il pagamento dei debiti sociali e non anche la società. Nella liquidazione di una società in bonis, se i fondi per il pagamento dei debiti sociali sono insufficienti, il liquidatore può richiedere ai soci, oltre ai conferimenti ancora ineseguiti, le somme necessarie, nei limiti della rispettiva responsabilità e in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite. La norma non si applica alla società fallita, nel senso che la contribuzione del socio illimitatamente responsabile si sostanzia nella sottoposizione del socio stesso a fallimento, ai sensi e nei limiti degli artt. 10 e 147 l.fall., mentre il socio cessato da oltre un anno, e quindi non assoggettabile a fallimento, non è nemmeno soggetto all’applicazione dell’art. 2280, co. 2, c.c., proprio perché ormai estraneo al rapporto sociale.
Il curatore non ha un generale potere-dovere di sostituirsi ai creditori del fallito nell’esercizio di azioni corrispondenti a diritti di cui essi siano titolari, quando non si tratti di azioni volte alla ricostruzione del patrimonio del fallito o quando una siffatta legittimazione non sia stata espressamente prevista dal legislatore, come ad esempio accade nel caso dell’azione di responsabilità spettante ai creditori sociali contro gli amministratori della società fallita, che gli artt. 2394 e 2394 bis c.c. esplicitamente legittimano il curatore ad esperire. Con riguardo alle azioni volte alla ricostruzione del patrimonio del fallito (le cc.dd. azioni di massa), i dati qualificanti consistono nella reintegrazione della garanzia generica del credito e nel carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo. Al contrario, quando una pretesa richiede l’accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo ad uno o più creditori o, pur interessando una platea più o meno estesa, ma non la generalità del ceto creditorio, necessita pur sempre dell’esame di specifici rapporti e del loro svolgimento, l’azione non può qualificarsi di massa e non compete la legittimazione del curatore in sostituzione dei singoli creditori.
La sostituzione nella legitimatio ad causam del curatore al singolo creditore non esiste in assenza, da una parte, di una norma espressa di legge e, dall’altra, di un’azione di massa, che benefici indistintamente il ceto creditorio nel suo insieme, come un’azione revocatoria o di simulazione. Nessuna disposizione toglie al creditore sociale la facoltà di agire nei confronti del socio non fallito di s.n.c., poiché l’onere di sottoporsi all’accertamento del passivo (art. 52 l.fall.) e il divieto di azioni esecutive individuali (art. 51 l.fall.) riguarda le sole pretese nei confronti del fallito e i beni compresi nel fallimento. Il risultato utile dell’azione non può andare indistintamente a beneficio della massa creditoria, visto che il curatore, per essere coerente con la sua tesi, dovrebbe formare una massa attiva separata, destinandone il ricavato ai soli creditori di cui l’ex socio deve rispondere ex art. 2290 c.c. Tuttavia, la legge fallimentare ammette bensì masse separate ai fini del riparto, ma solo in quanto esistano prelazioni speciali (ipoteca, pegno ecc.), o in quanto, specificamente nella società con soci illimitatamente responsabili, il socio sia personalmente fallito. Se invece il curatore destina il risultato dell’azione indistintamente a beneficio della generalità dei creditori e quindi riversa le somme incassate dall’ex socio non fallito nel conto della massa attiva sociale, aggrava la posizione dell’ex socio, visto che le somme versate andrebbero a pagare spese prededucibili (innanzitutto, i compensi del curatore e dei suoi ausiliari) e i crediti concorsuali secondo la rispettiva graduazione e non necessariamente quelli di cui il non fallito deve rispondere, lasciandolo esposto medio tempore e dopo la chiusura della procedura a pagare una seconda volta a mani del creditore.
Responsabilità dell’amministratore per la continuata e sistematica omissione di pagamenti verso l’erario, nonché per l’indebita prosecuzione dell’attività di impresa
Responsabilità dell’amministratore per il mancato versamento dei contributi previdenziali, mancata tenuta delle scritture contabili e distrazione di beni
È onere dell’amministratore fornire prova quanto all’impiego, in coerenza con gli scopi della società, degli importi che il curatore non ha rinvenuto nelle casse sociali. Infatti, la natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore sociale consente alla società che agisca per il risarcimento del danno, o al curatore in caso di sopravvenuto fallimento di quest’ultima, di allegare l’inadempimento dell’organo gestorio quanto ai fatti distrattivi, una volta dimostrati, restando, infatti, a carico del convenuto l’onere di dimostrare l’utilizzazione delle somme nell’esercizio dell’attività di impresa.
L’omessa tenuta o conservazione delle scritture contabili è condotta che non può essere assunta, in sé stessa, quale fonte di un diritto al risarcimento ove non si dimostri che essa è stata causa di violazioni che hanno prodotto un danno alla società, ai creditori o ai terzi, indicando le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.
Le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite, anche se l’attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo, e salvo che l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria.
Legittimazione attiva del curatore fallimentare per l’esercizio dell’azione dei creditori sociali
Dopo il fallimento della società debitrice l’azione di cui all’art. 2394 c.c. è esperibile in via esclusiva dal curatore del fallimento della stessa, con la legittimazione del quale non può concorrere quella dei creditori sociali per l’azione di loro spettanza, essendo quest’ultima assorbita, in costanza della procedura fallimentare, dall’azione di massa e non potendo, quindi, finché dura il fallimento, ad essa sopravvivere, ancorché il curatore rimanga inerte. Rimane in capo al singolo creditore della società fallita la diversa azione individuale del terzo di cui all’art. 2395 c.c., che presuppone un “danno diretto” al patrimonio del terzo-creditore, derivante dall’azione dolosa o colposa degli amministratori della fallita.