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Art. 2394 c.c.
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12 Dicembre 2019

Legittimazione attiva del fallimento all’esercizio dell’azione nei confronti dei revisori

L’art. 146 legge fallimentare disciplina le azioni di responsabilità esperibili dalla Curatela e, al secondo comma, lettera a) stabilisce che “sono esercitate dal curatore, previa autorizzazione del Giudice Delegato, sentito il Comitato dei creditori, le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori”. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il Curatore Fallimentare può esercitare tutte quelle azioni che fanno capo alla stessa società fallita, o che sono qualificabili come azioni di massa, perché così il legislatore le ha espressamente qualificate in quanto destinate ad incrementare la massa dei beni sui quali i creditori ammessi al passivo possono soddisfare le proprie ragioni secondo le regole del concorso.

L’esercizio dell’azione di responsabilità per tutti i soggetti indicati dalla norma fallimentare prescinde dunque dalla specifica natura delle due azioni – l’azione sociale ex art.2393 c.c. di natura contrattuale che presuppone un danno alla società e l’azione spettante ai creditori ex art. 2394 c.c. di natura extracontrattuale che presuppone l’insufficienza patrimoniale – e consente l’unificazione degli scopi di queste ultime al fine di acquisire all’attivo fallimentare ciò che in ipotesi è andato sottratto o perso per fatto imputabile a tutti gli organi sociali. L’art. 146 l.f. è norma di natura processuale e meramente ricognitiva della legittimazione del Curatore ad esercitare le azioni di responsabilità civilistiche, presentando una formulazione ampia rispetto ai soggetti passivi destinatari della predetta azione. Inoltre trattasi di disposizione a carattere “normativo”, in quanto necessita di essere letta non atomisticamente, ma alla luce delle disposizioni codicistiche di natura sostanziale. Alla luce della giurisprudenza sul punto e in sintonia con la ratio della disposizione in esame, l’ampia nozione di organi di controllo non può essere circoscritta solamente ai componenti dell’organo sindacale ma, tenuto conto della attività espletata, può ragionevolmente essere estesa anche ai revisori, in quanto soggetti deputati al controllo contabile della società. Tale interpretazione “estensiva” trova ulteriore conferma nel regime di responsabilità a cui sono assoggettati i revisori ai sensi dell’art. 2409-sexies, applicabile ratione temporis.

Tale disposizione prevede che “i soggetti incaricati del controllo contabile sono sottoposti alle disposizioni dell’art. 2407 e sono responsabili nei confronti della società, dei soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri. Nel caso di società di revisione i soggetti che hanno effettuato il controllo contabile sono responsabili in solido con la società medesima”. E’ proprio il richiamo integrale all’art. 2407 c.c. e, significativamente, al suo terzo comma, nonché l’espresso riferimento ai “terzi”, da leggersi quali “creditori sociali”, a radicare la legittimazione della Curatela ad agire anche a tutela dei diritti patrimoniali dei creditori. Pertanto, alla luce dell’art. 146 l.f. – norma che riassume in sé e legittima la Curatela ad agire tanto a tutela della società quanto della massa creditoria – e sulla base della giurisprudenza maturata sul tema, si può ragionevolmente affermare che al Curatore spettano tutte le azioni di responsabilità esperibili nei confronti dei soggetti che a vario titolo abbiano operato all’interno della società.

11 Dicembre 2019

Prescrizione e onere probatorio nell’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare

L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c., con conseguente possibilità per il curatore di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (art. 2393 comma 4, 2941 n. 7, 2949 e 2394 comma 2 c.c.) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c.) ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.

Il thema probandum, nell’ambito dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., si articola nell’accertamento di tre elementi: l’inadempimento di uno o più degli obblighi specifici previsti dalla legge o dallo statuto e/o dell’obbligo generale di diligenza previsto dall’art. 2392 c.c., il danno subito dalla società e il nesso causale, mentre il danno risarcibile sarà quello causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell’agente sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante, dunque commisurato in concreto al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo, positivo o omissivo, non fosse stato posto in essere.

In questo senso, in ossequio al principio di causalità, al fine di imputare all’amministratore colpevole il danno effettivamente derivato dall’illecita prosecuzione dell’attività, occorrerà confrontare i bilanci – vale a dire quello relativo al momento in cui si è realmente verificata la causa di scioglimento e quello della messa in liquidazione (ovvero del fallimento) – dopo avere effettuato non solo le rettifiche volte ad elidere le conseguenze della violazione dei criteri di redazione degli stessi ma pure, quelle derivanti dalla necessità di porsi nella prospettiva della liquidazione, visto che proprio alla liquidazione, se si fosse agito nel rispetto delle regole, si sarebbe dovuti giungere.

9 Dicembre 2019

Rigetto della richiesta di nomina di collegio arbitrale per l’azione del curatore ex art. 146 l.fall.

Non può procedersi alla nomina di un collegio arbitrale richiesta dal curatore fallimentare di una società in relazione alla instaurazione di un procedimento arbitrale per lo svolgimento dell’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. nei confronti degli ex amministratori della società fallita, poiché essa riunisce inscindibilmente sia l’azione sociale sia l’azione dei creditori sociali, quest’ultima tuttavia necessariamente sottratta all’ambito di operatività di qualsiasi clausola compromissoria statutaria

3 Dicembre 2019

Transazione stipulata solo da un condebitore e azione di responsabilità “allargata” esercitata dalla curatela

In caso di obbligazione solidale dal lato passivo, la coincidenza tra l’oggetto della transazione stipulata dalla società e da uno solo dei condebitori e il danno domandato agli altri, fa sì che di tale transazione possano avvalersi anche i condebitori che non abbiano partecipato alla stipulazione, in applicazione dell’art. 1304, co. 1, cod. civ.

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2 Dicembre 2019

Azione ex art. 2497 cod. civ.: non sussiste litisconsorzio necessario tra la controllante e i suoi amministratori che abbiano preso parte al fatto lesivo

Il creditore è libero di agire in giudizio contro qualunque debitore solidale, senza necessità di evocare in giudizio tutti o determinati debitori: ciò vale anche rispetto all’azione di responsabilità per abuso di direzione e coordinamento, non sussistendo litisconsorzio necessario tra essa e i suoi amministratori nell’ipotesi di responsabilità solidale di cui all’art. 2497, secondo comma, c.c..

Il curatore fallimentare della società soggetta a direzione e coordinamento può evocare in giudizio gli amministratori della controllante che abbiano preso parte al fatto lesivo, e siano responsabili ai sensi dell’art. 2497, secondo comma, c.c., senza essere tenuto ad agire contro la controllante medesima.

Ove la società acquisti un’azienda il cui valore è pari allo zero, il danno arrecato alla società è pari al prezzo di acquisto, anche ove la provvista per pagare il corrispettivo arrivi da un finanziamento della controllante.

In caso di azione di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c. promossa dal curatore fallimentare, in presenza di alcuni debitori transigenti, deve essere valutata anche la quota ideale di responsabilità di questi, al fine di valutare l’esistenza e l’entità dell’eventuale credito del Fallimento nei confronti dei convenuti che non hanno transatto. In applicazione del principio di parità di cui all’art. 1298 c.c., il debito residuo da richiedersi ai debitori non transigenti, deve essere determinato operando la riduzione in ragione delle parti che hanno transatto, in misura pari all’importo della quota ideale di debito.

Gli amministratori privi di delega rispondono delle conseguenze dannose della condotta degli amministratori con delega soltanto qualora siano a conoscenza di necessari dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento, ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati. Al pari, all’amministratore assente all’adunanza durante la quale è stato deliberato il compimento dell’atto costituente mala gestio ex artt. 2393 e 2394 c.c., deve essere addebitato il fatto a titolo di colpa nella causazione del danno.

2 Dicembre 2019

Irrilevanza della prova dell’esistenza di creditori antecedenti all’atto di mala gestio

Il creditore è libero di agire in giudizio contro qualunque debitore solidale, senza necessità di evocare in giudizio tutti o determinati debitori: ciò vale anche rispetto all’azione di responsabilità per abuso di direzione e coordinamento, non sussistendo litisconsorzio necessario tra essa e i suoi amministratori nell’ipotesi di responsabilità solidale di cui all’art. 2497, secondo comma, c.c.

Risulta irrilevante, ai fini dell’esercizio dell’azione ex art. 2394 c.c., la prova dell’esistenza di creditori antecedenti all’atto di mala gestio, rilevando il solo carattere pregiudizievole dell’atto sul patrimonio sociale nel suo complesso, idonea a pregiudicare i creditori, siano essi anteriori o posteriori all’atto contestato.

29 Novembre 2019

Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci: la condotta rilevante del cd. “socio gestore”

L’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2476 co. 7 c.c. può avere ad oggetto anche gli atti compiuti dal socio cd. “gestore” allorché questi, oltre a esercitare una qualche influenza sulle scelte gestorie degli amministratori, abbia comunque tenuto un comportamento positivo dal quale possa dedursi tale forma di influenza. Così, affinché tale responsabilità possa essere ritenuta sussistente, il socio – tramite un comportamento o una condotta attivi – deve aver voluto intenzionalmente arrecare danno alla società, ai soci o ai creditori sociali mediante l’induzione degli amministratori all’inadempimento dei loro propri doveri.

26 Novembre 2019

Azione di responsabilità e azione revocatoria esercitate dal curatore fallimentare: presupposti, prescrizione e onere della prova

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l.fall. – cumulativa dei presupposti e degli scopi dell’azione sociale di responsabilità ex artt. 2392 e 2393 c.c. e dell’azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. – è soggetta alla prescrizione quinquennale con decorso, secondo quanto previsto dall’art. 2395 c.c., dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Il dies a quo di tale azione, dunque, deve essere individuato: quanto all’azione sociale di responsabilità, dal giorno in cui sono percepibili i fatti dannosi posti in essere dagli amministratori ed il danno conseguente; quanto all’azione dei creditori sociali, dal giorno in cui si è manifestata, divenendo concretamente conoscibile, l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i loro crediti.

In particolare, per quanto concerne l’azione dei creditori sociali esercitata dal curatore fallimentare, il dies a quo deve essere individuato nel momento della oggettiva conoscibilità del dato di fatto costituito dall’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti sociali, momento che può essere anteriore o posteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento. L’insufficienza patrimoniale che qui assume rilievo è data dalla eccedenza delle passività sulle attività, momento distinto rispetto all’insolvenza e che può dunque manifestarsi prima di questa. L’onere della prova che l’insufficienza patrimoniale rilevabile dai creditori si sia manifestata prima della dichiarazione di fallimento incombe su colui il quale intenda eccepire l’intervenuta prescrizione dell’azione. Il dies a quo per l’esercizio dell’azione dei creditori sociali non può essere individuato nel momento in cui sono state presentate istanze di fallimento né sono stati ottenuti decreti ingiuntivi, trattandosi di iniziative non destinate ad essere rese pubbliche.

L’amministratore di società, che abbia continuato nella gestione ordinaria della società dopo il verificarsi della causa di scioglimento consistente nella perdita integrale del capitale sociale, è responsabile ai sensi dell’art. 2392 c.c., in quanto la sua condotta si risolve nella violazione di doveri imposti dalla legge agli amministratori e, in particolare, degli artt. 2447, 2485 e 2486 c.c.; in questo caso, il danno deve individuarsi nelle perdite registrate dopo il verificarsi della causa di scioglimento e, ai fini del suo computo, deve essere adottato il metodo della differenza tra i netti patrimoniali (o della perdita incrementale).

Quando l’azione ex art. 2392 c.c. è esercitata dalla curatela fallimentare, la curatela sarà tenuta a provare soltanto l’inadempimento dell’amministratore agli obblighi su di lui gravanti ed il danno derivato dall’inadempimento, restando invece a carico del convenuto l’onere di provare la mancanza di colpa secondo il modello generale previsto, per la responsabilità contrattuale, dall’art. 1218 c.c.

L’azione revocatoria ordinaria ai sensi dell’art. 2901 c.c. esercitata dal curatore fallimentare richiede la dimostrazione, da parte della curatela attrice, oltre che del “consilium fraudis”, anche dell’esistenza dell’”eventus damni”, cioè di un pregiudizio legato all’atto dispositivo che si vuole rendere inefficace, non operando, in tal caso, la presunzione di dannosità alle ragioni della massa dei creditori che colora l’azione revocatoria fallimentare ex art 67 l.fall. Tale pregiudizio deve essere dunque accertato e valutato in concreto: l’atto ritenuto pregiudizievole, cioè, deve aver effettivamente compromesso le ragioni di garanzia patrimoniale rappresentate dal patrimonio del debitore, vanificando o anche semplicemente ostacolando le possibili iniziative dei creditori volte al recupero, seppur coattivo, del credito vantato.

Al fine di verificare la sussistenza di tale pregiudizio, è necessario il confronto tra il patrimonio del debitore subito dopo la modificazione subita a seguito del compimento dell’atto di disposizione che si intende revocare e l’entità dei debiti preesistenti al compimento dell’atto. Quando l’azione revocatoria sia esercitata dal curatore a seguito del fallimento del disponente, nell’interesse di tutti i creditori ammessi al passivo, grava comunque sul curatore l’onere di provare che il credito dei creditori ammessi era già sorto al momento dell’atto asseritamente pregiudizievole, ad esempio evidenziando la presenza, al momento dell’atto di disposizione, di istanze di fallimento già presentate e di decreti ingiuntivi ottenuti a danno del disponente.

Per quanto concerne, invece, la dimostrazione del “consilium fraudis”, si ritiene non sia necessaria l’intenzione di nuocere ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore stesso, del pregiudizio che, mediante l’atto di disposizione, sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore, consapevolezza la cui prova può essere fornita anche mediante presunzioni; non è, infine, neppure necessario che il compimento dell’atto abbia definitivamente pregiudicato le ragioni del credito, ma è sufficiente una mera variazione (in peius) del patrimonio del debitore che possa rendere  maggiormente difficoltosa ed incerta l’esazione coattiva del credito. In tal caso il creditore ha solo l’onere di dimostrare la variazione del patrimonio del debitore ma non anche l’entità del residuo.

13 Novembre 2019

Il danno arrecato dagli amministratori va debitamente provato e quantificato in relazione al concreto pregiudizio

Non è sufficiente, ai fini della configurabilità della responsabilità degli amministratori, addurre che l’evento dannoso è pari al disavanzo fallimentare, bensì occorre dimostrare non solo la specifica violazione dei doveri imposti dalla legge ma anche la correlazione tra tali violazioni e il pregiudizio arrecato alla società.

Tale danno può essere individuato in via presuntiva nella differenza fra attivo e passivo solo in caso di radicale impossibilità di ricostruire le vicende societarie per mancanza o assoluta inattendibilità delle scritture contabili, a condizione che sia allegato e dimostrato uno specifico inadempimento, imputabile all’amministratore, tale da determinare specifici effetti pregiudizievoli – c.d. “inadempimento qualificato” – che non può consistere nell’omessa tenuta delle scritture contabili.

8 Novembre 2019

Azione di responsabilità esercitata dal curatore e transazione con uno dei condebitori

In tema di azione sociale di responsabilità esercitata dal curatore, la domanda di accertamento della responsabilità dei soggetti convenuti deve intendersi tacitamente proposta, ancorché non espressamente formulata, in quanto istanza che si pone in rapporto di necessaria connessione con il petitum della condanna al risarcimento. [ LEGGI TUTTO ]