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Art. 2407 c.c.
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9 Marzo 2023

Illegittima prosecuzione dell’attività sociale

In presenza di una causa di scioglimento della società per perdite, al fine di ritenere sussistente la condotta di mala gestio in capo agli amministratori, è necessario che (i) il capitale sociale sia sceso sotto il minimo di legge; (ii) gli amministratori si siano accorti di tale circostanza o se ne potevano accorgere utilizzando la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze; (iii) gli amministratori abbiano omesso di convocare senza indugio l’assemblea finalizzata alla ricapitalizzazione o trasformazione della società, ovvero, se l’assemblea si è tenuta, non siano state adottate delibere tali da consentire la prosecuzione dell’attività sociale e gli amministratori non abbiano iscritto la causa di scioglimento e la messa in liquidazione della società; (iv) gli amministratori, pur conoscendo la perdita del capitale e non avendo adottato gli adempimenti conseguenti, abbiano compiuto nuove operazioni generative di danno per la società; (v) l’attività proseguita in un’ottica non conservativa abbia prodotto dei danni alla società o ai creditori, depauperando il patrimonio sociale.

La liquidazione del danno subito dalla società per effetto della illegittima protrazione dell’attività imprenditoriale della società è quantificata utilizzando il criterio della “differenza dei patrimoni netti”, in virtù del quale il danno viene calcolato come differenza tra i patrimoni netti individuati nel momento in cui si verifica la causa di scioglimento e nel momento del passaggio alla fase di liquidazione. In questo modo, si addebita all’amministratore la sola perdita incrementale, essendo il pregiudizio per la società configurabile come incremento del deficit patrimoniale.

24 Febbraio 2023

Responsabilità di amministratori e sindaci, la nozione di insolvenza

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l. fall., è soggetta a prescrizione quinquennale, che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 l. fall., derivante, innanzitutto, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito; in ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore (o sugli altri organi societari), la prova contraria della diversa data anteriore d’insorgenza dello stato d’incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa.

Ai fini dell’accertamento della responsabilità degli amministratori e dei sindaci, è necessario sia provare il danno, consistente nel deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, sia la riconducibilità causale di detto danno alla condotta omissiva o commissiva degli amministratori e dei sindaci. In particolare, la concessione di prestiti fruttiferi, che, dunque, prevedono un ritorno per la società, a parti correlate, implica l’insorgenza di un danno e, dunque, la responsabilità di amministratori e sindaci, allorché si verifica l’inadempimento dell’obbligo di restituire le somme corrisposte; il danno, comunque, è necessariamente correlato alla mancata restituzione, per la somma non recuperata, e, se del caso, per i conseguenti danni per interessi corrisposti su indotto fabbisogno finanziario, e per eventuali sanzioni amministrative. A fronte di atti distrattivi, in quanto destinati a finalità estranee all’oggetto sociale, il danno va commisurato alla diminuzione patrimoniale subita dalla società per effetto dei prelevamenti.

Per essere esonerati da responsabilità i sindaci non devono limitarsi a vigilare e a denunciare nella relazione al bilancio le censure alla condotta dell’organo gestorio, ma è altresì necessario che si attivino al fine di porre in essere gli atti necessari, e a dare attuazione ad ogni loro potere di sollecitazione e denuncia. Deve, infatti, ritenersi che ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori ai fini della responsabilità dei primi, secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale, se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione degli stessi avrebbe ragionevolmente evitato l’illecito, tenuto conto di tutta la possibile gamma di iniziative che il sindaco può assumere, esercitando i poteri-doveri della carica.

L’art. 2, co. 1, lett. b), c.c.i.i. definisce lo stato d’insolvenza come lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. È da escludersi, pertanto, che sussista lo stato d’insolvenza in presenza di un passivo di bilancio, od allorché la difficoltà di adempimento delle obbligazioni sia momentanea, e non cronica, e riguardi non tutte le obbligazioni, ma solo poche obbligazioni in un lasso di tempo limitato. L’insolvenza, invero, dev’essere valutata dinamicamente, in relazione cioè al complesso delle operazioni economiche ascrivibili all’impresa: dunque a un elemento legato non all’incapienza in sé del patrimonio dell’imprenditore, ma a una vera impotenza patrimoniale definitiva e irreversibile, e non è, invece, ravvisabile in una mera temporanea impossibilità di regolare adempimento delle obbligazioni assunte.

Allorché sia sottoposta all’assemblea di una s.r.l. la richiesta, rivolta ai soci, di versare somme a titolo di finanziamento, la sua approvazione non fa sorgere di per sé, neppure in capo a chi abbia espresso voto favorevole, l’obbligo di eseguire il versamento, essendo all’uopo necessaria un’ulteriore, distinta manifestazione di volontà negoziale da parte di ciascun socio uti singulus, la cui prova non richiede forme particolari.

14 Febbraio 2023

Azione unitaria ex art. 146 l.fall. proposta dal curatore e onere della prova

Dopo il fallimento della società le azioni di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. (ante riforma) confluiscono nell’unica azione prevista dall’art. 146 l.fall., al cui esercizio è esclusivamente legittimato il curatore fallimentare. Tuttavia, la legittimazione del curatore non fa mutare la natura e i regimi probatori delle due azioni: l’azione sociale conserva natura contrattuale e, quindi, grava sull’attore (società o curatela fallimentare) il solo onere di dimostrare le violazione di legge, dell’atto costitutivo o del generale obbligo di diligenza (presumendosi l’inadempimento colposo) e da parte degli amministratori, il nesso causale tra violazione e danno lamentato, mentre incombe sull’amministratore convenuto l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso; l’azione dei creditori sociali, mantiene natura extracontrattuale e presuppone un comportamento dell’amministratore causativo di una diminuzione del patrimonio sociale , con conseguente diritto dell’attore (creditore sociale o curatore) di ottenere l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di adempiere.

Qualora il curatore agisca in giudizio per far valere la responsabilità dell’organo amministrativo per violazione degli obblighi derivanti dalla perdita del capitale sociale, deve allegare l’inadempimento dell’amministratore astrattamente idonee a cagionare il danno lamentato, indicando le ragioni che hanno impedito lo specifico accertamento degli effetti dannosi e non potendo applicarsi il criterio  della differenza tra passivo accertato e attivo fallimentare sempre e in via automatica, utilizzabile come parametro per una valutazione equitativa. Ove sia allegata la prosecuzione dell’attività nonostante l’erosione del capitale sociale, il curatore deve poi provare, anche mediante il ricorso a presunzioni, che le scelte di assunzione di nuovo rischio sono state adottate al di fuori di una logica meramente conservativa. Anche in questo caso è ammissibile la liquidazione del danno in via equitativa secondo il criterio dei netti patrimoniali, fermo tuttavia che non tutta la perdita riscontrata dopo la causa di scioglimento illegittimamente non rilevata può non essere integralmente riferita alla prosecuzione dell’attività, potendo prodursi anche in pendenza di liquidazione o fallimento.

20 Gennaio 2023

Obblighi e responsabilità del liquidatore

Come non sono addebitabili agli amministratori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte, così non è addebitabile al liquidatore la scelta gestionale in prospettiva liquidatoria che non abbia sortito l’effetto desiderato, assunta sulla base dei medesimi parametri.

Il liquidatore di società di capitali ha il dovere di procedere a un’ordinata liquidazione del patrimonio sociale, pagando i debiti secondo il principio della par condicio creditorum; tuttavia, il danno subito dai creditori a seguito di pagamenti preferenziali fatti in violazione della par condicio creditorum da amministratori e liquidatori di una società dopo che il patrimonio della medesima sia divenuto insufficiente rispetto alla massa dei crediti, è danno specifico e diretto, corrispondente alla minore misura in cui ciascuno dei creditori potrà concorrere sull’attivo liquidato.

Il liquidatore, una volta constatato che le attività sociali non consentono l’integrale pagamento dei creditori sociali, man mano che i rispettivi crediti giungono a scadenza, anziché provvedere a pagare ugualmente, deve promuovere senza indugio una procedura concorsuale per il soddisfacimento paritetico di tutti i creditori, altrimenti è chiamato a rispondere direttamente nei confronti dei creditori danneggiati, e per essi del curatore in caso di fallimento, ai sensi degli artt. 146 l. fall. e 2394 c.c.

Le dimissioni del collegio sindacale, ove non accompagnate da atti volti a impedire e contrastare il protrarsi degli illeciti gestori, non sono sufficienti ad esimere l’organo di controllo dalla responsabilità derivante dall’omessa vigilanza sulla gestione, divenendo esemplari della condotta colposa e pilatesca tenuta dal sindaco rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità. Il ragionamento di probabilità causale per definizione non conduce alla certezza, ma alla ragionevole ricostruzione di un legame tra i fatti, laddove in tema di responsabilità omissiva dei sindaci, l’inerzia è causa del danno, se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione lo avrebbe ragionevolmente evitato.

20 Gennaio 2023

L’esercizio delle azioni di responsabilità nel fallimento e la responsabilità del liquidatore

Per effetto del fallimento di una società di capitali, all’esercizio delle azioni di responsabilità degli amministratori è legittimato, in via esclusiva, il curatore del fallimento, ai sensi dell’art. 146 l. fall., che può, conseguentemente, formulare istanze risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori e i sindaci tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità (contrattuale) di questi verso la società (artt. 2392, 2407 c.c.), quanto a quelli della responsabilità (extracontrattuale) verso i creditori sociali (art. 2394, 2407 c.c.). L’azione sociale, anche se esercitata dal curatore fallimentare, ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo. Dalla qualificazione in termini di responsabilità contrattuale dell’azione de qua consegue che, mentre sull’attore (società o curatore fallimentare che sia) grava esclusivamente l’onere di allegare la sussistenza delle violazioni agli obblighi (trattandosi di obbligazioni di mezzi e non di risultato), il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.

L’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. o art. 2476 co. 6 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale che presuppone un comportamento dell’amministratore funzionale ad una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica (art. 2740 c.c.), con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere.

Posta senza ritardo la società in liquidazione, la responsabilità del liquidatore sorge se cagiona un danno ai creditori non adempiendo ai suoi propri doveri di compiere con diligenza tutti gli atti utili alla liquidazione, come dispone l’art 2489 c.c., o se nel pagamento dei creditori sociali, in mancanza di attivo per soddisfare tutto il ceto creditorio, non rispetta la par condicio creditorum ex art 2471 c.c. Dunque, se la liquidazione si conclude con il mancato soddisfacimento di parte del ceto creditorio, non per questo sorge responsabilità dell’amministratore che abbia tempestivamente rilevato la causa di scioglimento e del liquidatore che abbia compiuto con la diligenza richiesta la liquidazione del patrimonio sociale. Responsabilità che potrebbe sussistere per l’amministratore nell’ipotesi in cui le risorse si siano ridotte per il ritardo nel rilevare il ricorrere della causa di scioglimento e nella messa in liquidazione della società e per il liquidatore nel compimento di atti non meramente conservativi, come impone l’art. 2486 co. 1, c.c., nel compimento non diligente e non tempestivo delle attività di liquidazione o, in una situazione patrimoniale della società inidonea al soddisfacimento di tutti i creditori, per aver provveduto al pagamento solo di alcuni creditori disattendendo quanto dispone l’art 2471 c.c. Il liquidatore deve procedere a una corretta e fedele ricognizione dei debiti sociali e, accertata una situazione di incapienza patrimoniale, provvedere sollecitamente al pagamento nel rispetto della par condicio creditorum, secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti all’epoca esistenti.

Costituisce specifico obbligo di chi gestisce la società provvedere ai pagamenti delle imposte dovute; tra gli obblighi di diligente gestione e di conservazione del patrimonio sociale è ricompreso quello di gestire le risorse finanziarie in modo da provvedere agli obblighi fiscali evitando così l’aggravio delle relative sanzioni e interessi di mora, e ciò tanto più nel caso di mancato assolvimento di obbligo tributario relativo all’IVA, il cui versamento all’erario da parte dell’obbligato corrisponde a somme già incamerate, delle quali quindi l’obbligato non può disporre se non accantonandole in vista del futuro obbligatorio versamento. L’inadempimento di tale obbligo di pagamento espone gli amministratori a responsabilità per mala gestio verso la società e i creditori sociali per i danni ad esso conseguenti.

17 Gennaio 2023

L’improcedibilità dell’azione di responsabilità promossa dal creditore nei confronti dei sindaci per l’intervenuto fallimento della società

La responsabilità dei sindaci presuppone che: (i) gli amministratori abbiano posto in essere un comportamento illecito; (ii) da tale comportamento sia derivato un danno; (iii) i sindaci, in violazione degli obblighi imposti a loro carico, non abbiano vigilato con professionalità e diligenza; (iv) sussista una relazione di causa-effetto tra la mancata vigilanza dei sindaci o il loro comportamento negligente e il danno. La responsabilità dei sindaci, anche nell’ipotesi in cui essa sia concorrente rispetto a quella degli amministratori, non costituisce una responsabilità indiretta, ma una responsabilità per fatto proprio consistente nella violazione del dovere di vigilare diligentemente sull’operato degli amministratori (responsabilità per culpa in vigilando). I sindaci rispondono, infatti, non per il fatto in sé che il danno sia stato dagli amministratori cagionato, ma solo in quanto sia configurabile, a loro carico, la violazione di un obbligo inerente alla loro funzione e, in particolare, dell’obbligo di vigilare sull’amministrazione della società con la diligenza richiesta dall’art. 2407, co. 1, c.c., di denunziare le irregolarità riscontrate e di assumere le iniziative sostitutive o conseguenti. La responsabilità dei sindaci è, quindi, limitata ai danni derivanti da quegli illeciti che avrebbero potuto o dovuto impedire esercitando, in maniera diligente, il loro controllo e, per converso, è esclusa per i danni, derivanti da comportamenti degli amministratori che, vigilando con professionalità e diligenza, non avrebbero comunque in alcun modo potuto evitare.

Nel caso di fallimento della società ovvero di assoggettamento della stessa a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria, la legittimazione esclusiva all’esercizio dell’azione di cui all’art. 2394 c.c. è, dal successivo art. 2394 bis c.c., affidata rispettivamente al curatore del fallimento, al commissario liquidatore e al commissario straordinario. Con tale scelta, il legislatore ha inteso rimarcare la parità di condizioni dei creditori sociali in conseguenza dell’assoggettamento della società a procedure concorsuali. Parimenti, l’art. 2497, co. 4, c.c. prevede che nel caso di fallimento di società soggetta a direzione e coordinamento, l’azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore. Da ciò e dalla considerazione di ordine generale per cui la legitimatio ad causam, quale condizione dell’azione, deve sussistere e permanere per l’intera durata del procedimento  discende che anche nel caso in cui il fallimento della società intervenga nella pendenza del giudizio già promosso dal creditore sociale ex artt. 2394 e 2407 c.c., unico soggetto legittimato a promuovere e coltivare dette azioni, a tutela della massa dei creditori, è il curatore; per modo che deve pervenirsi indefettibilmente alla declaratoria della improcedibilità dell’azione ex artt. 2394 e 2407 c.c. coltivata dal singolo creditore pur dopo l’apertura della procedura concorsuale a carico della società debitrice.

17 Novembre 2022

Responsabilità di amministratori e sindaci ed effetti degli accordi transattivi nei confronti degli altri debitori in solido

Nel caso di esercizio dell’azione di responsabilità nell’esclusivo interesse dei creditori sociali, a norma degli artt. 146 l. fall. e 2476 c.c., in difetto di elementi di valutazione in base ai quali poter fondatamente anticipare il momento di conoscenza da parte dei terzi creditori dell’insolvenza della società, l’exordium prescriptionis o il dies a quo del termine quinquennale previsto dall’art. 2949 c.c. può essere identificato nella data del deposito della domanda prenotativa di concordato.

L’art. 1304, co. 1, c.c. costituisce una deroga la principio in virtù del quale il contratto produce effetti solo fra le parti e permette che il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla stipulazione della transazione tra il creditore e uno dei debitori solidali, possa avvalersi di quanto concordato all’interno dell’atto di transizione stipulato da altri. Detto atto deve avere ad oggetto l’intero debito. Infatti, il disposto di cui alla norma sopracitata non include la transazione parziale che, in quanto tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva, riguarda unicamente il debitore che vi aderisce e non può coinvolgere gli altri condebitori, che non hanno alcun titolo per profittarne. Di conseguenza, il condebitore solidale estraneo alla transazione risulta titolare di un diritto potestativo esercitabile anche nel corso del processo.

In ipotesi in cui vi sia la sopravvenuta transizione della lite, il giudice di merito è chiamato a valutare se la situazione sopravvenuta sia idonea ad eliminare ogni contrasto sull’intero oggetto della lite, anche in riferimento al condebitore solidale rimasto estraneo alla transazione e valutare se quest’ultimo voglia o meno profittare di tale transizione ai sensi dell’art. 1304 c.c.

Nel caso di transazione novativa, che comporti la rideterminazione del quantum e l’estinzione del rapporto debitorio originario, si estendono ai condebitori solidali solo gli effetti vantaggiosi e non anche quelli pregiudizievoli e ciò in quanto transazione e novazione sono fattispecie non assimilabili; di conseguenza, resta applicabile, in tema di transazione novativa, solo l’art. 1304 c.c. e non anche gli artt. 1300 e 1372 c.c., nel senso che detta transazione è inefficace nei confronti del condebitore che non vi ha partecipato e non ha dichiarato di volerne profittare sia in ordine ai rapporti esterni, sia a quelli interni.

Se, invece, la transazione tra il creditore ed uno dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto esclusivamente la quota del condebitore che l’ha conclusa, occorre distinguere fra l’ipotesi in cui il condebitore che ha transatto abbia versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito e quella in cui il pagamento sia stato inferiore. Nel primo caso il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato; nel secondo il debito residuo degli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.

Le circostanze che attestano che gli accordi transattivi abbiano avuto ad oggetto l’intera lite ovvero che l’importo transattivamente conseguito dalla creditrice abbia, comunque, soddisfatto integralmente la sua pretesa risarcitoria, con conseguente cessazione della residua materia del contendere e declaratoria di improcedibilità delle domande ancora coltivate nei riguardi dei convenuti rimasti, devono essere provate dalla parte creditrice. Diversamente, si graverebbe il debitore convenuto in giudizio di una prova impossibile da fornire in quanto terzo estraneo agli accordi in questione.

28 Ottobre 2022

Il contenuto della delibera di azione di responsabilità contro gli amministratori; la responsabilità dei sindaci per culpa in vigilando

L’art. 2393 c.c. non richiede che la deliberazione con cui l’assemblea autorizza l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità rechi una specifica motivazione volta ad illustrare le ragioni che giustificano tale scelta, tantomeno che rechi una individuazione specifica delle condotte degli amministratori asseritamene contrarie ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto. Ne deriva che è da escludere che la delibera prevista dall’art. 2393 c.c. circoscriva l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità solo agli atti di mala gestio eventualmente riportati nella relativa motivazione e che deve essere ritenuto senz’altro ammissibile, in sede di proposizione, fondare l’azione su fatti diversi da quelli specificamente esaminati dall’assemblea. A differenza di altre deliberazioni societarie, non è necessario che detta delibera sia motivata, né che individui in maniera specifica tutti gli addebiti, essendo sufficiente che emerga la volontà dei soci di ottenere per via giudiziaria il risarcimento del danno causato dalla mala gestio di determinati amministratori, poiché la delibera è soltanto una condizione dell’azione e non può predeterminarne il contenuto, che deve invece essere rimesso al vaglio degli amministratori attuali non in conflitto di interessi. L’azione di responsabilità, pertanto, non solo può essere concretamente esercitata nei confronti di alcuni soltanto degli amministratori indicati nella delibera assembleare, ma può anche essere fondata su fatti diversi da quelli specificatamente esaminati dall’assemblea in sede di delibera della relativa azione.

Per poter accertare la sussistenza della responsabilità dei sindaci in concorso omissivo con il fatto illecito degli amministratori o dei liquidatori, colui che propone l’azione ex art. 2407 c.c. ha l’onere di allegare specificamente quali doveri sono rimasti inadempiuti e quali poteri non sono stati esercitati dai sindaci, nonché di provare il danno e il nesso di causalità tra quelle omissioni e il danno, nesso che può ritenersi sussistente quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica (art. 2407, co. 2, c.c.), cioè quando, in base ad un ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione diligente dei poteri che la legge accorda loro lo avrebbe ragionevolmente evitato o limitato. Ciò accade, in particolare, quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, specie se protratti per un lasso di tempo apprezzabile, poiché in tal caso il mantenimento di un comportamento inerte implica che non si sia vigilato adeguatamente sulla condotta degli amministratori (o dei liquidatori) pur nella esigibilità di un diligente sforzo per verificare la situazione anomala e porvi rimedio, col fine di prevenire eventuali danni.

Se lo statuto della società non stabilisce il diritto dell’amministratore al compenso, esso è determinato dall’assemblea ordinaria dei soci all’atto della nomina o successivamente. In mancanza di determinazione in seno allo statuto è pertanto necessaria, perché sorga in capo all’amministratore il diritto al compenso, un’esplicita delibera assembleare. Le medesime regole valgono anche con riferimento al liquidatore, al quale lo statuto dell’amministratore, mutatis mutandis, è applicabile (art. 2489 c.c.).

Sede appropriata per la verifica dei soci in ordine alla correttezza, da parte dell’organo amministrativo, della liquidazione dei propri compensi sulla base di criteri già stabiliti in apposita e previa sede assembleare ed assumere le relative determinazioni, ben può essere anche l’ approvazione del bilancio di esercizio, considerando che tale delibera è pur capace di esplicare limitati e condizionati effetti negoziali non già, come ovvio, nei rapporti della società con terzi, ma nei rapporti interni, non solo tra soci e tra soci e società (es.: vincolo, solo per i soci che lo abbiano approvato, del bilancio che reca un determinato regime dei loro finanziamenti), ma anche con riferimento ai rapporti interni tra organo amministrativo proponente il progetto di bilancio e società. Tuttavia, perché in sede di approvazione del bilancio possa dirsi formata un’effettiva volontà dei soci in ordine al riconoscimento / ratifica del compenso erogato all’organo gestorio, è necessario che la relativa appostazione sia chiara e specifica sia con riferimento all’attribuzione della somma pagata all’organo stesso a titolo di compenso, sia con riferimento al suo ammontare.

Il revisore è il soggetto preposto per legge al controllo dei conti delle società di capitali. L’attività del revisore consta di due diverse fasi: quella ispettivo-ricognitiva e quella valutativa. Il revisore, infatti, verifica periodicamente la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione; a ciò segue la fase valutativa nella quale egli accerta se il bilancio di esercizio e, ove redatto, il bilancio consolidato corrispondano alle risultanze delle scritture contabili e siano stati redatti correttamente, esprimendo il relativo giudizio in apposita relazione (artt. 11 e 14 d.lgs. n. 39/2010). Il revisore contabile ha dunque prevalentemente doveri informativi che consistono specialmente nell’esprimere la valutazione sul bilancio di esercizio ma anche nel fornire tempestivamente al collegio sindacale informazioni rilevanti per l’espletamento dei rispettivi compiti ex art. 2409 septies c.c. La presentazione di dichiarazioni fiscali è un’attività di natura senz’altro gestoria ed esula dai poteri preventivi di controllo del revisore.

19 Settembre 2022

Responsabilità degli amministratori e business judgment rule

L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti. Il thema probandum si articola dunque nell’accertamento di tre elementi: (i) l’inadempimento di uno o più degli obblighi specifici previsti dalla legge o dallo statuto e/o dell’obbligo generale di diligenza previsto dall’art. 2392 c.c. (incombente anche sugli amministratori di s.r.l.), (ii) il danno subito dalla società e (iii) il nesso causale, mentre il danno risarcibile sarà quello causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell’agente sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante, dunque commisurato in concreto al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo, positivo o omissivo, non fosse stato posto in essere.

Nell’ambito di detto accertamento resta invece preclusa l’indagine relativa al c.d. merito gestorio non potendosi valutare la discrezionalità dei singoli atti di gestione sotto il profilo della mera opportunità o convenienza. La gestione della società, infatti, in quanto attività d’impresa, comporta fisiologicamente un alto margine di rischio e richiede il riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo all’organo amministrativo in relazione alla scelta delle operazioni da intraprendere. Ne consegue che, se fosse possibile compiere una valutazione sull’opportunità e convenienza delle scelte di gestione, si legittimerebbe un’indebita ingerenza dell’autorità negli affari sociali, in pregiudizio all’autonomia gestionale dell’organo amministrativo e con probabile paralisi del normale svolgimento dell’attività d’impresa. Ciò che forma oggetto di sindacato da parte del giudice, dunque, non può essere l’atto in sé considerato e il risultato che abbia eventualmente prodotto, bensì, esclusivamente, le modalità di esercizio del potere discrezionale che deve riconoscersi agli amministratori. Se, alla luce del principio di insindacabilità del merito gestorio non ogni atto dannoso per il patrimonio sociale è idoneo a fondare la responsabilità dell’amministratore che lo abbia compiuto, d’altro canto, non tutte le violazioni di obblighi derivanti dalla carica comportano necessariamente una lesione del patrimonio sociale e, dunque, l’individuazione di un danno risarcibile. Non tutti i comportamenti inadempienti degli amministratori danno luogo infatti a responsabilità risarcitoria, ma solo quelli che abbiano causato un danno al patrimonio sociale, danno che deve essere legato da un nesso eziologico ai suddetti inadempimenti.