Art. 2409 c.c.
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Inammissibilità del ricorso volto a ottenere la nomina di un amministratore provvisorio di una società di capitali
Nessuna norma attribuisce al tribunale il potere di procedere alla nomina dell’amministratore di una società di capitali allorquando l’assemblea non vi provveda. Invero, allorché l’assemblea sia impossibilitata ad adottare delibere indispensabili per la prosecuzione dell’attività societaria o sia continuativamente inattiva, ricorre a ben vedere la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 3, c.c. che rende necessaria la relativa iscrizione e la nomina di un liquidatore, rispetto alla quale – nell’inerzia dell’assemblea – è previsto invece il potere sostitutivo del tribunale ai sensi dell’art. 2487 c.c. Tuttalpiù, il tribunale ha il potere di procedere alla nomina di un amministratore giudiziario nell’ambito del procedimento ex art. 2409 c.c., allorquando sussistano le gravi irregolarità gestorie denunciate dalla minoranza.
Adeguati assetti amministrativi, organizzativi e contabili e nomina di amministratore giudiziario
Il procedimento di cui all’art. 2409 c.c. appartiene agli istituti di volontaria giurisdizione ed è sottratto al principio della domanda. Pertanto, l’ispezione della amministrazione, sebbene possa focalizzarsi su alcuni aspetti specificamente individuati, costituisce comunque uno strumento ad ampio spettro capace di evidenziare gravi irregolarità precedentemente non emerse. La finalità del procedimento, che è quella di rimuovere le gravi irregolarità al fine di assicurare al sistema delle società una gestione in linea con le aspettative e gli interessi dei soci, dei creditori e più in generale della collettività, presuppone che il Tribunale adotti misure adeguate a fronteggiare qualsiasi ipotesi di grave irregolarità emersa durante l’ispezione, non essendo vincolato in questo caso al principio della domanda.
Deve essere disposta la nomina di un amministratore giudiziario laddove venga riscontrato (anche a seguito di ispezione) che la società sia carente di un adeguato assetto organizzativo e ciò anche in una ipotesi in cui la stessa si trovi in una situazione di equilibrio economico finanziario. Gli adeguati assetti, infatti, sono funzionali proprio ad evitare che la impresa scivoli inconsapevolmente versa una situazione di crisi o di perdita della continuità, consentendo all’organo amministrativo di percepire tempestivamente i segnali che preannunciano la crisi, consentendogli in tal modo di assumere le iniziative opportune.
Principi sostanziali e processuali in materia di responsabilità di amministratori e sindaci
Il potere-dovere di controllo dei sindaci non è limitato alla sola verifica del rispetto della legge e dello statuto, ma si estende alla valutazione dei principi di corretta amministrazione, compresa la verifica che il procedimento decisionale che ha determinato l’organo amministrativo nella scelta di gestione sia completo e corredato di tutte le informazioni del caso concernenti i potenziali rischi nel contesto della situazione economico-patrimoniale e finanziaria della società. Inoltre, il dovere di vigilanza e controllo dei sindaci, pur non potendo travalicare sulla opportunità e la convenienza delle scelte gestionali, il cui apprezzamento è riservato agli amministratori, si estende alla legittimità sostanziale dell’attività sociale.
I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 ss. c.c. sono configurati con particolare ampiezza, estendendosi a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali; né riguardano solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo loro conferito il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni, quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione. Compito essenziale è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma ha esplicitato e che già in precedenza potevano ricondursi all’obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, secondo la diligenza professionale ex art. 1176 c.c.: dovere del collegio sindacale è di controllare in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto.
Affinché si configuri la violazione del dovere di vigilanza da parte dell’organo di controllo, non è necessaria l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, eventualmente anche mediante la denuncia al tribunale di cui all’art. 2409 c.c.
Il vincolo solidale ex art. 2055 c.c. tra sindaci e amministratori trova il proprio presupposto nell’unicità dell’evento dannoso, ancorché determinato dall’azione/omissione di più soggetti e indipendentemente dalla colpa (intesa come apporto causale) di ciascun partecipe, la quale rileva unicamente nei rapporti interni per l’eventuale regresso. Infatti, il diverso rilievo causale di quanti (sindaci ed amministratori) abbiano concorso alla causazione del danno, inteso come insufficienza patrimoniale della società, assume rilievo nei soli rapporti interni tra coobbligati (ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione di regresso) e non anche nei rapporti esterni che legano gli autori dell’illecito al danneggiato.
Per dimostrare l’esistenza di una supersocietà di fatto che abbia eterodiretto altre società, abusando del proprio potere direzionale e di controllo, non è sufficiente la prova della sussistenza di un operare concertato e finalizzato, né della circostanza che i componenti di una stessa famiglia si siano alternati nei ruoli gestori in più società, connotazioni di per sé non anomale in un contesto di gruppo societario di fatto.
È improduttiva di effetti giuridici, perché tardiva, la costituzione in giudizio del convenuto che, a seguito di interruzione del processo e successiva riassunzione, si sia costituito con il deposito della comparsa conclusionale: con la rimessione della causa al collegio ex art. 190 c.p.c. solo le parti già ritualmente costituite possono interloquire con gli scritti conclusivi e non sono ammissibili ulteriori attività processuali; ne consegue che, espletate le attività ex art. 190 c.p.c., la parte contumace non può più costituirsi in giudizio e l’eventuale costituzione nei termini assegnati per il deposito delle memorie conclusionali e delle repliche va dichiarata inammissibile, con conseguente preclusione dell’esame dell’atto eventualmente depositato.
La giusta causa per la revoca degli amministratori
La «giusta causa» di revoca è nozione distinta sia dal mero «inadempimento», sia dalle «gravi irregolarità» di cui all’art. 2409 c.c.: essa riguarda circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, provocate o no dall’amministratore stesso, che però pregiudicano l’affidamento dei soci nelle sue attitudini e capacità. Il legame di fiducia con la società e, per essa, con i soci, fonda infatti il rapporto di amministrazione, donde la giusta causa è integrata da ogni fatto che sia idoneo a comprometterlo.
La mancata condivisione, da parte dell’assemblea, dei criteri di redazione del bilancio utilizzati dagli amministratori può integrare una giusta causa di revoca, qualora le contestazioni non si appalesino pretestuose e siano tali da incidere sulla corretta rappresentazione del bilancio.
Quando l’amministratore revocato agisce in giudizio contestando la sussistenza della giusta causa e facendo valere il diritto al risarcimento del danno, la posizione sostanziale di attore spetta alla società, onerata della prova della giusta causa di revoca, mentre l’amministratore è il convenuto sostanziale.
I doveri di controllo e la responsabilità dei sindaci
Il sistema dei controlli nelle società di capitali è un sistema composito che coinvolge una pluralità di soggetti e organi, quali gli amministratori non esecutivi e gli amministratori indipendenti, i sindaci, i revisori, il comitato per il controllo interno, l’organismo di vigilanza di cui al d.lgs. 231/01 e il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari nelle società quotate di cui all’art. 154 bis t.u.f., allo specifico fine di ottenere, grazie all’eterogeneità dei controlli, una garanzia rafforzata dell’osservanza delle regole di corretta amministrazione. La particolare conformazione della struttura societaria induce a doveri più intensi, come quando la società sia parte di un gruppo o si tratti di società a ristretta base familiare, soggetta perciò a influenze esterne anche pregiudizievoli.
La responsabilità omissiva del soggetto tenuto, per funzione, ad esercitare un controllo sull’agire di altri è per fatto proprio colpevole, purché si riscontrino la condotta almeno colposa e il nesso di causa con il danno, dovendosi ritenere ormai espunta anche dal diritto civile la responsabilità oggettiva, la responsabilità per fatto altrui o quella da mera posizione.
I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 ss. c.c. sono configurati con particolare ampiezza, estendendosi a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali; né riguardano solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo loro conferito il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni, quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione. Compito essenziale è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione: dovere del collegio sindacale è di controllare in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto.
Ai fini dell’affermazione della responsabilità dei membri degli organi di controllo, è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità. Ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori, ai fini della responsabilità dei primi, secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale, se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione dei poteri sindacali avrebbe ragionevolmente evitato l’illecito, tenuto conto di tutte le possibili iniziative che il sindaco può assumere esercitando i poteri-doveri propri della carica, quali: la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403 bis c.c., la segnalazione all’assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l’impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 ss. c.c., la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446 e 2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ai sensi dell’art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. ed ogni altra attività possibile ed utile.
Non è sufficiente ad esonerare i sindaci della società da responsabilità, in presenza di una illecita condotta gestoria posta in essere dagli amministratori, la dedotta circostanza di esserne stati tenuti all’oscuro o di avere assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, qualora i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori.
L’obbligo di vigilanza impone – prima ancora che la verifica sulla regolarità formale degli atti e delle relazioni degli amministratori – la ricerca di adeguate informazioni, in particolare da parte dei componenti dell’organo sindacale, la cui stessa ragion d’essere è il provvedere al controllo sulla gestione. Onde sussiste la colpa in capo al sindaco già per non avere rilevato i c.d. segnali d’allarme, individuati dalla giurisprudenza anche nella stessa soggezione della società all’altrui gestione personalistica.
Le dimissioni presentate non esonerano il sindaco di società di capitali da responsabilità, in quanto non integrano un’adeguata vigilanza sull’operato altrui e sullo svolgimento dell’attività sociale, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui e perché la diligenza richiesta al sindaco impone, piuttosto, un comportamento alternativo; le dimissioni diventano anzi esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità.
Neppure l’essere stato designato alla carica solo dopo la commissione dell’illecito è di per sé circostanza sufficiente ad esimere il sindaco da responsabilità, in quanto l’accettazione della carica comporta comunque l’assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo; né la responsabilità per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie viene meno per il fatto imputabile al precedente amministratore, una volta che, assunto l’incarico, fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio.
Ai fini dell’esonero dalla responsabilità è necessario invece che i componenti dell’organo di controllo – gravati dal relativo onere probatorio a fronte dell’allegazione dell’inerzia e della prova del fatto illecito gestorio da parte dell’attore – abbiano esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge, fino alla denuncia all’autorità giudiziaria civile e penale, in mancanza delle quali concorrono nell’illecito civile commesso dagli amministratori della società per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti per legge. Anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati; la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze, in quanto l’inerzia del singolo, nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri acquista efficacia causale, dato che, all’opposto, una condotta attiva giova a rompere il silenzio sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione un analogo atteggiamento degli altri.
La responsabilità dell’amministratore di società di capitali per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie a contenere le perdite e per la mancata richiesta di fallimento nonostante la vistosità ed irreversibilità del dissesto non viene meno per effetto della responsabilità del precedente amministratore nell’aver occultato detto stato, una volta che di questo egli abbia avuto contezza.
Denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c.
La nuova formulazione dell’art. 2409 c.c. consente di affermare come non assuma rilievo qualsiasi violazione di doveri gravanti sull’organo amministrativo, ma soltanto la violazione di quei doveri idonei a compromettere il corretto esercizio dell’attività di gestione dell’impresa e a determinare pericolo di danno per la società amministrata o per le società controllate, con esclusione di qualsiasi rilevanza dei doveri gravanti sugli amministratori per finalità organizzative, amministrative, di corretto esercizio della vita della compagine sociale e di esercizio dei diritti dei soci e dei terzi estranei. Le gravi irregolarità, come da giurisprudenza prevalente, devono – oltre che riguardare la sfera societaria e non quella personale degli amministratori – essere attuali, per cui nessun provvedimento potrà essere adottato qualora le stesse abbiano esaurito ogni effetto. Infine, esse devono assumere un carattere dannoso nel senso che deve trattarsi di violazione di norme civili, penali, tributarie o amministrative, capaci di provocare un danno al patrimonio sociale e, di conseguenza, agli interessi dei soci e dei creditori sociali ovvero un grave turbamento dell’attività sociale.
Con riferimento alle condotte, alla luce dell’opzione legislativa per l’atipicità delle irregolarità, il requisito della gravità postula fatti e deficienze non altrimenti eliminabili, concretanti violazioni di legge e, segnatamente, delle norme civili, penali, amministrative e tributarie e dello statuto e – in virtù del richiamo di cui all’art. 2392, comma 1, c.c. – delle regole generali di gestione diligente nell’interesse sociale e in assenza di conflitti di interesse, che si sostanzino in fatti specificamente determinati e ascrivibili agli amministratori.
Inoltre non rilevano né il tipo di norma violata né lo stato soggettivo (dolo o colpa) di amministratori e sindaci, non essendo il procedimento instaurato in seguito a un ricorso presentato ai sensi dell’art. 2409 c.c. direttamente collegato all’esercizio dell’azione di responsabilità, in quanto trattasi di procedimento volto a ripristinare la regolarità dell’attività gestoria e privo di ogni finalità sanzionatoria.
Quanto al requisito dell’attualità, non rilevano vicende societarie esaurite e non ulteriormente produttive di possibili effetti nocivi, non potendosi dar luogo all’intervento dell’autorità giudiziaria quando sia già stato ripristinato l’ordine amministrativo e gli effetti della condotta siano ormai intangibili, come si evince anche dalla previsione di cui all’art. 2409, comma 3, c.c.
Inoltre, le irregolarità devono essere idonee alla causazione di un danno alla società. Deve reputarsi sufficiente anche il mero pericolo di danno futuro, purché patrimonialmente rilevante, alla società; non rivestono, invece, alcuna rilevanza ai fini dell’art. 2409 c.c. eventuali profili di danno ai singoli soci, ai creditori sociali e ai terzi.
Sono, invece, irrilevanti le censure attinenti al merito delle scelte gestorie, con due sole eccezioni: in primo luogo, le scelte palesemente irragionevoli o negligenti, atteso che il controllo dell’autorità giudiziaria è di legalità e di regolarità della gestione, intesa quale attività materiale e giuridica diretta alla realizzazione dell’oggetto sociale in modo conveniente, cioè tale che la quantità delle risorse complessivamente consumate nella produzione dei beni e dei servizi sia inferiore o corrispondente ai ricavi; in secondo luogo, il tribunale può sindacare anche il merito delle scelte economiche compiute dagli amministratori in conflitto di interessi, e segnatamente quelle in pregiudizio della società da loro amministrata, ma conformi all’interesse del socio di maggioranza, a condizione che ricorra l’ulteriore presupposto della potenzialità del danno per la società stessa. In altre parole, il limite derivante dalla cd. business judgment rule non opera laddove si tratti di sindacare non tanto l’osservanza del dovere di diligenza, quanto dell’obbligo di fedeltà, comunque compreso tra quelli richiamati dall’art. 2409, comma 1, c.c. e sotteso ai precetti normativi in tema di conflitto di interessi.
Sulla revoca (anche cautelare e d’urgenza) dell’amministratore di società di persone
In una società di persone ciascun socio è legittimato a chiedere giudizialmente ai sensi dell’art. 2259, co. 3 c.c. la revoca dell’amministratore per giusta causa.
Tale provvedimento può essere richiesto e disposto, oltre che con la instaurazione di un giudizio di merito e con relativa sentenza, anche in via anticipata mediante la tutela cautelare in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. (non sussistendo un rimedio cautelare tipico come, invece, per le società a responsabilità limitata), attesi, da un lato, la compatibilità della tutela con la futura decisione di merito e, dall’altro, la residualità della misura.
La “giusta causa” di cui all’art. 2259 co. 3 c.c. ai fini della revoca dell’amministratore di società di persone viene integrata da qualsiasi evento che determini la violazione degli obblighi propri dell’amministratore e incida negativamente sul carattere fiduciario del rapporto o, comunque, renda impossibile il naturale svolgimento del rapporto di gestione. In particolare, nella casistica di condotte elaborate dalla giurisprudenza ed integranti giusta causa di revoca del socio amministratore vi rientrano: (i) l’avvenuta rinegoziazione a condizioni meno vantaggiose di contratti di utilizzo e godimento dei cespiti produttivi; (ii) l’avere consentito a terzi di ingerirsi nella gestione, divenendo socio di fatto della società; (iii) la mancata comunicazione ai soci non amministratori dei rendiconti e dei bilanci annuali; (iv) la creazione di situazioni tali da nuocere alla prosecuzione della attività di impresa; (v) il tentativo del socio amministratore di provocare lo scioglimento della società prima della scadenza con mezzi artificiosi, ovvero di distrarre risorse reimpiegandole in attività estranee e diverse; (vi) ripetuti comportamenti gravemente inadempienti ai propri obblighi, tra i quali la mancata comunicazione dei bilanci e dei rendiconti della società al socio non amministratore, e l’impedimento frapposto a quest’ultimo ad accedere ai documenti essenziali per l’esercizio dei diritti di controllo sulla gestione sociale; (vii) ogni fatto costituente violazione di obblighi di lealtà, correttezza, e di diligenza da parte dell’amministratore, tale da incidere negativamente sul carattere fiduciario del rapporto ovvero da rendere impossibile l’assolvimento del mandato, anche se in considerazione di circostanze obiettive ed estranee alla persona del revocato. Tuttavia, perché la revoca cautelare del socio amministratore dalle funzioni gestorie possa essere pronunziata è necessario che sussista anche il requisito del periculum in mora (cioè il rischio che nelle more del giudizio di merito siano poste in essere nuove condotte pregiudizievoli o che si aggravino il pregiudizio e/o gli effetti di quelle pregresse): in assenza di ciò la revoca non potrà essere disposta, non essendo sufficiente la sussistenza di condotte illegittime e/o irregolari pregresse e non attuali.
La revoca per giusta causa dell’amministratore di società di persone determina unicamente la cessazione delle funzioni gestorie ma non comporta in capo al soggetto revocato anche la perdita della qualità di socio (cfr, ex multis, Cass. n. 15197/2001 e Trib. Milano, 9.11.15).
Le disposizioni di cui all’art. 2409 c.c. si applicano solo alle società di capitali (ancorché ora, ex art. 379 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, anche prive di organo di controllo) e non alle società di persone.
Denuncia al Tribunale ex art. 2409 cod. civ. da parte dei componenti del collegio sindacale
Ai sensi dell’art. 2409 cod. civ. non assume rilievo qualsiasi violazione dei doveri gravanti sull’organo amministrativo ma soltanto la violazione di quei doveri idonei a compromettere il corretto esercizio dell’attività di gestione dell’impresa e a determinare pericolo di danno per la società amministrata o per le società controllate, con esclusione di qualsiasi rilevanza, invece, dei doveri gravanti sugli amministratori per finalità organizzative, amministrative, di corretto esercizio della vita della compagine sociale e di esercizio dei diritti dei soci e dei terzi estranei. Le gravi irregolarità, inoltre, devono essere attuali e devono assumere un carattere dannoso nel senso che deve trattarsi di violazione di norme civili, penali, tributarie o amministrative, capaci di provocare un danno al patrimonio sociale e, di conseguenza, agli interessi dei soci e dei creditori sociali ovvero un grave turbamento dell’attività sociale. Come nel caso di specie, deve pertanto essere accolta la domanda dei componenti del collegio sindacale di una S.p.A. di ordinarsi l’ispezione della società ex art. 2409 cod. civ., denunciando (i) l’omesso accertamento, da parte degli amministratori, della perdita della continuità aziendale, non avendo considerato, in particolare, i segnali derivanti dal fatto che le entrate generate dall’attività produttiva non erano nemmeno sufficienti a coprire i costi della produzione né tantomeno a far fronte all’ingente indebitamento della società, nonché (ii) il compimento, da parte degli amministratori, di atti pregiudizievoli per il patrimonio sociale e rischio di ulteriore depauperamento, tra cui, inter alia, la realizzazione di un’operazione di conferimento del ramo di azienda che rappresentava l’unico asset della società che generasse delle entrate.
Responsibilità per mala gestio e clausola compromissoria statutaria
È pacificamente ricompresa nell’ambito di applicazione della clausola compromissoria contenuta nello statuto societario, e pertanto deve essere devoluta in arbitrato, l’azione ex art. 2395 c.c. promossa nei confronti degli amministratori di accertamento della responsabilità per mala gestio.
Inammissibilità della nomina dell’amministratore giudiziario per società di persone e adozione di provvedimenti atipici
Pur in presenza di adeguato fumus quanto alla violazione da parte dell’amministratore unico di società semplice degli specifici doveri di trasparenza e rendicontazione connessi alla carica (nella fattispecie, mancata redazione o redazione non conforme dei rendiconti e della relativa nota integrativa ai sensi degli artt. 2261-2262 c.c. e omessa convocazione dei soci in assemblea per l’approvazione dei medesimi) è esclusa l’ammissibilità della nomina dell’amministratore giudiziario per le società di persone, essendo ritenuta incompatibile – dato il diverso e più stringente regime di responsabilità patrimoniale rispetto alle società di capitali – l’individuazione dell’organo amministrativo, agli esiti della cui attività i soci sono patrimonialmente soggetti, da parte del Tribunale con provvedimento atipico non corrispondente ad alcuna pronuncia di merito adottabile in via contenziosa e come tale privo di ogni nesso di strumentalità rispetto all’azione di merito, dovendo dunque assumere la revoca i connotati dell’extrema ratio rispetto a qualsiasi altro provvedimento provvisorio in grado di assicurare il ripristino di una gestione sociale corretta e che tenga conto pienamente dei diritti del socio di minoranza.