Art. 2437 ter c.c.
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Determinazione del valore delle azioni da liquidare ai soci recedenti nelle s.p.a. non quotate
La determinazione del valore delle azioni da liquidare ai soci recedenti nell’ambito della disciplina delle società per azioni non quotate verte sull’art. 2437 ter c.c. L’esperto nominato dal Tribunale stima le azioni sulla base del criterio equitativo, fondato sull’arbitrium boni viri.
L’equo apprezzamento con cui deve provvedere l’esperto stimatore alla determinazione del valore delle azioni si risolve in una valutazione che – pur ammettendo un certo margine di soggettività – resta comunque ancorata a criteri oggettivi, volti alla perequazione degli interessi economici in gioco, criteri in quanto tali suscettibili di controllo giudiziale nel caso in cui la determinazione effettuata da parte del terzo risulti essere manifestamente iniqua o erronea.
In linea di massima, i soci recedenti perseguono l’interesse a monetizzare il loro investimento di capitale. In detto contesto, l’interesse primario che hanno i soci recedenti è quello di non subire una modifica peggiorativa del valore del loro investimento di capitale, a fronte dell’interesse della società, degli altri soci o dei creditori, di non vedere eccessivamente depauperato il patrimonio sociale a fronte dell’esercitato diritto di recesso. Si ritiene che sia questo l’ambito degli interessi economici contrapposti in gioco rispetto al quale l’arbitratore è tenuto a svolgere l’equo contemperamento nella stima del valore di liquidazione delle azioni.
Non può considerarsi manifestamente erronea la determinazione dell’esperto stimatore che fissi il momento determinante ai fini della valutazione nella data della delibera assembleare legittimante il recesso in luogo del momento della delibera del CdA di convocazione dell’assemblea straordinaria della società.
Sulla (non) configurabilità della rinuncia all’esercizio del diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437 ter c.c.
La disciplina vigente non esclude espressamente la facoltà del socio di rinunciare agli effetti del recesso, ma contiene elementi sufficienti ad escluderne l’ammissibilità in via sistematica. In primo luogo, le sole cause di sopravvenuta inefficacia del recesso “già esercitato” consistono nella “revoca della delibera che lo legittima” o nella deliberazione dello scioglimento della società, l’una e l’altra “entro novanta giorni” (art. 2437-bis co. 3). […] Secondo, la rinuncia al recesso, invariate le condizioni che lo hanno cagionato, appare incompatibile con la ratio legis dell’attribuzione del diritto, come possibilità di apprezzare un mutamento delle condizioni di rischio, nelle ipotesi legislativamente previste, e di liquidare l’investimento. Il socio può, in altri termini, continuare a sottoporsi al rischio imprenditoriale, partecipando agli utili e alle perdite, oppure estraniarsi dal rischio della società, assumendo la veste di creditore della quota di liquidazione. Non può assumere al contempo l’una e l’altra qualità […].
Su queste premesse, al socio non compete il diritto di rinunciare al recesso già esercitato e la società non può esimersi dalla liquidazione della quota eccependo l’avvenuta rinuncia, a prescindere dalle modalità (espressa o tacita) con cui tale rinuncia si sia manifestata.
Sulla rinuncia per fatti concludenti all’esercizio del diritto di recesso. Il caso Banca Sella
Al socio non compete il diritto di rinunciare al recesso già esercitato (jus poenitendi) e la società non può esimersi dalla liquidazione della quota eccependo l’avvenuta rinuncia, a prescindere dalle modalità (espressa o tacita) con cui tale rinuncia si sia manifestata. La rinuncia al recesso da parte del socio, invariate le condizioni che lo hanno cagionato, appare infatti incompatibile con la ratio legis dell’attribuzione del diritto, come possibilità di apprezzare un mutamento delle condizioni di rischio, nelle ipotesi legislativamente previste, e di liquidare l’investimento. Il socio può, in altri termini, continuare a sottoporsi al rischio imprenditoriale, partecipando agli utili e alle perdite, oppure estraniarsi dal rischio della società, assumendo la veste di creditore della quota di liquidazione. Non può assumere al contempo l’una e l’altra qualità, riservandosi di stare a vedere, per rientrare nella società o uscirne definitivamente, secondo che i rischi abbiano o meno a materializzarsi.
Dato e non concesso che il socio possa rinunciare unilateralmente, prima della liquidazione, agli effetti del recesso già esercitato, la prolungata inerzia del socio all’esercizio del recesso non si qualificherebbe comunque automaticamente come esercizio “abusivo” del diritto per l’affidamento al non esercizio ingenerato, con relativa “decadenza” dallo stesso (Verwirkung), poiché tale istituto richiede un ritardo imputabile al titolare, generatore di un ragionevole e apprezzabile affidamento sulla definitiva scelta di non avvalersi del diritto, che ne renda “sleale” o “abusivo” il successivo esercizio. Né potrebbe essere considerata manifestazione di volontà abdicativa da parte del titolare la mancata esecuzione della sentenza di condanna, provvisoriamente esecutiva ma ancora non passata in giudicato, a determinare il valore delle azioni ed eseguire il procedimento per la loro liquidazione: tale comportamento non implicherebbe alcuna prematura estinzione del diritto – prematura rispetto alla prescrizione decennale della actio judicati – per rinuncia tacita.
Chiarimenti in tema di litisconsorzio necessario, diritti di partecipazione ex art. 2437 c.c., distribuzione degli utili e abuso di maggioranza
Ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario solo allorquando la situazione sostanziale plurisoggettiva dedotta in giudizio debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria nei confronti di tutti i soggetti che ne siano partecipi, sicché la decisione richiesta sarebbe altrimenti inidonea a spiegare i propri effetti e, cioè, inutiliter data, il che dev’essere oggetto di verifica in base alle domande giudiziali proposte, cosicché non sussiste un’ipotesi di litisconsorzio necessario quando il convenuto non propone domanda riconvenzionale avente ad oggetto la pretesa situazione plurisoggettiva.
In tema di recesso dalla società di capitali, l’espressione “diritti di partecipazione” di cui all’art.2437, 1°c., l. g), c.c., deve rimanere nell’ambito di un’interpretazione restrittiva della norma tesa a non incrementare a dismisura le cause che legittimano l’uscita dalla società, cosicché essa comprende, tra i diritti patrimoniali che derivano dalla partecipazione, quelli afferenti alla percentuale dell’utile da distribuire in base allo Statuto e attinenti alla modifica di una clausola statutaria direttamente riguardante la distribuzione dell’utile di esercizio che influenzi in negativo i diritti patrimoniali dei soci prevedendo l’abbattimento della percentuale ammissibile di distribuzione, in considerazione dello specifico aumento della percentuale da destinare a riserva.
La decisione dell’assemblea sulla distribuzione degli utili può riguardare solo l’an ed il quantum, non le modalità di ripartizione e la relativa tipologia che devono essere stabilite ex ante dallo Statuto sociale (o, nel silenzio di questo, secondo proporzionalità), perché altrimenti si lederebbe un diritto individuale del socio.
Sussiste abuso di maggioranza, in pratica, di fronte alla consapevole e fraudolenta attività del socio di maggioranza volta al perseguimento dell’unico fine di trarre un vantaggio personale a danno degli altri azionisti che si concreta, quindi, nell’inosservanza del dovere di correttezza e buona fede di cui agli art.1175 e 1375 c.c., rendendo annullabile la delibera adottata. Si tratta, quindi, di deliberazioni formalmente consentite dalla norma, ma invalide per violazione di clausole generali (appunto, i principi di correttezza e buona fede) che, come tali, risultano residuali rispetto a fattispecie tipiche.
Preventiva informazione sul valore di liquidazione delle azioni in caso di delibera legittimante il recesso e abuso di maggioranza
Ai sensi dell’art. 2437-ter il socio, avente diritto alla liquidazione delle azioni per le quali esercita il recesso, ha diritto di conoscere la determinazione del valore di liquidazione delle azioni nei quindici giorni precedenti alla data fissata per l’assemblea avente all’ordine del giorno le delibere all’esito delle quali è consentito il recesso del socio. [ LEGGI TUTTO ]
Contestazione della stima dell’esperto in merito al valore di liquidazione delle azioni per esercizio del diritto di recesso
La relazione dell’esperto nominato dal Tribunale, avente ad oggetto la valutazione del valore di liquidazione delle azioni per le quali un socio esercita il diritto di recesso, è contestabile solo nel caso in cui giunga a risultati manifestamente iniqui o erronei.
È coerente con il disposto dell’articolo 2437 ter comma 2 c.c., il metodo di valutazione che si fonda sul rapporto Enterprise Value e margine operativo lordo dato che, prendendo in esame la consistenza patrimoniale e reddituale della società, non si discosta dai criteri civilistici di valutazione della società di capitale previsti dalla medesima norma.
La regola della necessaria contestualità tra contestazione del valore di liquidazione e dichiarazione di recesso non si applica in via analogica a casi diversi dal recesso
Il termine di cui all’art. 2437 bis, co. 1, c.c. riguarda espressamente l’esercizio del recesso e non la contestazione del valore di liquidazione in casi diversi dal recesso: la previsione di un breve termine di decadenza anche per la contestazione, quando disgiunta dal recesso, non può quindi essere introdotta in via interpretativa.
Recesso da Cassa Depositi e Prestiti e determinazione del valore della quota di liquidazione
Anche a voler riconoscere alla Cassa natura di società a partecipazione pubblica di diritto singolare, costituita per il perseguimento di una specifica missione di pubblico interesse, e la conseguente possibilità di derogare, per legge, alle specifiche disposizioni di diritto comune dettate dal codice civile per il tipo sociale prescelto, non deve ritenersi legittima una deroga ai principi generali previsti per il recesso dei soci di società per azioni. Le disposizioni statutarie, originarie o intervenute per modifiche successive, infatti, ancorché, nel primo caso, adottate con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si risolvono pur sempre nell’esercizio dell’autonomia negoziale attribuita ai soci dall’ordinamento nei limiti dallo stesso individuati, e l’eventuale superamento di tali limiti, salva la valutazione di legittimità costituzionale, potrebbe essere disposto solo da fonti normative di rango primario, alle quali le norme di rango secondario possono dare attuazione nell’ambito del perimetro individuato dalle prime.
Ne discende che la clausola statutaria che prevede che la quota del socio receduto sia valutata con riguardo al suo valore nominale, anziché con riguardo al suo valore effettivo, non potrebbe che essere considerata invalida, se ad essa dovesse attribuirsi portata derogatoria dei principi sanciti dall’art. 2437 ter c.c.
Neppure per le ipotesi di recesso esercitato al di fuori delle ipotesi legali è consentito derogare ai criteri previsti dalla norma appena citata. In fatti si deve rilevare che la nullità della clausola statutaria che deroga ai principi previsti nell’art. 2437 ter c.c. deriva dalla contrarietà della previsione statutaria alle norme imperative contenute in tale articolo, indipendentemente dalla contrarietà o meno della previsione statutaria alla norma imperativa contenuta nell’art. 2437 c.c., che vieta ogni patto volto ad escludere o a rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso con esclusivo riferimento alle ipotesi di recesso legale previste dal primo comma dello stesso articolo, e che l’art. 2473 ter c.c. non reca alcuna distinzione fra cause di recesso legali e cause di recesso statutarie al fine di dettare diversi criteri di liquidazione della quota del socio receduto.
Criteri di determinazione del valore di liquidazione da recesso e società di diritto speciale. Il caso CDP
La natura di società di diritto speciale, avente fonte legale, di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. non è di per sé sola sufficiente – in mancanza di una espressa deroga prevista dalla legge – a giustificare una disciplina statutaria che, in punto di criteri di determinazione del valore di liquidazione delle azioni in caso di recesso, sia contraria ai limiti imperativi posti dall’art. 2437-ter, c. 4, c.c. e cioè che prescriva una valutazione del tutto avulsa dal valore “reale” delle azioni, che non indichi quindi “elementi dell’attivo o del passivo” o comunque “elementi suscettibili di valutazione patrimoniale” sulla base dei quale operare la determinazione bensì assuma come parametro il solo valore nominale delle azioni.
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La determinazione del valore di liquidazione delle azioni per le quali viene esercitato il diritto di recesso, affidata all’esperto nominato dal Tribunale, è rimessa all’equo apprezzamento del terzo
Il terzo arbitratore, a meno che le parti si siano affidate al suo «mero arbitrio» deve procedere con equo apprezzamento alla determinazione della prestazione, adottando cioè un criterio di valutazione ispirato all’equità contrattuale, che in questo caso svolge una funzione di ricerca in via preventiva dell’equilibrio mercantile tra prestazioni contrapposte e di perequazione degli interessi economici in gioco. Pertanto l’equo apprezzamento si risolve in valutazioni che, pur ammettendo un certo margine di soggettività, sono ancorate a criteri obbiettivi, desumibili dal settore economico nel quale il contratto incompleto si iscrive, in quanto tali suscettibili di dare luogo ad un controllo in sede giudiziale circa la loro applicazione nel caso in cui la determinazione dell’arbitro sia viziata da iniquità o erroneità manifesta, il che si verifica quando sia ravvisabile una rilevante sperequazione tra prestazioni contrattuali contrapposte, determinate attraverso l’attività dell’arbitratore.