Art. 2466 c.c.
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Il conferimento in natura nella s.r.l.
Nella disciplina dei conferimenti in natura nella s.r.l. non è previsto espressamente che gli amministratori debbano controllare la relazione di stima, come prevede l’art. 2343, co. 3, c.c. in tema di s.p.a., né viene richiamato l’art. 2343, co. 4, c.c. che regola nelle s.p.a. il caso in cui il valore dei beni conferiti sia inferiore a quello nominale. Tuttavia, gli amministratori di s.r.l. sono tenuti alla lettura della relazione e rilevare eventuali errori che appaiano loro, in relazione alle loro competenze, evidenti. Inoltre, se l’art. 2466 c.c. disciplina per le s.r.l. il caso in cui il socio non esegua il conferimento, il sistema deve ammettere, a tutela della integrità del patrimonio sociale, che, qualora un conferimento sia solo apparente, gli amministratori debbano mettere in atto azioni a difesa della società, se non altro procedendo a ridurre il capitale, posto che non è esteso alle s.r.l. il sistema di cui all’art. 2343, co. 4, c.c.
Decadenza dal diritto di voto del socio di s.r.l. moroso e mancata convocazione all’assemblea
Una corretta lettura dell’art. 2466, co. 4, c.c. impone di rilevare che non può esercitare il diritto di voto il socio che non esegue il pagamento della quota nel termine prescritto, che è appunto il “socio in mora”, come previsto dal quarto comma della citata disposizione, indipendentemente sia da uno specifico atto di costituzione in mora (v. anche l’art. 1219, co. 2, n. 3, c.c.), sia dall’intimazione di una diffida ad eseguire il pagamento nel termine di trenta giorni, la quale va indirizzata al socio moroso al solo fine di dare inizio alla procedura di vendita in danno della intera quota sottoscritta, salva restando la decadenza dall’esercizio del diritto di voto.
In tema di società a responsabilità limitata, la deliberazione dell’assemblea assunta senza la convocazione di uno dei soci è da ritenersi nulla, poiché il disposto dell’art. 2479 ter, co. 3, c.c., nella parte in cui considera le decisioni prese “in assenza assoluta di informazioni” non si riferisce soltanto alla mancanza di informazioni sugli argomenti da trattare ma anche alla mancanza di informazioni sull’avvio del procedimento deliberativo.
Esclusione del socio di s.r.l. e presupposti per la sospensione dell’esecuzione della delibera assembleare
Pur nella indubbia ampiezza del rinvio operato all’autonomia privata, l’art. 2473 bis c.c. pone un duplice limite all’esercizio del potere di autoregolamentazione sociale in materia: l’indicazione specifica delle ipotesi di esclusione e la qualificabilità delle stesse in termini di gravità e di giustezza causale. Il primo limite vieta ai soci di prevedere l’adozione di clausole generiche ed indeterminate, imponendo di ancorare l’esclusione ad un parametro oggettivo preventivamente determinato. Il secondo funge da limite interno e deve essere inteso nel senso che l’esclusione debba trovare fondamento nella violazione di un interesse sociale meritevole di tutela. È proprio infatti la previsione della sussistenza di una giusta causa che mira ad escludere in radice ipotesi di abuso del diritto, impedendo che la decisione possa di volta in volta essere riempita con una valutazione eccessivamente discrezionale da parte della maggioranza, tutelando l’interesse del singolo socio di non essere vittima di abusi preconfezionati in clausole statutarie. È necessario, dunque, che la clausola di esclusione sia espressamente indicata come tale dai soci nell’atto costitutivo o nello statuto, che sia dotata del carattere della specificità e che consista in una regola organizzativa suscettibile di applicazione nei confronti di tutti i soci, senza, peraltro, potersi riferire individualmente ad un socio specificamente determinato.
Possono costituire giusta causa di esclusione, purché individuate in modo specifico e debitamente circoscritte, ipotesi attinenti: ad eventi che colpiscano direttamente la sfera soggettiva del singolo socio (incapacità sopravvenuta, condanna penale), ad eventi che incidano sul rapporto sociale sotto il profilo dell’inadempimento, anche non imputabile, degli obblighi contrattuali di gravità tale, comunque, da costituire un pregiudizio per l’efficiente svolgimento dell’attività sociale nonché la violazione dei doveri di fedeltà, lealtà, diligenza e correttezza che discendono dalla natura fiduciaria, comunque caratteristica, del rapporto sociale.
L’art. 2378 c.c., nel disciplinare il procedimento cautelare volto ad ottenere la sospensione della delibera assembleare, prescrive, ai commi 3 e 4, che il ricorso debba essere depositato contestualmente al deposito della citazione introduttiva del merito e che il procedimento cautelare debba essere assegnato al medesimo giudice designato per la trattazione della fase di merito. La ratio sottesa alla disposizione citata è quella di evitare gli effetti distorsivi di una eventuale azione di sospensione della delibera sociale disgiunta dall’azione di annullamento (o nullità) della stessa. Tale scelta risponde alla logica di certezza dei rapporti giuridici e, prima ancora, della stabilità degli effetti delle decisioni assunte, che permeano l’intera disciplina del diritto societario, in funzione delle esigenze di certezza e stabilità dei traffici economici. Il principio di contestualità e la previsione di un unico giudice designato vanno, quindi, letti in questa chiave: i due accertamenti, cautelare e di merito, devono coesistere, rimanendo inammissibile un giudizio cautelare tipico autonomo.
La disposizione ex art. 2378, co. 3, c.c., applicabile anche alle deliberazioni di assemblea di s.r.l. per effetto del rinvio contenuto nell’art. 2479 ter, co. 4, c.c. e, benché non espressamente richiamata dall’art. 2379, co. 4, c.c., alle delibere nulle, mira ad evitare che il ricorrente possa ricevere pregiudizio nelle more del processo volto all’invalidazione della delibera assembleare ex artt. 2377 e 2378 c.c.
Avendo natura cautelare, l’accoglimento dell’istanza di sospensione, presuppone, ai sensi e per effetto dell’art. 669 quaterdecies c.p.c., che sussistano i presupposti del fumus boni iuris, sebbene la norma non vi faccia espresso riferimento, e del periculum in mora, sia pure con le peculiarità previste dall’art. 2378, co. 4, c.c. sul giudizio comparativo ivi delineato. Invero, l’accertamento del periculum, ai sensi della citata disposizione, richiede che il pregiudizio, che in termini di irreparabilità della lesione potrebbe subire il ricorrente dalla permanente efficacia (o esecuzione) della deliberazione impugnata, non debba essere visto a sé stante ed in via esclusiva, ma debba essere valutato in concreto comparandolo con quello che viceversa potrebbe patire la società per effetto della sospensione di tale decisione. Quanto al fumus, invece, esso va inteso quale probabile esistenza, sulla base di una cognizione sommaria, di un vizio invalidante che comporterebbe l’annullabilità ovvero la nullità della decisione medesima.
Mancata esecuzione dei conferimenti da parte del socio di s.r.l.
L’art. 2464 c.c. prevede che, alla sottoscrizione dell’atto costitutivo, deve essere versato all’organo amministrativo almeno il venticinque per cento del conferimento in danaro. La disciplina relativa alla mancata esecuzione dei conferimenti, di cui all’art. 2466 c.c., prevede che, se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni, di modo che, decorso inutilmente detto termine, gli amministratori possono vendere agli altri soci la quota del socio moroso, qualora non ritengano utile promuovere azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti. La condizione necessaria affinché gli amministratori dispongano del potere, esercitato nell’interesse della società, di provvedere alla vendita in danno, è costituita dalla diffida inviata al socio moroso, diffida che non è l’atto con cui il socio medesimo che non abbia provveduto al versamento dei decimi residui è costituito in mora, preesistendo detta condizione all’invio della diffida. In realtà, il socio è costituito in mora ove non provveda a versare i residui decimi nei modi e nei termini stabiliti dall’organo gestorio, secondo quanto previsto dall’atto costitutivo.
Presupposti per la vendita della quota del socio moroso ai sensi dell’art. 2466 c.c.
I soci devono eseguire i conferimenti nel termine prescritto, che varia in relazione alle caratteristiche del singolo conferimento e ad eventuali pattuizioni fra socio e società. Se nulla è previsto nell’atto costitutivo o nello statuto, spetta all’organo amministratvo richiedere ai soci, in qualunque momento, l’immediato versamento di quanto ancora dovuto.
L’art. 2466, co. 1, c.c. statuisce che se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori devono diffidarlo ad adempiere l’obbligazione entro il termine perentorio di trenta giorni. Trattasi di una forma di costituzione in mora ex persona, la quale necessita, ai sensi dell’art. 1219, co. 1, c.c., un’intimazione o richiesta fatta per iscritto.
Decorso detto termine, in caso di inadempimento del socio, compete all’organo amministrativo, ai sensi dell’art. 2466, co. 2, c.c., la scelta discrezionale di agire nei confronti del socio moroso per l’adempimento coattivo del conferimento, ovvero di vendere, a suo rischio e pericolo – in applicazione dell’istituto della vendita per conto di chi spetta ex art. 1515 c.c. –, la quota agli altri soci, in proporzione alla loro partecipazione e per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato.
In tema di querela di falso, il giudice di merito davanti al quale sia stata proposta la querela di falso deve anche compiere un accertamento preliminare per verificare la sussistenza o meno dei presupposti che ne giustificano la proposizione, per evitare di dilatare i tempi di decisione del processo principale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, co. 2, Cost.
Divisibilità delle quote di s.r.l. e non ammissibilità dell’istanza di riduzione del sequestro conservativo su quota
La divisibilità della quota di s.r.l., ancorché non automatica in caso di successione ereditaria, appare naturale e deriva dai principi generali, salvo diversa previsione statutaria, sicché la mancata riproduzione di una regola come quella di cui al previgente art. 2482 c.c. non pare fondare il venir meno della regola della divisibilità, ma piuttosto ad affermare la superfluità di una previsione ad hoc. Infatti, il legislatore della riforma ha rimosso uno degli ostacoli pratici alla divisibilità, non essendo più previsto che le quote di s.r.l. debbano essere di ammontare di un euro o multiple di esso. Inoltre, la regola della naturale divisibilità della quota risponde alle esigenze della realtà economica, poiché l’indivisibilità comporterebbe, senza spiegazione ragionevole, il divieto di vendita frazionata della partecipazione. Infine, esistono precisi indici normativi in tal senso, ravvisabili: nelle disposizioni degli artt. 2466 e 2473 c.c., poiché in entrambi i casi l’ordinamento considera la quota perfettamente divisibile e ne prevede l’attribuzione agli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni; nella regola ex art. 2352 c.c. in tema di s.p.a., richiamata per le s.r.l. dall’art. 2471 bis c.c., in forza della quale nel caso di aumento del capitale a titolo oneroso in presenza di quote gravate da sequestro, il vincolo non si estende alle quote di nuova emissione; in tal caso la partecipazione di cui è titolare il debitore (o destinatario del sequestro) può, una volta conclusa l’operazione di aumento, esser solo parzialmente gravata dal vincolo dopo l’esecuzione dell’operazione di aumento; si realizzerebbe così una sorta di divisione legale della quota, in cui una partecipazione unitaria risulta per una parte soggetta al vincolo mentre l’altra, coincidente con la porzione accresciuta a seguito dell’aumento a pagamento, ne rimarrebbe libera.
La regola della divisibilità della quota non può essere, tuttavia, generalizzata. Nella disciplina del sequestro, dove la titolarità della quota resta invariata, il dato normativo più chiaro e pertinente è quello offerto dall’art. 2468 c.c., che prevede, per il caso di concorrenza di diritti sulla quota, non la pura e semplice divisione proporzionale del voto e degli altri diritti amministrativi, ma la nomina di un rappresentante comune della comunione (cfr. artt. 1105 e 1106 c.c. e l’analoga previsione in tema di azioni all’art. 2347 c.c.) e quindi anche, implicitamente, l’indivisibilità dell’esercizio dei diritti. Ridurre a una frazione della quota la partecipazione sotto sequestro avrebbe la portata pratica di far coesistere due concorrenti poteri sulla stessa quota – quello del debitore e quello del custode – depotenziando e al limite vanificando la portata pratica del sequestro.
Gli artt. 2352 e 2471 bis c.c. in caso di sequestro attribuiscono il diritto di voto e gli altri diritti amministrativi al custode, la cui nomina appare, pertanto, necessaria quando il sequestro cade su azioni o quote di s.r.l. Da tale principio non v’è ragione di discostarsi solo perché il sequestro conservativo di quote di s.r.l. si esegue, nelle forme previste per il pignoramento (cfr. art. 2471 c.c.), mediante iscrizione a registro delle imprese, che assicura l’indisponibilità giuridica della quota, visto che l’esercizio da parte del socio (o l’omesso esercizio) dei diritti amministrativi inerenti alla quota può indirettamente pregiudicare valore e redditività della partecipazione sotto sequestro, svuotandola di contenuto.
Sulla natura giuridica dei versamenti in conto futuro aumento di capitale
Nei “versamenti in conto futuro aumento di capitale” l’acquisizione patrimoniale da parte della società è risolutivamente condizionata alla mancata deliberazione e/o esecuzione di un aumento nominale del capitale sociale.
Se non è espressamente stabilito un termine entro cui l’aumento di capitale deve aver luogo, le somme versate dal socio restano nella piena disponibilità della società, essendo il riferimento al futuro aumento di capitale funzionale soltanto a ribadire la possibilità che la società imputi in tal senso la relativa riserva, fermo il diritto del socio di chiedere al giudice la fissazione di un termine entro il quale la società è tenuta a convocare l’assemblea per deliberare in ordine all’ipotizzato aumento nominale del capitale, in applicazione analogica dell’art. 1183 c.c.
Qualora l’aumento non venga deliberato dall’assemblea entro la scadenza del termine espressamente pattuito dalle parti o di quello stabilito dal giudice ex art. 1183 c.c., il socio ha diritto alla restituzione della somma versata: non perché si è trattato di un mutuo, ma per essere successivamente venuta meno la giustificazione causale dell’attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società, quindi secondo la disciplina della ripetizione dell’indebito, stante l’efficacia retroattiva dell’avveramento della condizione.
In assenza di una delibera di aumento di capitale, colui che ha eseguito il versamento non ha mai acquisito la qualità di socio e, pertanto, non gli è applicabile la disciplina sulla mancata esecuzione dei conferimenti prevista dall’art. 2466 c.c., la quale riguarda esclusivamente le partecipazioni già emesse a fronte dell’avvenuta sottoscrizione dell’atto costitutivo o di un successivo aumento di capitale.
Giusta causa e specificità delle clausole di esclusione del socio di s.r.l.
Il socio di società a responsabilità limitata può essere escluso dalla compagine sociale solo nell’ipotesi prevista per il caso in cui il socio sia moroso rispetto al suo obbligo di conferimento e, comunque, solo successivamente all’esperimento infruttuoso del procedimento di cui all’art. 2466, 2° e 3° comma, c.c. o, alternativamente, al ricorrere delle circostanze previste dallo statuto.
La possibilità di introdurre statutariamente delle clausole di esclusione dei soci di s.r.l. richiede che venga rispettato il requisito, oltre che della giusta causa, anche della specificità.
Pertanto, deve ritenersi illegittima per mancanza di specificità la clausola di esclusione che riproduce l’art. 2286, 1° comma, c.c., nella parte in cui recita: “l’esclusione di un socio può aver luogo per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dal contratto sociale”, mancando il rispetto del requisito della specificità in quanto dall’atto costitutivo devono emergere con chiarezza e precisione quali sono le obbligazioni sociali (o, comunque, i suddetti comportamenti, a carico) del socio.
Le conseguenze della mancata esecuzione dei conferimenti da parte del socio di s.r.l.
Il conferimento effettuato dal socio mediante compensazione tra il relativo debito incombente su quest’ultimo verso la società ed un credito a sua volta vantato dal socio medesimo nei confronti dell’ente è legittimo solamente nell’ipotesi di aumento del capitale sociale – nella quale tale modalità di estinzione del debito del socio non determina un pregiudizio per i creditori e la società – e non invece nell’ipotesi di versamento dei decimi del capitale originario, in quanto i conferimenti iniziali possono essere costituiti solo da beni inidonei a formare oggetto di garanzia patrimoniale.
In caso di morosità del socio ex art. 2466 c.c., il recupero forzoso del credito costituisce una mera facoltà per gli amministratori e non un obbligo. Come infatti lasciato intendere dall’espressione “qualora non ritengano utile promuovere azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti” contenuta nell’art. 2466 c.c., l’esercizio di tale azione viene rimesso alla discrezionalità dell’organo amministrativo, che può determinarsi nel senso di non procedere preventivamente nei confronti del socio moroso (ad esempio, per il verosimile difficile recupero del credito), senza dover fornire in proposito apposita giustificazione in assemblea.
L’abuso della regola di maggioranza è causa di annullamento della deliberazione assembleare quando essa non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società, in quanto il voto espresso sia ispirato al perseguimento di un interesse – di maggioranza – personale ed antitetico a quello sociale, oppure esso sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a ledere i diritti dei soci di minoranza. Ai fini dell’annullamento della deliberazione assemblare, per eccesso di potere, è necessario provare che il voto determinante del socio di maggioranza è stato espresso allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, oppure che esso fosse in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell’esecuzione del contratto. L’onere della prova non deve ritenersi limitato ai sintomi dell’abuso della regola di maggioranza manifestatasi prima dell’azione della delibera impugnata, potendo, viceversa, farsi leva su comportamenti o indizi cronologicamente successivi, in grado di rivelarne ex post la sussistenza.
Le ipotesi e l’operatività della esclusione del socio di srl
A differenza delle società di persone (nella cui disciplina l’esclusione è prevista espressamente e direttamente dall’art. 2286 c.c. e, comunque, consentita anche nella generale ipotesi dei gravi inadempimenti alle obbligazioni incombenti sul socio), nella società a responsabilità limitata la cessazione del rapporto sociale con riguardo ad un socio è possibile solo:
a) nell’ipotesi del mancato versamento dei conferimenti dovuti per la liberazione della quota di capitale sottoscritta (in sede di costituzione o in sede di aumento reale del capitale sociale) ed all’esito del procedimento previsto dall’art. 2466 c.c.;
b) ovvero ai sensi dell’art. 2473-bis c.c. nelle specifiche ipotesi di esclusione previste dall’atto costitutivo. In tal caso, perché lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al singolo socio possa operare è necessario che i. le cause di esclusione siano previste espressamente e tassativamente da una clausola statutaria che siano applicate per le situazioni di fatto e/o di diritto verificatesi successivamente alla loro introduzione (per l’ovvia esigenza di consentire ai soci di evitare tale gravissima ‘sanzione privata’, conoscendo preventivamente le condotte che potrebbero darvi causa); ii. integrino, sotto il profilo contenutistico, una giusta causa di cessazione del vincolo sociale (art. 2473-bis).
In ogni caso, le ipotesi di esclusione del socio cui agli artt. 2466 c.c. (esclusione del c.d. “socio moroso”) e 2473 bis c.c. (esclusione per giusta causa) sono due istituti del tutto autonomi e diversi e, comunque, non sovrapponibili.
Al di fuori di tali ipotesi, il singolo rapporto sociale non potrà mai unilateralmente essere risolto per decisione maggioritaria (assembleare o consiliare); né il canone di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto sociale (che impone alle parti di un contratto di comportarsi, nell’esecuzione degli obblighi loro rivenienti dalla conclusione dello stesso, secondo correttezza e salvaguardando per quanto possibile le ragioni delle altre) consente in alcun modo di stravolgere tale equilibrato impianto normativo.
Come provvedimento conseguente all’annullamento della delibera di esclusione del socio il Giudice può ordinare all’Amministratore di iscrivere nel Registro delle Imprese il reintegro del socio e può attribuire al socio stesso, in caso di inerzia dell’Organo gestorio, il potere di agire in via surrogatoria per ottenere detta iscrizione.
Il socio di srl – che sia stato escluso con deliberazione dell’assemblea sociale – ha la legittimazione attiva ad impugnare la decisione di esclusione.