Art. 2470 c.c.
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Invalidità della delibera assembleare di s.r.l. per partecipazione di un soggetto non legittimato
La delibera assembleare di una s.r.l. è invalida se assunta con il voto determinante di un soggetto non legittimato ad esercitare i diritti sociali. In caso di trasferimento mortis causa di quote sociali, l’erede o legatario acquista la qualità di socio e la legittimazione all’esercizio dei diritti sociali solo dopo aver adempiuto alle formalità pubblicitarie previste dall’art. 2470 c.c., tra cui il deposito presso il registro delle imprese della documentazione attestante la qualità di erede/legatario. La mancata iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese comporta l’inefficacia dello stesso nei confronti della società, senza possibilità di provare la conoscenza del trasferimento da parte degli organi sociali. Pertanto, è invalida la delibera assunta con il voto determinante dell’erede non iscritto, in quanto soggetto estraneo alla compagine sociale e non legittimato all’esercizio dei diritti sociali.
L’oggetto della vendita di partecipazioni
Nella vendita di partecipazioni la disciplina giuridica della vendita si applica all’oggetto immediato e cioè alla partecipazione oggetto del contratto, mentre non si estende alla consistenza od al valore dei beni costituenti il patrimonio, a meno che l’acquirente, per conseguire tale risultato, non abbia fatto ricorso ad un’espressa clausola di garanzia, frutto dell’autonomia contrattuale, che consente alle parti di rafforzare convenzionalmente la garanzia, in modo da ricollegare esplicitamente il valore della partecipazione alle qualità del patrimonio sociale.
La cessione delle azioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale – e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione – possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di qualità della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza.
La valutazione della partecipazione durevolmente di valore inferiore al costo
Il costo di acquisto o di costituzione di una partecipazione è costituito dal prezzo pagato, al quale sono aggiunti i costi accessori direttamente imputabili all’operazione di acquisto o di costituzione. Tale costo, tuttavia, non può essere mantenuto, in conformità a quanto dispone l’articolo 2426, co. 1, n. 3, c.c., se la partecipazione alla data di chiusura dell’esercizio risulta durevolmente di valore inferiore rispetto al valore di costo. Onde verificare se si tratti di perdita durevole è necessario operare un confronto tra il valore di iscrizione in bilancio della partecipazione con il suo valore recuperabile, determinato in base ai benefici futuri che si prevede affluiranno all’economia della partecipante. Il bilancio nel quale le partecipazioni sono valutate non tenendo conto di tale regola non è redatto con chiarezza e non rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale della società.
Poiché le norme codicistiche in tema di corretta redazione del bilancio di esercizio sono poste a tutela di interessi generali che trascendono i limiti della compagine sociale e riguardano anche i terzi, destinatari delle informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, la loro eventuale violazione comporta la nullità del bilancio e della delibera di sua approvazione. Il bilancio di esercizio di una società di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, co. 2, c.c. è illecito, sicché la deliberazione assembleare con cui esso è stato approvato è nulla non soltanto se la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società, e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati, ivi compresa la relazione, non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.
Trasferimento di quote sociali e natura dei rimedi del cessionario in caso di contratto preliminare o definitivo
Per i negozi di circolazione di quote di società il cessionario della quota, che voglia ottenere il trasferimento e/o il perfezionamento degli effetti della cessione, può richiedere due distinte azioni (aventi presupposti, natura e conseguenze diverse) a tutela della propria aspettativa a seconda se il negozio in questione rivesta natura di contratto preliminare di compravendita oppure di contratto definitivo. Nel primo caso, il rimedio esperibile è quello previsto dall’art. 2932 c.c., che consente di rispondere alla mancata stipula di un contratto a cui la controparte si era obbligata, ottenendo una sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso. La sentenza di attuazione giurisdizionale del diritto alla conclusione del contratto è inserita nella categoria delle pronunce costitutive. Nel secondo caso, ossia in caso di contratto definitivo di cessione quota sociale di cui non si siano perfezionati o realizzati gli effetti (per la mancanza di una scrittura privata con forma idonea a ottenere l’iscrizione nel registro delle imprese e/o l’opponibilità nei confronti della società o, comunque, in ragione del mancato perfezionamento dell’effetto traslativo), l’azione di esecuzione in forma specifica, avente natura costitutiva, non è esperibile, dovendo invece il cessionario intraprendere la diversa azione di accertamento.
In caso di comproprietà di partecipazioni, solo il rappresentante comune ha diritto a impugnare una delibera
La disposizione dettata dall’art. 2468, co. 5, c.c. contempla un’ipotesi di rappresentanza necessaria, i cui poteri sono esclusivamente attribuiti al soggetto designato secondo le modalità prescritte dagli artt. 1105 e 1106 c.c., con conseguente preclusione, per i partecipanti alla comunione, del concorrente esercizio dei diritti, da intendersi come l’insieme di tutti i diritti sociali, siano essi patrimoniali, amministrativi o processuali. Corollario – questo – del principio di indivisibilità delle quote e delle azioni di cui all’art. 2347 c.c., norma che nel conferire alla partecipazione azionaria il carattere della indivisibilità, ha considerato indispensabile, in relazione alle esigenze peculiari della organizzazione societaria e alla natura del bene in comunione, la unitarietà dell’esercizio dei diritti, impedendone, quanto meno nei rapporti esterni, il godimento e l’amministrazione in forma individuale; e ciò al fine, da un lato, di evitare che contrasti interni si riflettano sulle attività assembleari e, dall’altro, di garantire certezza e stabilità alle deliberazioni assunte, correttamente approvate.
In ipotesi di contitolarità di una quota del capitale sociale, tanto l’intervento in assemblea ed il relativo diritto di voto, quanto il potere di proporre l’impugnazione di cui agli artt. 2377 e 2379 c.c., competono, in via esclusiva, al rappresentante comune (sia esso nominato dagli stessi soci ovvero, in difetto, dall’autorità giudiziaria), non residuando in capo al singolo titolare la facoltà di invocare alcuna tutela giurisdizionale, né in via concorrente, né in via residuale.
La controversia relativa all’impugnazione della delibera assembleare di una società a responsabilità limitata per abuso del diritto di voto da parte della maggioranza consiste nella denunzia di una causa di annullabilità della delibera e non di nullità. Ne consegue che il terzo non è legittimato a proporre l’impugnazione per vizio di annullabilità della delibera.
Nell’azione di nullità di delibera assembleare, a differenza che nell’azione di annullamento ove la preselezione operata dal legislatore in punto di legittimazione attiva qualifica il relativo interesse, il terzo deve allegare e dimostrare un interesse concreto ed attuale alla declaratoria di nullità in quanto esso è la fonte della sua legittimazione. In particolare, ai fini della proponibilità dell’impugnazione ex art. 2379 c.c. non è sufficiente un generico interesse al rispetto della legalità, laddove ne venga denunciata la nullità, ma è necessaria l’allegazione di un’incidenza negativa nella sfera giuridica del soggetto agente delle irregolarità denunciate riguardo al risultato economico della gestione sociale. Ciò significa che la qualità di socio non è requisito necessario, essendo legittimato qualsiasi soggetto purché titolare di un interesse concreto ed attuale all’impugnativa, interesse che deve sussistere non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione.
L’art. 2469 c.c. stabilisce che le partecipazioni sociali nelle s.r.l. possono essere liberamente trasferite, nei limiti delle previsioni dell’atto costitutivo, ma tale trasferimento ha effetto nei confronti della società solo dal momento del deposito presso il registro delle imprese dell’atto notarile che attesta la cessione della quota, ai sensi dell’art. 2470 c.c. La qualifica di socio non interviene con il mero deposito della domanda pubblicitaria, ma dal momento dell’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese. Quindi, l’iscrizione nel registro delle imprese fa sì che l’acquirente diventi socio della società e permette a quest’ultimo di opporre il proprio acquisto e la propria qualifica ai terzi.
L’operatività dell’art. 2500 bis c.c. è circoscritta alla sola delibera di trasformazione e a quelle a essa strettamente funzionali e non anche a delibere meramente contestuali o accessorie. L’invalidità della deliberazione contenente modifiche non consentite non è sanata dall’iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2500 bis c.c., tutelando detta norma la stabilità dell’organizzazione del nuovo tipo societario, rispetto alla quale restano ininfluenti le deliberazioni solo occasionate dalla trasformazione.
La convocazione dell’assemblea non solo deve essere spedita anteriormente, ma deve comunque essere ricevuta prima dell’assemblea, di modo da consentire un consapevole esercizio del potere deliberativo. Nulla impedisce ai soci di convenire, all’atto della stipulazione del contratto di società, una disciplina diversa, che faccia decorrere il termine di convocazione dall’effettiva e documentata ricezione dell’avviso di convocazione anziché dalla sua spedizione. Occorre, però, sottolineare che la disciplina ha pur sempre per presupposto che il socio sia convocato: e ciò può dirsi avvenuto solo a condizione che l’avviso di convocazione abbia in qualche modo raggiunto il proprio scopo di far sapere al socio che si terrà un’adunanza in un certo luogo, in una certa data e con un certo ordine del giorno (anche se lo spazio di tempo a sua disposizione per prepararsi ad intervenire può in concreto risultare variabile).
Sequestro giudiziario di partecipazioni alienate in violazione della prelazione societaria
Il patto di prelazione, inserito nello statuto di una società di capitali ed avente ad oggetto l’acquisto delle azioni sociali, siccome preordinato a garantire un particolare assetto proprietario ha efficacia reale e, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente.
La violazione di tale clausola statutaria comporta l’inopponibilità nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione della cessione della partecipazione societaria, nonché l’obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, alla stregua delle norme generali sull’inadempimento delle obbligazioni. L’efficacia reale del patto non implica la configurabilità di un diritto potestativo del socio pretermesso di “riscattare” la partecipazione nei confronti dell’acquirente e pertanto, proprio per la struttura e la natura della clausola di prelazione statutaria, il socio pretermesso non può ottenere una pronuncia di risoluzione o di nullità dell’atto di compravendita della partecipazione sociale (né tantomeno il riscatto), ma soltanto una pronuncia di accertamento dell’inefficacia dell’atto medesimo nei confronti della società. Quest’ultima, infatti, è tenuta a non considerare socio il soggetto che abbia acquistato la quota sociale sulla base di un atto posto in essere in violazione della clausola di prelazione.
Nel caso in cui, nonostante l’intervenuta accettazione della denuntiatio da parte del socio prelazionario, la partecipazione venga alienata ad un terzo, viene in rilievo direttamente il disposto di cui al terzo comma dell’art. 2470 c.c. Infatti, poichè il contenuto della denuntiatio ha la natura e gli effetti di una proposta contrattuale, la semplice accettazione da parte del destinatario è idonea a perfezionare il contratto di trasferimento delle partecipazioni, con conseguente immediato trasferimento della partecipazione sociale in favore del prelazionario. Verificandosi una siffatta ipotesi, si deve valutare se l’intervenuto acquisto – perfezionatosi mediante l’accettazione del prelazionario della denuntiatio – debba in ogni caso prevalere rispetto all’acquisto effettuato dal terzo, applicando l’ultimo comma dell’art. 2470 c.c. che impone di tener conto della buona fede nell’acquisto del secondo acquirente della quota. Quanto alla buona fede, essa va intesa come “mancata possibilità di conoscenza” e di conseguenza non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave.
Il primo comma dell’art. 669-septies c.p.c. dispone che l’ordinanza di rigetto non preclude la riproposizione dell’istanza per il provvedimento cautelare quando si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto. L’identità delle domande cautelari deve essere comunque rapportata alla prospettata domanda di merito, sicché la diversità di causa petendi e di petitum delle due domande di merito comporta la non sovrapponibilità della domanda cautelare (e l’esclusione dell’esistenza di un giudicato cautelare).
Rapporti tra contratto preliminare e contratto definitivo di cessione quote di s.r.l.
L’omessa riproduzione, nel contratto definitivo di cessione di quote sociali, di una clausola già inserita nel preliminare non comporta, necessariamente, la rinunzia alla pattuizione ivi contenuta, che non resta assorbita ove sussistano elementi in senso contrario ricavabili dagli atti ovvero offerti dalle parti. Il giudice è tenuto ad indagare la concreta intenzione delle parti, tanto più che il negozio di cessione richiede la forma scritta solo al fine dell’opponibilità del trasferimento delle quote alla società e non per la validità o la prova dell’accordo, per cui occorre verificare se, con la nuova scrittura, le parti si siano limitate, o meno, solo a formalizzare la cessione nei confronti della società, senza riprodurre tutti gli impegni negoziali in precedenza assunti.
Principi in materia di diritto di prelazione e tutela cautelare
La prelazione deve sostanziarsi nella accettazione delle stesse condizioni (modalità, prezzo) offerte dal terzo acquirente al socio alienante, il che implica la fungibilità della controprestazione (prelazione c.d. propria); se questa, invece, è infungibile, il diritto di preferenza si configura in termini affatto diversi (c.d. prelazione impropria), non giustificandosi con l’accettazione delle stesse condizioni proposte dal terzo, ma con l’offerta di condizioni differenti, che i soci, approvando lo statuto, hanno ritenuto satisfattive.
La prelazione, intesa come mero obbligo di preferire un contraente piuttosto che un altro, può essere solo quella propria: l’infungibilità del corrispettivo dell’alienazione è, in sé stessa, ostativa all’ammissibilità dell’esercizio del diritto di prelazione, giacché rende impossibile il rispetto della parità di condizioni che ne costituisce il sostrato causale. Infatti, la prelazione di per sé è solo un obbligo di preferire a parità di condizioni. Per stabilire, invece, una facoltà di acquisto ad un prezzo dato, invece del trasferimento a terzi, è necessario che sia previsto nello statuto qualcosa in più, in realtà di diverso, della semplice prelazione.
La c.d. denuntiatio può avere natura di proposta o promessa contrattuale (rispetto alla quale la dichiarazione del prelazionario si configura come accettazione), oppure di invito ad offrire. Con riguardo alla prelazione convenzionale, a seconda di come è configurato il diritto, è possibile che la denuntiatio costituisca un mero avviso della disponibilità di un terzo a contrattare alle condizioni comunicate. Se configurata in tal modo dall’accordo delle parti, se ne dovrebbe dedurre non solo che, con l’esercizio della prelazione, il contratto non è ancora stipulato, ma addirittura che la denuntiatio neppure obbliga il denunciante a contrarre – tanto meno nei casi in cui il diritto di prelazione è riconosciuto a più soggetti –, né attribuisce al beneficiario un diritto alla conclusione del contratto, ma solo ad essere preferito ad altro contraente se ed in quanto un contratto abbia luogo.
La clausola di prelazione, se inserita (solo) in un patto parasociale, non è opponibile alla società né al terzo acquirente; talché la cessione eventualmente avvenuta in sua violazione non può impedire all’acquirente di chiedere, e alla società di effettuare, la registrazione del trasferimento, mentre il diritto di prelazione – spendibile solo nei confronti del socio che ha alienato, non del terzo acquirente estraneo a quel patto – non consente al titolare dello stesso di ottenere il retratto della quota, ma solo il risarcimento del danno dal socio inadempiente. Se invece la clausola è inserita nello statuto, essa è opponibile anche al terzo acquirente e alla società, perché la sua espressione statutaria la rende parte integrante dell’ordinamento societario nel quale il terzo intende fare ingresso; e ciò vale tanto più, ovviamente, se l’acquirente è già socio. In tale ipotesi, sarà proprio la cessione delle azioni, avvenuta in violazione della clausola, a risultare inopponibile alla società, la quale non dovrà registrare il trasferimento, che resterà invece valido solo tra alienante ed acquirente; l’inefficacia relativa del trasferimento, inidoneo ad incidere sull’assetto societario, rappresenta ed esaurisce la tutela degli altri soci, i quali non hanno perciò (di nuovo) alcun diritto di retratto sulla quota ceduta. Se poi l’organo amministrativo procedesse alla registrazione, pur in presenza di una violazione della clausola e della contestazione da parte di altri soci titolari del diritto di prelazione, si esporrebbe ad una responsabilità personale nei confronti di questi ultimi.
Sottoscrizione con firma digitale dell’atto di trasferimento di quote
Ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di trasferimento di quote con firma digitale (art. 36, comma 1-bis d.l. 112/2008, conv. nella legge 133/2008), tale atto deve essere in formato digitale ab origine e sottoscritto digitalmente dalle parti dopo essere stato convertito in file con estensione PDF/A. Non sono di contro ammesse procedure di digitalizzazione di secondo grado, come la scansione di un documento cartaceo.
Acquisto a non domino di quota di s.r.l.
La disciplina di cui all’art 1153 c.c., che stabilisce che l’acquisto a non domino produce l’effetto del trasferimento della proprietà in capo all’acquirente in buona fede sulla base di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà, è applicabile anche con riferimento alla quota di s.r.l., una volta che il relativo atto di acquisto sia stato iscritto nel registro delle imprese consentendo all’acquirente in buona fede di conseguire il possesso della quota.