Art. 2474 c.c.
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Responsabilità di amministratori e sindaci per una fusione a seguito di acquisizione con indebitamento finalizzata alla realizzazione di scopi extra societari
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall., che ha come fine la reintegrazione del patrimonio della società fallita, cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, implicando una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi e indipendenti, con conseguente possibilità per il curatore di cumulare i vantaggi di entrambe sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (art. 2393, co. 4, 2941, n. 7, 2949 e 2394 co. 2, c.c. ) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c.).
Mentre l’azione sociale di responsabilità nei confronti dell’amministratore è soggetta al termine di prescrizione quinquennale con decorrenza dalla cessazione della carica, in virtù della sospensione del termine prevista dall’art. 2941, n. 7, c.c., l’azione di responsabilità sub specie di azione dei creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c., pur quando sia esercitata dal curatore del fallimento, si prescrive in ogni caso nel termine di cinque anni con decorrenza dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti, vale a dire dal momento in cui l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti risulti da qualsiasi fatto che possa essere oggettivamente conoscibile dai terzi. In ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando a colui che eccepisce la prescrizione la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale.
Legittimità della clausola che impone al dipendente di retrocedere la partecipazione detenuta nella controllante al termine del rapporto di lavoro
La condizione si dice meramente potestativa, con conseguente sanzione di nullità ai sensi dell’art. 1355 c.c., quando l’efficacia del negozio è collegata non già ad una ponderata valutazione di seri od apprezzabili motivi e delinei un’alternativa capace di soddisfare anche l’interesse del soggetto obbligato – sicché l’evento dedotto dipende anche dal concorso di fattori estrinseci che possono influire sulla determinazione della volontà pur se la relativa valutazione è attribuita all’esclusivo apprezzamento dell’interessato – ma è viceversa rimessa al suo mero arbitrio, così da presentarsi come effettiva negazione di ogni vincolo obbligatorio.
Il giudizio di meritevolezza risulta ancorato al presupposto dell’atipicità contrattuale. In particolare, del contratto atipico deve essere individuata la causa concreta, la quale definisce lo scopo pratico del negozio, vale a dire la sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato. La meritevolezza di cui all’art. 1322, co. 2, c.c. non si esaurisce nella liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa, dovendosi piuttosto procedere all’analisi dell’interesse concretamente perseguito dalle parti nel caso di specie, cioè della ragione pratica dell’affare, dovendosi valutare l’utilità del contratto, intesa come la sua idoneità ad espletare una funzione commisurata sugli interessi concretamente perseguiti dalle parti attraverso quel rapporto contrattuale.
Il giudizio di meritevolezza costituisce una peculiare valutazione concernente non tanto il contratto in sé, quanto piuttosto il risultato che, mediante quel particolare schema contrattuale, viene perseguito dalle parti nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto, assurgendo esso giudizio a necessario controllo di conformità dell’atto stesso al sistema giuridico vigente e ai suoi valori costituzionali, da svolgersi alla stregua del parametro dei superiori valori costituzionali previsti a garanzia degli specifici interessi perseguiti attesa l’interazione, sulle previgenti norme codicistiche, delle superiori e successive norme di rango costituzionale e sovranazionale comunque applicabili quali principi informatori o fondanti dell’ordinamento stesso. In particolare, il contratto o la singola clausola pattizia dovranno dirsi immeritevoli allorquando appaiano contrari alla coscienza civile, all’economia, al buon costume o all’ordine pubblico e laddove il risultato che il patto atipico intenda perseguire sia in contrasto con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati.
La disposizione di cui all’art. 1322 c.c. non può trovare applicazione con riferimento a contratti tipici, riguardando il giudizio sulla meritevolezza unicamente fattispecie negoziali atipiche.
Il riscatto convenzionale costituisce un patto accessorio ad un’alienazione che, in forza del medesimo, risulta conclusa sotto condizione risolutiva potestativa consistente nella manifestazione di volontà del venditore, assunta come fatto condizionante, dalla quale dipende il venire meno dell’efficacia reale della cessione. Dalla previsione di una clausola di riscatto deriva il diritto potestativo del venditore – cui corrisponde una situazione giuridica soggettiva passiva di soggezione del compratore – di risolvere il contratto entro un tempo determinato, così automaticamente riacquistando la proprietà del bene contro restituzione del prezzo e rimborso delle spese. Il legislatore ha disciplinato dettagliatamente gli effetti dell’esercizio del riscatto, prevedendo, agli artt. 1500, co. 1, e 1502 c.c., che il riscattante è tenuto a rimborsare al compratore il prezzo, le spese e ogni altro pagamento legittimamente fatto per la vendita, le spese per le riparazioni necessarie e, nei limiti dell’aumento, quelle che hanno aumentato il valore della cosa, con diritto di ritenzione a favore del compratore fino al rimborso delle spese necessarie e utili. È, poi, previsto, sotto comminatoria di nullità parziale, che il prezzo del riscatto non possa essere superiore al prezzo di vendita (art. 1500, co. 2, c.c.). Ratio della norma e funzione del patto, nella sua declinazione tipica, è di conservare l’originario equilibrio di scambio, avulso da ogni influenza ad esso estranea – se non, del tutto coerentemente, per il dovuto rimborso delle spese di cui all’art. 1502 c.c. –, risolvendosi ogni disciplina diversa in un accordo che non è riconducibile al tipo contrattuale di cui si discorre.
Natura imperativa dell’art. 2474 cc e accollo del debito in relazione alla cessione di quote di S.r.l..
Il divieto di cui all’art. 2474, che vieta in primo luogo l’acquisto e la sottoscrizione delle proprie quote, si estende anche all’ipotesi di accollo del debito relativo al pagamento del corrispettivo stabilito nella cessione, poiché anche tale ipotesi pregiudica gli interessi protetti dalla norma. Ne consegue la nullità della pattuizione in contrasto con tale divieto, anche se intervenuta a sei anni di distanza dalla cessione delle quote.
Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto e preliminare qualificabile come promessa del fatto o dell’obbligazione di un terzo
La sentenza costitutiva che tiene luogo del contratto preliminare non concluso ai sensi dell’art. 2392 c.c. non può introdurre varianti al contenuto dello stesso, ma deve integralmente rispecchiare le previsioni negoziali delle parti. In particolare, qualora il contratto preliminare non abbia ad oggetto un’obbligazione realizzabile in maniera diretta dal contraente (nel caso di specie, cessione di un immobile di proprietà della società contraente mediante cessione delle quote sociali di cui la società, stante il divieto di cui all’art. 2474 c.c., non era né sarebbe mai potuta divenire titolare), bensì sia qualificabile come promessa dell’obbligazione del terzo (ad esempio, i soci della società), il contraente non inadempiente è tenuto ad agire con gli ordinari rimedi previsti per l’inadempimento (indennizzo) e non attraverso l’azione costitutiva ex art. 2392 c.c. che presuppone sempre l’assunzione dell’obbligazione di concludere un contratto mancante allorché il preliminare sia qualificabile come promessa dell’obbligazione o del fatto di un terzo.
Compatibilità del divieto di cui all’art. 2474 c.c. con la fattispecie della vendita di cosa altrui e con la caparra confirmatoria
Non è vietato – almeno astrattamente – alla società di dar luogo alla vendita del proprio capitale laddove la fattispecie concreta rientri nell’ipotesi di cui all’art. 1478 c.c., cioè di vendita di cosa altrui. [ LEGGI TUTTO ]
Accordo di transazione e violazione del divieto posto dall’art. 2474 c.c.
L’assunzione solidale di una obbligazione, commisurata all’ammontare del rideterminato debito dell’acquirente di quote sociali, derivante da un ampio accordo di transazione e riguardante una pluralità di rapporti contrattuali e di soggetti, tra cui anche la società le cui partecipazioni erano oggetto del contratto di cessione, non può essere considerata come mera prestazione di garanzia o di accollo del debito derivante dalla vendita delle quote, come tale vietata dal disposto dell’art. 2474 c.c.. [ LEGGI TUTTO ]