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Art. 2475 ter c.c.
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22 Gennaio 2024

La business judgment rule opera solo in assenza di un conflitto di interessi

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. ha carattere unitario e inscindibile poiché cumula le azioni disciplinate dagli artt. 2393 e 2394 c.c. in un’unica azione finalizzata alla reintegrazione del patrimonio sociale a garanzia dei soci e dei creditori, in modo tale che, venendo a mancare i presupposti dell’una, soccorrono i presupposti dell’altra. In caso di fallimento, pertanto, le diverse azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e sindaci di una società di capitali previste dal codice civile, pur rimanendo tra loro distinte, confluiscono nell’unica azione di responsabilità esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall., la quale implica una modifica della legittimazione attiva di quelle azioni, ma non ne muta i presupposti.

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e si configura come un’azione risarcitoria volta a reintegrare il patrimonio sociale in conseguenza del suo depauperamento cagionato dagli effetti dannosi provocati dalle condotte dolose o colpose degli amministratori poste in essere in violazione degli obblighi su di loro gravanti in forza della legge e delle previsioni dell’atto costitutivo, ovvero dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che quest’ultima ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso di causalità fra queste e il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sui sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. Il danno risarcibile è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente e, in difetto di tale allegazione e prova, la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto.

La mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, purché l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo. Una correlazione tra le condotte dell’organo amministrativo e il pregiudizio patrimoniale dato dall’intero deficit patrimoniale della società fallita può prospettarsi soltanto per quelle violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che, proprio in ragione di esse, l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque per quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza.

La figura dell’amministratore di fatto ricorre nelle ipotesi in cui un soggetto non formalmente investito della carica di amministratore si ingerisce nell’amministrazione, esercitando i poteri propri inerenti alla gestione della società. Tali funzioni gestorie esercitate in via di fatto debbono avere carattere sistematico e non esaurirsi nel compimento di alcuni atti di natura eterogenea e occasionale.

All’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere e, quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità. L’insindacabilità delle scelte di gestione dell’amministratore trova un limite anche nella presenza di una situazione di conflitto di interesse non manifestata.

Sussiste un conflitto di interessi quando gli interessi di cui sono portatori l’amministratore e la società sono in una relazione di incompatibilità, tale per cui il perseguimento dell’uno comporta il necessario sacrificio dell’altro. Ciò significa che al vantaggio conseguibile dall’amministratore in base all’operazione deve corrispondere, anche se non in modo necessariamente proporzionale, uno svantaggio della società, che può anche consistere in un mancato guadagno. Il comportamento dell’amministratore che agisce in conflitto di interessi deve ritenersi sindacabile sotto il profilo della violazione del generale dovere di correttezza cui egli è tenuto nel rapporto con la società.

Ai sensi degli artt. 2482 bis e 2482 ter c.c., gli amministratori, in caso di perdita di oltre un terzo del capitale, devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la sola ed eventuale riduzione del capitale e non anche la messa in liquidazione, a meno che la perdita non comporti la riduzione al disotto del capitale minimo. Nel caso in cui il minimo legale non sia stato intaccato, la riduzione non è obbligatoria, potendo la società decidere di portare a nuovo le perdite, ma sussiste comunque l’obbligo, per gli amministratori, di convocare l’assemblea senza indugio per l’adozione degli opportuni provvedimenti e di redigere una relazione sulla situazione patrimoniale della società con le osservazioni del collegio sindacale o del revisore. In tal caso, la riduzione del capitale sociale ha funzione meramente dichiarativa, tendente a far coincidere l’entità del capitale nominale con quello effettivo, riconducendo il primo alla misura del secondo, se e in quanto questo sia realmente divenuto inferiore all’ammontare indicato nell’atto costitutivo.

8 Novembre 2023

Sull’invalidità dei contratti conclusi dall’ex amministratore in posizione di conflitto di interessi

Quando il preteso illecito consiste nell’aver tradito l’interesse del rappresentato da parte del rappresentante, avendo quest’ultimo agito infedelmente con la connivenza dell’altro contraente, il motivo dell’illiceità non può dirsi comune a entrambi i paciscendi. In questo caso, il motivo che ha supportato il rappresentante nella stipulazione non può farsi risalire alla parte rappresentata per l’evidente conflitto di interessi; ne consegue che la tutela rispetto a tale vizio è presidiata dall’ipotesi di cui all’art. 1394 c.c. e dal rimedio della annullabilità e non della nullità ex art. 1345 c.c. Anche in materia societaria il conflitto di interesse tra il rappresentante e il rappresentato trova tutela attraverso la categoria dell’annullamento (art. 2475 ter c.c.).

Deve distinguersi il negozio in frode alla legge da quello in frode ai terzi. Il primo è quello che persegue una finalità vietata dall’ordinamento in quanto contraria a norma imperativa o ai principi dell’ordine pubblico e del buon costume o perché diretta a eludere una norma imperativa ed è nullo. Al contrario, non si rinviene nell’ordinamento una norma che stabilisca in via generale l’invalidità del contratto stipulato in frode ai terzi, ai quali ultimi, invece, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall’altrui attività negoziale. In tale categoria di contratti, rientra la fattispecie di frode posta in essere dal mandatario, il quale aliena beni del mandante contro l’interesse di quest’ultimo, o comunque per ragioni diverse da tale interesse (infedeltà patrimoniale).

La nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dell’oggetto o per incertezza nei fatti costitutivi della domanda, ai sensi dell’art. 164, co. 4, c.p.c. sussiste solo ove tali elementi siano del tutto omessi, oppure risultino assolutamente incerti e comunque inadeguati a tratteggiare l’azione, in quanto l’incertezza non sia marginale o superabile, ma investa l’intero contenuto dell’atto, posto che la lettura dell’art. 163 c.p.c. non può essere meramente formalistica. L’esigenza di adeguata determinazione dell’oggetto del giudizio, indispensabile garanzia dell’effettività del contraddittorio e del diritto di difesa, è soddisfatta con l’identificazione dei fatti che concorrono a costituire gli elementi costitutivi della responsabilità al fine di consentire alla controparte di approntare tempestivi e completi mezzi difensivi.

13 Settembre 2023

Annullabilità del contratto concluso dall’amministratore unico di s.r.l. in conflitto di interessi

Gli elementi integranti la fattispecie di cui all’art. 2475 ter c.c. debbono essere interpretati nel senso che, affinché ricorra la situazione di conflitto di interessi, è necessario un rapporto di incompatibilità tra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante (o di un terzo che egli a sua volta rappresenti) e tale rapporto – da riscontrare non in termini astratti e ipotetici, ma con riferimento specifico al singolo atto, e che costituisce causa di annullabilità per vizio della volontà negoziale (sempre che detta situazione sia conosciuta o conoscibile dall’altro contraente) – è ravvisabile rispetto al contratto le cui intrinseche caratteristiche consentano l’utile di un soggetto solo passando attraverso il sacrificio dell’altro.

L’art. 2475 ter c.c. presuppone che l’amministratore, portatore di un interesse in conflitto con la società, abbia avuto la possibilità di influire sul contenuto negoziale dell’atto. Al contrario, ove egli si sia per ipotesi limitato a recepire all’interno del contenuto negoziale la volontà dei soci cristallizzatasi in una decisione della società, verrebbe meno la ratio che giustifica l’applicazione della norma: tale soluzione appare coerente con la norma di ordine generale di cui all’art. 1395 c.c., che esclude l’annullabilità del contratto con sé stesso in caso di predeterminazione del contenuto del contratto da parte dello stesso rappresentato.

L’esistenza di un conflitto d’interessi tra la società parte del contratto che si assume viziato e il suo amministratore non può farsi discendere genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle due società contraenti, ma deve essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori, rispettivamente, la società – che sostiene di aver stipulato il contratto contro la propria volontà – e il suo amministratore e della riconoscibilità della stessa da parte dell’altro contraente.

10 Luglio 2023

Responsabilità dell’amministratore per pagamenti preferenziali: il danno da maggior falcidia

La dedotta mala gestio dell’amministratore non può coincidere con il deliberato assembleare dallo stesso espresso quale socio, per il solo fatto che nella stessa persona si sommano la qualità di socio e quella di amministratore unico, perché la delibera dell’assemblea è espressione della volontà del socio e non dell’amministratore; specularmente, l’erogazione dei compensi cui abbia dato corso l’amministratore in proprio favore non delinea un conflitto di interessi ex art. 2475 ter c.c. per il sol fatto che la medesima persona riveste la duplice posizione di socio e amministratore quando il versamento erogato sia conforme al precedente deliberato assembleare. Più in generale, non si delinea atto di mala gestio da parte dell’amministratore unico che si sia liquidato somme a titolo di compensi in conformità alle delibere assembleari, a meno che all’atto della erogazione non risultasse evidente lo stato di dissesto in cui versava la società, con conseguente violazione della par condicio creditorum.

La mancata convocazione dell’assemblea ex art. 2482 ter c.c. non è di per sé sufficiente a configurare un’ipotesi di responsabilità gestoria in capo all’amministratore. Il curatore che intende far valere la responsabilità dell’ex-amministratore deve allegare e provare che, successivamente alla perdita del capitale sociale, sono state intraprese iniziative imprenditoriale connotate dall’assunzione di nuovo rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di una logica meramente conservativa.

Posto che è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il curatore fallimentare è pienamente legittimato all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro gli amministratori della società, anche per i pagamenti eseguiti in violazione della par condicio creditorum e, dunque, il pagamento preferenziale è di per sé sufficiente a legittimare il curatore all’azione di risarcimento, nondimeno è onere del curatore che agisce in giudizio dedurre la natura, chirografaria o privilegiata, del credito soddisfatto e l’esistenza di crediti di pari grado o di grado poziore rimasti, invece, insoddisfatti.

Il danno da pagamento preferenziale è individuabile quale danno da “maggior falcidia” dei crediti insinuati nel passivo fallimentare, danno pari alla differenza tra, da una parte, quanto i creditori avrebbero percepito dal riparto fallimentare se il pagamento non fosse stato effettuato e il creditore preferito si fosse insinuato al passivo fallimentare e, dall’altra, quanto hanno effettivamente percepito. Il calcolo di tale danno suppone l’allegazione e la prova di: (i) il passivo fallimentare; (ii) l’attivo fallimentare; (iii) il riparto effettuato; (iv) il riparto che sarebbe stato effettuato se il pagamento preferenziale non fosse avvenuto e il creditore preferito si fosse invece insinuato al passivo.

6 Luglio 2023

Ambito applicativo della clausola compromissoria statutaria

La clausola compromissoria contenuto nello statuto sociale di una società a responsabilità limitata, a norma della quale: “qualsiasi controversia che dovesse insorgere tra i soci , o tra i soci e la società, avente ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, oppure nei confronti di amministratori, sindaci e liquidatori o tra questi, o da essi promossa”, è applicabile anche al caso in cui il soggetto che abbia tenuto la condotta oggetto di censura, pur non rivestendo più la qualifica di amministratore al tempo in cui la causa sia stata radicata, abbia compiuto gli atti censurati nella qualità di amministratore, ciò comportando un’estensione della vigenza temporale della disposizione statutaria, che appare idonea a radicare la competenza anche per vicende pregresse, nonostante la cessazione della carica di amministratore.

26 Aprile 2023

Annullamento del contratto stipulato dall’amministratore di s.r.l. in conflitto d’interessi

Una società di capitali è un soggetto giuridico distinto dai suoi soci e titolare di un suo patrimonio; essa è debitrice verso i soci del capitale che essi hanno conferito, ma né i soci né i suoi amministratori possono disporre del patrimonio sociale, prelevando somme a loro piacimento che non sono affatto di loro spettanza.

Il contratto stipulato dall’amministratore della società a responsabilità limitata con se stesso, in conflitto di interessi, senza alcuna utilità per la società, è annullabile. All’annullamento segue, ordinariamente, un obbligo restitutorio, maggiorato degli interessi legali, trattandosi di debito di valuta, e non della rivalutazione monetaria, se non dimostrato un danno ulteriore.

7 Aprile 2023

Responsabilità dell’amministratore di s.r.l.

Tra i doveri di diligente gestione e conservazione del patrimonio sociale posti in capo agli amministratori a tutela della società, dei creditori e dei terzi rientra altresì il dovere di assolvere al pagamento degli obblighi fiscali e di gestione delle risorse finanziarie, in specie al fine di garantire la regolarità dei versamenti e non esporre l’ente a relative sanzioni, spese, interessi e aggi.

In tema di transazione pro quota intervenuta tra il creditore e uno o più dei debitori in solido, al fine di evitare un ingiustificato arricchimento in capo al creditore, il residuo debito gravante sugli altri debitori solidalmente obbligati si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dai condebitori transigenti soltanto laddove costoro abbiano versato una somma pari o superiore alla loro quota ideale di debito. Qualora, per converso, i condebitori transigenti abbiamo pagato una somma inferiore alla quota loro facente idealmente capo, il debito residuo deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.

Per poter affermare l’esistenza del nesso causale tra condotta omissiva ed evento dannoso, occorre che l’attore offra la prova del fatto che, laddove la condotta doverosa fosse stata posta in essere, l’evento dannoso non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato con minore intensità lesiva.

24 Marzo 2023

Conflitto di interesse degli amministratori di s.r.l. e difetto di rappresentanza

Ai fini dell’applicabilità del rimedio di cui all’art. 2475 ter c.c., dettato in tema di conflitto di interesse degli amministratori di una società a responsabilità limitata, è necessario che: (i) il conflitto di interessi sorga nel momento genetico-negoziale di un determinato atto, quando cioè l’amministratore, in relazione a una specifica operazione, si faccia concretamente portatore di un interesse personale, contrapposto e inconciliabile con quello della società, o comunque idoneo a cagionarle un pregiudizio tale per cui la creazione dell’utile per il primo si ottiene mediante il sacrificio della seconda; (ii) sia riscontrato un pregiudizio all’interesse sociale; (iii) la situazione di conflitto sia conosciuta o conoscibile da parte del terzo, contraente con la società.

In assenza di una partecipazione dolosa del terzo, determinato dall’esigenza di danneggiare la società avvalendosi della limitazione stabilita dall’art. 2475 bis c.c., l’inopponibilità ai terzi delle limitazioni convenzionali ai poteri degli amministratori, ancorché pubblicate, determina come conseguenza il fatto che l’eventuale inosservanza di dette limitazioni non potrà incidere sulla validità e l’efficacia degli atti compiuti, essendo questi inattaccabili e incontestabili nei rapporti con i terzi, ma potrà rilevare unicamente nei rapporti interni per esporre l’amministratore a responsabilità verso la società.

19 Gennaio 2023

Sulla validità degli atti posti in essere dall’amministratore invalidamente nominato in caso di annullamento della delibera di nomina

Gli atti compiuti dagli amministratori illegittimamente nominati sopravvivono anche all’eventuale annullamento della nomina stessa, dovendo la regola della retroattività giuridica della sentenza di annullamento di una delibera essere necessariamente temperata dalla limitata possibilità di ripristinazione della situazione giuridica preesistente in senso materiale. Dunque, la retroattività degli effetti delle sentenze di annullamento non è assoluta, ma incontra dei limiti, anche al fine di garantire la certezza dei rapporti medio tempore sorti. Con specifico riferimento al tema della legittimità degli atti posti in essere in esecuzione di delibera assembleare annullabile, cui attiene l’istituto della sospensione ai sensi dell’art. 2378 c.c., deve ritenersi che la sospensione dell’esecuzione della deliberazione, disposta dal giudice, rende illegittimi gli atti di esecuzione che vengano ciononostante posti in essere. Al contrario, la mancanza di un provvedimento di sospensione comporta la legittimità degli atti esecutivi, ancorché relativi a una delibera annullabile, e tale legittimità resiste al sopravvenire dell’annullamento, non travolgendo gli atti di gestione posti in essere medio tempore.

Ciò non comporta che i singoli atti, aventi contenuto negoziale, non possano essere rimossi su iniziativa dalla società, ma ciò è possibile, atto per atto, se ricorrano i presupposti dell’art. 2475 ter c.c., ossia l’ipotesi della conclusione di contratti da parte di amministratore in conflitto di interessi con la società.

L’annullabilità di una delibera di aumento del capitale sociale, laddove non ne sia stata disposta la sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 2378, co. 3, c.c., non incide – ancorché ne possa derivare una modifica della composizione della maggioranza allorquando non sia stata seguita dall’integrale esercizio del diritto di opzione da parte dei vecchi soci – sulla validità delle successive deliberazioni adottate con la nuova maggioranza, poiché l’omessa adozione del provvedimento di sospensione rende legittimi gli atti esecutivi della prima deliberazione, resistendo, peraltro, tale legittimità anche al sopravvenire del suo annullamento, la cui efficacia, sebbene in linea di principio retroattiva, è pur sempre regolata dalla legge ed operante nei soli limiti da essa sanciti, tanto rivelandosi affatto coerente con le esigenze di certezza e stabilità sottese alla disciplina delle società commerciali.

17 Gennaio 2023

Annullamento del contratto posto in essere dall’amministratore di s.r.l. in conflitto d’interessi

L’applicazione del disposto dell’art. 2475-ter c.c. richiede, su un piano oggettivo, che sussista un interesse dell’amministratore nell’affare, che può essere di qualunque natura e, quindi, patrimoniale o meno. Non è invece richiesto che vi sia una assoluta incompatibilità tra la realizzazione dell’interesse sociale – anche solo potenzialmente leso dal negozio – e quello personale dell’amministratore. Dal punto di vista soggettivo, invece, è necessario e sufficiente che la situazione di conflitto di interessi appaia riconoscibile al terzo contraente.

Inoltre, l’art. 2475-ter c.c. presuppone che l’amministratore, portatore di un interesse in conflitto con la società, abbia avuto la possibilità di influire sul contenuto negoziale dell’atto. Al contrario, ove egli si sia limitato a recepire all’interno del contenuto negoziale la volontà dei soci cristallizzatasi in una decisione della società, verrebbe meno la ratio che giustifica l’applicazione della norma: tale soluzione appare d’altra parte coerente con la norma di ordine generale di cui all’art. 1395 c.c. che esclude l’annullabilità del contratto con se stesso in caso di predeterminazione del contenuto del contratto da parte dello stesso rappresentato.