Art. 2476 c.c.
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Responsabilità degli amministratori per il ritardo nella presentazione dell’istanza di fallimento
Costituisce preciso dovere dell’amministratore in carica – obbligo da reputarsi strettamente inerente al dovere generale di diligenza nella gestione del patrimonio sociale e che trova puntuale riscontro normativo nella peculiare fattispecie penale di cui all’art. 217 l. fall. – adottare, allorquando si renda palese una situazione di dissesto, tutte le misure necessarie ad evitare un ingiustificato aggravamento della situazione patrimoniale e finanziaria della società.
Un amministratore non più in carica non può essere chiamato a rispondere dei danni non prodottisi durante la sua gestione, salvo che vi siano elementi per ritenere che anche le conseguenze pregiudizievoli verificatesi successivamente alla cessazione della carica siano comunque ascrivibili a sua responsabilità.
La mancanza di scritture contabili della società, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, di per sé sola non giustifica che il danno da risarcire sia individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo accertati in ambito fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto.
Sul rapporto tra responsabilità dell’amministratore di fatto e di diritto
Dal momento che la responsabilità dell’amministratore discende dalla mera accettazione della nomina, invocare la natura formale della carica o allegare di aver seguito le istruzioni impartite da terzi non esime l’amministratore di diritto dalla responsabilità per “mala gestio”. Al contrario, poiché quest’ultimo deve salvaguardare l’integrità del patrimonio dell’ente e destinarlo a fini sociali, qualora egli non abbia espletato attività di controllo e non abbia impedito la distrazione delle risorse sociali, andrà incontro a responsabilità, stante la negligente esecuzione del contratto. In particolare, l’amministratore di diritto non può invocare la sua posizione di gestore di comodo o “testa di legno”, allo scopo di andare esente dalla responsabilità derivante dal compimento o dall’omesso impedimento atti di mala gestio: infatti, l’amministratore di diritto e l’amministratore di fatto sono solidalmente responsabili qualora, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non abbiano fatto il possibile per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne gli effetti dannosi.
Responsabilità dell’amministratore di s.r.l. per atti distrattivi e tutela cautelare
Il fatto che l’art. 2476 c.c. non preveda se non l’azione sociale di responsabilità di natura risarcitoria, regolando in detto contesto il rimedio della revoca cautelare dell’organo gestorio, responsabile di gravi irregolarità foriere di danno per la società, non è affatto significativo della circostanza che una azione di merito volta anche alla revoca dell’amministratore non possa trovare spazio. In effetti, deve intendersi che la previsione del rimedio cautelare, quale rimedio avente natura anticipatoria in tutte le ipotesi in cui si intenda impedire il protrarsi di una gestione che possa comportare ulteriori pregiudizi rispetto a quelli già verificatisi, sottende necessariamente la possibilità di esercitare una corrispondente azione di merito di natura costituiva, così superandosi la questione della tassatività di dette domande.
Responsabilità dell’amministratore di s.r.l. e inopponibilità alla curatela delle scritture prive di data certa
Il contratto preliminare richiamato per giustificare la fuoriuscita di denaro dalla fallita che sia privo di data certa, ai sensi dell’art. 2740 c.c. è inopponibile alla curatela che, agendo a tutela della massa dei creditori, si pone come terzo rispetto alle pattuizioni contrattuali effettuate dal fallito. Deve quindi affermarsi la responsabilità dell’amministratore della società fallita perché, attraverso i pagamenti in contestazione, ha violato gli obblighi di diligenza e di prudenza posti dalla legge a suo carico, nonché gli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, recando pregiudizio alla società e ai creditori sociali (art. 2476 c.c.).
Responsabilità di amministratori e sindaci di società consortile
La società consortile non ha una propria disciplina, dovendosi, per l’effetto, applicare di volta in volta le norme previste per il tipo di società scelto all’atto di relativa costituzione. Ne deriva che, linea di principio, ove i soci abbiano così costituito il consorzio sotto forma di società di persone o di capitali dovrà applicarsi la disciplina della corrispondente tipologia di compagine.
Dalla qualificazione della responsabilità degli amministratori ex art. 2476 c.c. in termini di responsabilità contrattuale (colposa) deriva che, mentre sulla società che agisce grava l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi, i pregiudizi concretamente sofferti ed il nesso eziologico tra l’inadempimento ed il danno prospettato, per converso compete all’amministratore l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto danno, ovvero di fornire la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi posti a suo carico. Deve, infatti, ritenersi operante la presunzione di colpa di cui al generale disposto dell’art. 1218 c.c., con la conseguenza che la società che agisce con il rimedio di cui all’art. 2476 c.c. non è tenuta ad offrire la prova positiva del cennato elemento soggettivo. Il tutto, in ogni caso, nei limiti dell’art. 1223 c.c., con la conseguenza che all’amministratore di società di capitali legato ad essa da un rapporto di mandato che, pure, si sia reso responsabile di condotte illecite, non potrà imputarsi ogni effetto patrimoniale dannoso che la società sostenga di aver subìto ma, al contrario, soltanto quei pregiudizi che si pongano quale conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento ascrittogli.
Quanto ai doveri dei sindaci in generale, giova rammentare che il controllo del collegio sindacale non è circoscritto all’operato degli amministratori, estendendosi, invero, a tutta l’attività sociale, con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali.
I sindaci possono essere chiamati a rispondere dei danni sofferti dalla società ovvero dai creditori sociali sia nel caso in cui l’evento lesivo sia conseguenza del mancato o negligente adempimento dei doveri di verità e segretezza che la legge pone specificamente a carico dell’organo di controllo, sia nel caso in cui il pregiudizio lamentato sia conseguenza, anche ed innanzitutto, di un comportamento doloso o colposo degli amministratori, che i sindaci avrebbero potuto e dovuto prevenire nell’espletamento dei loro compiti. Originando quindi la responsabilità dei sindaci sia per fatto proprio che per omissione del controllo, è chiaro che, vigente il principio di colpevolezza, la responsabilità concorrente del collegio sindacale per i fatti dannosi ascrivibili agli amministratori sussisterà solo nel caso in cui ai sindaci potrà in ogni caso addebitarsi il mancato o negligente espletamento dei compiti di controllo. Segnatamente, i sindaci rispondono non per il fatto in sé degli amministratori foriero di danni, ma solo se ed in quanto, in relazione all’evento lesivo oggetto di doglianza, sia configurabile, a loro carico, la violazione dell’obbligo di esercitare il controllo sull’amministrazione della società con la diligenza richiesta dal comma primo dell’art. 2407 c.c., di denunciare le irregolarità riscontrate e di assumere, se necessario, le iniziative sostitutive dell’organo gestorio.
La responsabilità concorrente dei sindaci, pur trovando uno dei suoi presupposti nell’illegittimo comportamento degli amministratori, resta pur sempre una responsabilità per fatto proprio dei componenti dell’organo di controllo, postulando che i sindaci siano venuti meno al loro dovere di vigilare sugli amministratori e di impedire il compimento di attività illegittime ad opera di costoro; il tutto, peraltro, con l’importante conseguenza che detta responsabilità potrà essere affermata solo ove sia in concreto dimostrata anche l’esistenza di un nesso di causalità tra l’inosservanza dell’obbligo di controllo gravante sui sindaci ed il pregiudizio prodotto dall’illecito comportamento degli amministratori.
Responsabilità degli amministratori di s.r.l. per il rimborso di finanziamenti postergati e onere della prova
L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti. [Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto non fondate alcune contestazioni rivolte da parte di una società a responsabilità limitata nei confronti di due amministratori. Più nello specifico, le contestazioni riguardavano inadempimenti e negligenze dal punto di vista della tenuta della contabilità e la conseguente emersione di una situazione debitoria non riscontrabile dalla documentazione sociale, nonché alcuni prelievi indebiti da parte degli amministratori dalle casse sociali].
In applicazione dell’art. 2467 c.c., per poter ritenere sussistente l’obbligo di postergazione del credito è necessario verificare che la società di trovi nella situazione di squilibrio delineata dalla norma, non solo alla concessione del finanziamento, ma anche in quello della restituzione.
Nel caso in cui la compagine sociale di una società a responsabilità limitata sia formata da soci amministratori, la mancata determinazione in sede assembleare circa il diritto al compenso dei medesimi per la carica gestoria, ne implica la volontà implicita di rinunciarvi.
Sequestro conservativo e azione di responsabilità esercitata dai creditori sociali
Il presupposto per l’applicabilità della responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali è che i primi abbiano posto in essere delle condotte che siano state inosservanti degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e che quest’ultimo risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. [Nel caso di specie, il tribunale ha considerato costituire condotte contrarie all’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale: (i) l’acquisto della totalità delle quote di una società già partecipata nella misura del cinquanta per cento, (ii) la cessione di rami aziendali in una condizione di crisi conclamata, operata poco prima dell’accesso a un concordato preventivo e (iii) il rinnovo di alcuni contratti di leasing].
Per ritenere integrato il requisito del periculum in mora richiesto per la concessione del sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c. occorre, da un lato, che la garanzia del credito tutelato si sia assottigliata oppure sia in procinto di assottigliarsi quali-quantitativamente rispetto al momento in cui il credito è sorto, a causa di condotte dispositive del debitore o dell’aggressione che dei suoi beni abbiano fatto o stiano per fare altri creditori; dall’altro, che il timore di perdere la garanzia del proprio credito si basi su elementi oggettivi, rappresentati dalla capacità patrimoniale del debitore in relazione all’entità del credito, oppure soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore che lasci fondatamente temere atti di depauperamento del patrimonio, non essendo comunque sufficiente a tal fine un mero giudizio di incapienza in sé del patrimonio del debitore né il mero sospetto circa la sua intenzione di sottrarre alla garanzia tutti o alcuni dei suoi beni. Infatti, ove si chieda la disposizione di sequestro conservativo, il ricorrente deve dimostrare che la garanzia del proprio credito si sia ridotta quantomeno a livello presuntivo, concetto che non può ridursi alla mera oggettiva sproporzione tra il credito ed il patrimonio del debitore già ab origine esistente, senza che sussistano ragioni specifiche per temere condotte di sottrazione o dispersione patrimoniale.
La transazione dell’azione sociale di responsabilità effettuata dal nuovo amministratore senza una delibera assembleare è nulla
A norma dell’art. 2393 c.c., applicabile anche alle s.r.l., compete esclusivamente all’assemblea dei soci il potere di deliberare sia il promovimento dell’azione sociale di responsabilità, sia la rinuncia all’esercizio di tale azione, sia la transazione. Pertanto, la rinuncia o la transazione effettuate dal nuovo amministratore senza la preventiva delibera assembleare è affetta non da mera inefficacia, secondo la disciplina dell’atto posto in essere dal rappresentante senza poteri, ovvero da mera annullabilità, in base alle regole sul difetto di capacità a contrarre, ma da nullità assoluta e insanabile, deducibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d’ufficio, atteso che detta delibera assembleare costituisce modo formale e inderogabile di espressione della volontà della società di cui non sono ammessi equipollenti.
In caso di mancata presentazione della dichiarazione TARI da parte dell’amministratore, non può riconoscersi a titolo risarcitorio l’importo dovuto a titolo di tributo, posto che esso si sarebbe dovuto pagare anche ove la dichiarazione di detenzione fosse stata effettuata correttamente dal convenuto, costituendo danno unicamente l’importo delle sanzioni e degli interessi applicati, oltre agli accessori di notifica.
Prescrizione dell’azione di responsabilità verso i creditori sociali
L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società è soggetta a prescrizione quinquennale, decorrente dal momento in cui i creditori sono oggettivamente in grado conoscere l’insufficienza del patrimonio sociale per la soddisfazione dei loro crediti. In ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione relativa di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando, quindi, all’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale
Gli amministratori devono monitorare le condizioni patrimoniali della società. L’art. 2486, co. 3, c.c. è applicabile a condotte anteriori al 2019
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore nella parte in cui persegue gli interessi del ceto creditorio deve inquadrarsi nel regime della responsabilità extracontrattuale, mentre in quella in cui persegue gli interessi della società fallita soggiaccia, invece, al regime della responsabilità contrattuale. Ne consegue che il curatore, quale rappresentante della massa creditoria, risulta gravato della prova della condotta degli amministratori asseritamente lesiva dell’integrità del patrimonio sociale. Al contrario, quale soggetto legittimato ad agire nell’interesse della società fallita, il medesimo soggiace al regime di riparto degli oneri di allegazione e prova invalso in tema di azioni contrattuali, in forza del quale – fermi a carico dell’attore gli oneri della prova del danno e del nesso causale con l’inadempimento – incombono sulla parte asserita creditrice unicamente la prova del titolo della pretesa creditoria azionata e l’allegazione dell’inadempimento ex adverso perpetrato. Con l’ulteriore precisazione per cui, peraltro, al cospetto dell’allegazione non già dell’inadempimento rispetto a un individuato dovere previsto dalla legge o dallo statuto, bensì, più ampiamente, della violazione di un’obbligazione c.d. di mezzi – qual è il generale dovere di diligenza nell’espletamento dell’incarico gestorio gravante sull’amministratore ex art. 2392 c.c. (dettato per le s.p.a., ma da ritenersi enunciativo di principi estensibili alle s.r.l.): – l’onere di allegazione dell’inadempimento dovrà sostanziarsi nella specifica indicazione dei singoli inadempimenti cc.dd. qualificati, intesi come astrattamente idonei a ingenerare il danno in concreto lamentato; – l’onere della prova del titolo imporrà la dimostrazione della ricorrenza in concreto dei presupposti di insorgenza delle specifiche obbligazioni qualificate asseritamente inadempiute, ossia degli elementi di contesto da cui desumere la violazione di quei doveri.
L’erronea redazione di scritture contabili non costituisce, di per sé, una causa di danno, giacché la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, ma non li determina, ed è da quegli accadimenti, e non certo dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità, che deriva la perdita patrimoniale; di conseguenza, salva l’ipotesi che dalle singole violazioni od omissioni contabili derivino specifiche voci di pregiudizio per il patrimonio sociale, la violazione di obblighi contabili o amministrativi e, in particolare, l’irregolarità contabile, in sé e per sé considerati, non rappresentano condotte idonee a determinare una responsabilità risarcitoria a carico degli amministratori nei confronti della società, ove non si alleghi e dimostri che esse sono state causa di violazioni produttive di un danno alla società, tale danno non potendosi comunque mai identificare tout court nel complessivo ammontare della perdita patrimoniale del periodo di gestione.
All’indomani del verificarsi di una causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato alla realizzazione dello scopo sociale, sicché gli amministratori non possono più utilizzarlo a tale fine, ma sono abilitati a compiere soltanto gli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando agli stessi inibito il compimento di nuovi atti di impresa suscettibili di porre a rischio, da un lato, il diritto dei creditori della società a trovare soddisfacimento sul patrimonio sociale, e, dall’altro, il diritto dei soci a una quota, proporzionale alla partecipazione societaria di ciascuno, del residuo attivo della liquidazione. Devono essere qualificate come nuove operazioni vietate tutti quei rapporti giuridici che, svincolati dalle necessità inerenti alle liquidazioni delle attività sociali – in quanto il patrimonio sociale diviene finalizzato alla garanzia dei creditori – siano costituiti dagli amministratori per il conseguimento di un utile sociale e per finalità diverse da quelle di mera liquidazione della società.
Posto che le condizioni di cui all’art. 2482 bis c.c. possono verificarsi, e normalmente si verificano, non già al termine dell’esercizio, bensì nel corso di esso, gli amministratori sono ritenuti obbligati a monitorare la consistenza del patrimonio sociale anche nei periodi infra-esercizio, in ragione del livello di diligenza minimo cui sono tenuti; diligenza che impone loro, proprio allorquando il patrimonio netto stia per raggiungere i minimi di legge, o addirittura subisca oscillazioni tali da condurlo a un valore negativo, di effettuare controlli più frequenti ed accurati.
La conoscenza del verificarsi di una causa di scioglimento costituisce oggetto di una presunzione connaturata alla posizione rivestita dagli amministratori nell’organizzazione societaria.
I criteri liquidatori di cui all’art. 2486, co. 3, c.c. ben possono essere applicati anche per la liquidazione di danni consequenziali a fatti verificatisi anteriormente alla relativa entrata in vigore, poiché, da una parte, l’art. 2486 c.c., lungi dall’avere modificato la nozione di danno da indebita prosecuzione societaria, si è limitato a positivizzarne i criteri di liquidazione alla luce del previgente diritto vivente e, dall’altra, fino alla liquidazione del danno non possono considerarsi esauriti gli effetti della condotta illecita.