Art. 2476 c.c.
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Mancata percezione degli utili e diminuzione di valore della partecipazione
L’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché tanto l’art. 2395 c.c. – in materia di S.p.A. – quanto l’art. 2476, comma 7, c.c. – in materia di S.r.l. – esigono che il singolo socio o il terzo sia stato danneggiato ‘direttamente’ dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.
La mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.
L’azione sociale di responsabilità nella s.r.l.; l’amministratore di fatto
L’azione sociale di responsabilità di cui all’art. 2476, co. 3 c.c., ha natura contrattuale, derivando dall’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero dall’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. Ne consegue che, mentre sulla società attrice grava l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi (che costituiscono obbligazioni di mezzi e non di risultato), il pregiudizio sofferto e il nesso eziologico tra l’inadempimento e il danno, incombe, per converso, sull’amministratore l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi posti a suo carico.
L’accettazione del mandato gestorio comporta per l’amministratore l’obbligo di attivarsi affinché i beni e le risorse di pertinenza della società vengano destinati al perseguimento dei fini sociali e non siano in altro modo distratti o distolti. Inoltre, per gli amministratori di s.r.l., al pari di quelli di s.p.a., è richiesta non la generica diligenza del mandatario di cui all’art. 1710 c.c., cioè quella tipizzata nella figura dell’uomo medio, ma quella desumibile in relazione alla natura dell’incarico ed alle specifiche competenze, cioè quella speciale diligenza prevista dall’art. 1176, co. 2, c.c. per il professionista. Pertanto, non vale ad escludere la responsabilità per i danni derivanti da mala gestio invocare la natura meramente formale della carica di amministratore o asserire di aver ottemperato alle istruzioni di terzi, rappresentando, piuttosto, tale aspetto manifestazione di una negligente esecuzione del contratto. Anzi, l’inerzia dell’amministratore di diritto, l’omesso espletamento delle attività di controllo e la mancata opposizione alla distrazione di risorse sociali da parte di terzi fondano di per sé la responsabilità dell’amministratore, essendo il medesimo gravato dal dovere di preservare l’integrità del patrimonio sociale e la destinazione dello stesso all’attività di impresa. Ne consegue che il cosiddetto amministratore di comodo (o “testa di legno”) non può invocare tale sua posizione, per essere ritenuto indenne da responsabilità conseguente ad atti di mala gestio compiuti o, comunque, non impediti dal medesimo. Infatti, anche in presenza di un co-amministratore di fatto vale il principio di portata generale secondo cui in ogni caso gli amministratori sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
La figura dell’amministratore di fatto ricorre quando un soggetto, pur non essendo formalmente investito della carica, si ingerisce nell’amministrazione dell’ente, esercitando di fatto i poteri concernenti la gestione della società. Più specificamente, la figura dell’amministratore di fatto sussiste, laddove ricorrano le seguenti condizioni: (i) assenza di una valida investitura assembleare; (ii) attività espletata in via continuativa e non meramente occasionale; (iii) esercizio di funzioni riservate agli amministratori di diritto; (iv) autonomia decisionale rispetto agli amministratori di diritto. È amministratore di fatto chi, da solo o insieme all’amministratore di diritto, gestisce la società, in assenza di un valido titolo ed esercitando sistematicamente un potere analogo a quello spettante agli amministratori di diritto.
Sulla diligenza del contraente investitore professionale in presenza di false dichiarazioni
La diligenza del contraente di un accordo di investimento non può comprendere la presunzione di falsità delle dichiarazioni rese dalla controparte, né necessariamente sostanziarsi in un obbligo di indagare la loro veridicità; di contro, il disporre di capacità di analisi professionali derivanti dalla qualità di investitore professionale, non trasforma in negligenza aver fatto affidamento sulla buona fede e correttezza altrui.
L’intenzionalità nella responsabilità del socio ex art. 2476, co. 8, c.c. e i presupposti della postergazione dei finanziamenti soci
L’art. 2476, co. 8, c.c. configura un concorso di responsabilità del socio, che si è ingerito nell’atto di gestione della società, con l’amministratore che ha posto in essere l’operazione foriera di danno. La disposizione in esame richiede che il comportamento del socio sia connotato da intenzionalità, cosicché chi intenda dimostrare la responsabilità del socio ex art. 2476, co. 8, c.c. è onerato di fornire la prova, se non della volontà del socio co-gestore di cagionare specifiche lesioni patrimoniali, perlomeno, della piena consapevolezza di questi della contrarietà dell’atto di gestione alle norme di legge o dell’atto costitutivo o ai principi di corretta amministrazione.
Occorre interpretare in modo unitario il secondo comma dell’art. 2467 c.c., nel senso che entrambi i presupposti ivi enucleati vanni ricondotti a situazioni di crisi che pongano la società a rischio di insolvenza, idonee a fondare una sorta di concorso potenziale tra tutti i creditori della società. Tali situazioni di crisi possono manifestarsi sia in fase di start-up se la società è sottocapitalizzata (proprio perché i soci hanno preferito finanziarla, anziché conferire capitale di rischio) e quindi v’è il pericolo che il rischio di impresa sia trasferito sui terzi creditori; sia in seguito, quando a fronte di perdite i soci, anziché conferire capitale come sarebbe “ragionevole”, effettuino finanziamenti, aumentando l’indebitamento e concorrendo, quindi, con i creditori terzi (su cui verrebbe trasferito il rischio di impresa in situazione di crisi), proseguendo l’attività sociale in danno di questi ultimi, che, ragionevolmente in una tale situazione non sarebbero disponibili ad erogare finanziamenti.
Il requisito del periculum in mora per la concessione di un sequestro conservativo richiede la prova di un fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito. Requisito desumibile, alternativamente, sia da elementi oggettivi, riguardanti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati invece da comportamenti del debitore che lascino presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, egli possa porre in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio. Il periculum in mora può essere riconosciuto esistente innanzitutto quando sussista una condizione oggettiva di inadeguata consistenza del patrimonio del debitore stesso in rapporto all’entità del credito.
Alla prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori sociali verso gli amministratori si applica l’art. 2949, co. 2, c.c. e il termine quinquennale decorre dal momento in cui si è verificata l’insufficienza del patrimonio sociale, che deve essere oggettivamente conoscibile dai creditori. Vige una presunzione iuris tantum per cui lo stato di incapienza diventa conoscibile al momento della dichiarazione di fallimento; chi intende vincere la presunzione è tenuto a dimostrare che l’insufficienza patrimoniale si è manifestata in un momento anteriore e che tale stato di insufficienza patrimoniale era divenuto oggettivamente conoscibile ai terzi con l’uso dell’ordinaria diligenza. Ed invero, la nozione di insufficienza patrimoniale si ricollega alla garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c., costituita dal patrimonio della società, ed essa rappresenta un mero fatto contabile, che si verifica quando il patrimonio della società presenti una eccedenza delle passività sulle attività, ovverosia in una situazione in cui l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, è insufficiente al loro soddisfacimento. L’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori può risultare da qualsiasi fatto oggettivamente conoscibile all’esterno e pertanto anche dai dati e dalle informazioni desumibili dal bilancio. Tale situazione non coincide con la perdita integrale del capitale sociale, dal momento che quest’ultima evenienza può verificarsi anche quando vi è un pareggio tra attivo e passivo e, quindi, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio della società. D’altra parte, l’insufficienza patrimoniale è una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, potendosi una società trovare nell’impossibilità di far fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro, ovvero, all’opposto, presentare un’eccedenza del passivo sull’attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste per continuare ad operare.
Responsabilità dell’amministratore di diritto per atti di mala gestio compiuti dall’amministratore di fatto
La responsabilità del rappresentante formale dell’ente non è esclusa dalla circostanza che la società era gestita di fatto da altri soggetti. Infatti, l’assunzione del ruolo di amministratore di una società espone a tutte le responsabilità connesse, senza che rilevi nei confronti della società l’eventuale posizione di prestanome allegata dall’amministratore e supportata dalla presenza di ulteriori e diversi amministratori di fatto della società stessa.
Procedimento cautelare per la consegna al socio della documentazione societaria
In un procedimento cautelare ex att. 700 c.p.c. e 2476, comma 2, c.c., instaurato dal socio nei confronti dell’amministratore unico per la consegna della documentazione societaria, il c.d. fumus boni iuris è rappresentato dal diritto del socio di avere accesso alla documentazione societaria, di visionare la stessa presso i locali della sede sociale (ovvero presso lo studio del commercialista che la detiene nell’ipotesi in cui ivi sia domiciliata la compagine) e, ove ritenuto opportuno, di prenderne consegna con modalità telematiche ovvero con quelle della estrazione delle copie cartacee (salvo sostenere i relativi costi); il c.d. periculum in mora è integrato dall’ingiustificato rifiuto dell’amministratore di far fronte alle legittime richieste dell’istante che conduce a fondare il convincimento che possano essere state attivate condotte volte alla spoliazione ovvero al depauperamento della società e, di riflesso, al detrimento del valore della partecipazione societaria dell’istante.
Diritto di ispezione del socio di s.r.l.
La norma di cui all’art. 2476, co. 2, c.c., come modificata dalla riforma del diritto societario, ha attribuito al socio non amministratore di s.r.l. il diritto di ispezione e di accesso alle informazioni, diritto funzionale al controllo sull’attività gestoria. La attribuzione espressa al socio non amministratore del diritto di ispezione e accesso alla documentazione sociale non esclude che spetti anche al socio amministratore il diritto di ricevere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i documenti relativi alla gestione societaria compiuta dagli altri amministratori, nei casi in cui a detta gestione egli non abbia in tutto o in parte partecipato, quando siano stati frapposti, ad esempio da parte di altri amministratori, ostacoli all’accesso a dette informative e documenti.
In una s.r.l. non può esser negato, quanto ai soci amministratori, il diritto di ispezione e di informazione quale diritto-dovere costituente implicito portato delle prerogative della carica. Con la conseguenza che, qualora l’esercizio di tale diritto-dovere sia precluso da altri, in specie co-amministratori o componenti del consiglio di amministrazione, essi potranno agire a loro tutela, facendo valere anche l’impossibilità di diligente adempimento dell’incarico gestorio, ove lasciati all’oscuro delle vicende sociali e, dunque, per la stessa esigenza di adempiervi fedelmente e non incorrere in responsabilità. Di tale importanza è la trasparenza interna nelle società che il legislatore ha previsto il presidio della sanzione penale all’art. 2625 c.c. per gli amministratori che, “occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo”. Con l’assunzione della carica gestoria sorge insomma in capo all’amministratore il diritto ed il dovere di agire in modo informato e tale diritto ben può essere fatto valere anche giudizialmente nel caso in cui esso venga negato / ostacolato.
Riparto dell’onere della prova nell’azione sociale di responsabilità
Gli amministratori devono adempiere ai doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.
La responsabilità degli amministratori verso la società per i danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri ha natura contrattuale: la società deve quindi allegare l’inadempimento nonché provare – sia pure ricorrendo a presunzioni – l’esistenza di un danno concreto, consistente nel depauperamento del patrimonio sociale e la diretta riconducibilità causale di tale danno alla condotta dell’amministratore, quand’anche cessato dall’incarico.
Il riferimento al nesso causale, oltre a servire come parametro per l’accertamento della responsabilità degli amministratori, rileva anche da un punto di vista oggettivo, perché consente di limitare l’entità del risarcimento all’effettiva e diretta efficienza eziologica della condotta contestata e quindi a porre a carico degli amministratori solo il danno direttamente connesso alla loro condotta attiva od omissiva, dolosa o anche solo colposa.
Incombe invece sugli amministratori l’onere di provare l’inesistenza del danno ovvero la non imputabilità dell’inadempimento, dimostrando di aver adempiuto con diligenza agli obblighi loro imposti ovvero che il danno è dipeso dal caso fortuito o dal fatto di un terzo.
In base alla c.d. business judgment rule e ai principi costituzionali sulla libertà di iniziativa economica (art. 41, co. 1, Cost.), la responsabilità degli amministratori non può essere affermata sulla base della mera inopportunità delle scelte gestorie assunte – di per sé insindacabili, in quanto conseguenti a scelte di natura imprenditoriale, ontologicamente connotate da rischio – né dei risultati negativi di queste ultime.
Oggetto di accertamento e di valutazione da parte del giudice sono le modalità di esercizio del potere discrezionale, cioè la diligenza usata nella valutazione preventiva dell’iniziativa economica da intraprendere e dei margini di rischio prevedibili, potendosi pertanto censurare solo l’omessa assunzione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle determinate circostanze e con quelle determinate modalità.
Sulla responsabilità degli amministratori di s.r.l.
L’amministratore di diritto non può invocare una esenzione da responsabilità per essere stato tenuto all’oscuro della gestione societaria e per aver assunto la funzione di amministratore esclusivamente per finalità extra-sociali. Gravano infatti sull’amministratore obblighi di corretta gestione societaria, di conservazione del patrimonio sociale, di tutela degli interessi dei creditori. Indipendentemente dai motivi sottesi alla assunzione della carica, l’amministratore della società assume la titolarità dei doveri e degli obblighi previsti dalla legge (art. 2392 c.c., 2476 c.c., 2485 c.c.), dovendo vigilare sulla corretta gestione societaria e adottare le misure necessarie a contenere il dissesto societario e la perdita del capitale sociale.
L’azione sociale di responsabilità degli amministratori: natura e oneri conseguenti
L’azione sociale di responsabilità degli amministratori di società di capitali ha natura contrattuale, trovando la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo.
La norma di cui all’art. 2476 c.c. struttura una responsabilità degli amministratori in termini colposi, tanto emergendo chiaramente sia dal richiamo alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione della stessa in termini oggettivi) sia dalla circostanza che la medesima disposizione codicistica consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa.
La responsabilità risarcitoria dell’amministratore va riconnessa non ad una qualunque condotta illecita od omissione delle cautele ed iniziative dovute per legge e per statuto, ma solo a quelle condotte di mala gestio che, oltre ad integrare violazione degli obblighi gravanti sull’amministratore in forza della carica rivestita, risultino, altresì, foriere di danni per il patrimonio sociale.