Art. 2476 c.c.
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Onere probatorio nell’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare a tutela dei creditori sociali
Quella contenuta all’art. 2476, co. 6, c.c. è disposizione normativa recentemente introdotta dal legislatore al fine di chiarire definitivamente l’esperibilità, in materia di società a responsabilità limitata, dell’azione di responsabilità a tutela dei creditori sociali. La norma, in particolare, configurando un’ipotesi speciale di responsabilità aquiliana, pone, quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità medesima, la diligenza del comportamento dell’amministratore. Di conseguenza, il curatore che, a norma dell’art. 146, co. 2, l.fall., agisce in giudizio per far valere tale responsabilità è onerato di provare l’inosservanza da parte dell’amministratore degli obblighi inerenti la conservazione del patrimonio sociale, che tali inadempimenti sono dovuti a dolo o colpa e, infine, che hanno provocato l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti sociali.
Legittimazione del terzo a impugnare il bilancio e responsabilità degli amministratori di s.r.l.
L’interesse del terzo creditore sociale all’impugnazione del bilancio per nullità non sussiste soltanto nel caso di stipulazione di un contratto per errore di fatto sulla situazione economica e finanziaria determinato da oscura o non veritiera rappresentazione della stessa nel bilancio. L’interesse ad agire in tal senso deve ravvisarsi ogniqualvolta dalla rettificazione del bilancio, conseguente all’accertamento della sua nullità, possano derivare conseguenze di rilievo sul piano giuridico. In particolare, ciò accade quando una corretta redazione del bilancio avrebbe generato la verificazione di una situazione di scioglimento della società, con conseguente applicazione della regola di cui al primo comma dell’art. 2486 c.c., in forza del quale gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.
Non trova applicazione il disposto di cui all’art. 2434 bis, co. 1, c.c., a norma del quale le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio successivo, ove sia rilevabile d’ufficio da parte del giudice la nullità della deliberazione per illiceità dell’oggetto, tale dovendo ritenersi quella di approvazione di un bilancio non chiaro o non veritiero. Infatti, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio sono inderogabili in quanto la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento a prescindere dalla condotta delle parti e rende illecita la delibera di approvazione e, quindi, nulla. Tali norme, infatti, non solo sono imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dall’interesse dei singoli soci ad essere informati dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente.
La norma di cui all’art. 2467 c.c. non si applica ai crediti dei soci nei confronti della società sorti per effetto di finanziamenti anteriori all’entrata in vigore di tale disposizione (1 gennaio 2004).
In tema di società di capitali, le dazioni di denaro dei soci in favore della società possono essere effettuate per finalità tra loro molto diverse, a cui risponde una diversità di disciplina (conferimenti, finanziamenti, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale), sicché l’organo amministrativo non è arbitro di appostare in bilancio tali dazioni, né di mutare la voce relativa, successivamente all’iscrizione originaria, dovendo quest’ultima rispecchiare l’effettiva natura e la causa concreta delle medesime, il cui accertamento, nell’interpretazione della volontà delle parti, è rimesso all’apprezzamento riservato al giudice del merito.
Gli amministratori della società sono liberi di decidere per la resistenza in giudizio pur a fronte di contestazioni della controparte, ma devono nel contempo prefigurarsi come possibile l’esito negativo della vertenza e mettere in conto i relativi maggiori costi, di ciò dando la dovuta evidenza in bilancio, e richiedere alla proprietà la ricapitalizzazione della società che ne garantisca la solvibilità anche a fronte dei rischi correlati al contenzioso in atto. Ciò vale anche nei confronti degli amministratori che non siano stati parte in giudizio.
In tema di azione di responsabilità per violazione del divieto di concorrenza ex art. 2390, co. 1, c.c. l’attività concorrenziale potrebbe risultare di rilievo per il terzo creditore della società soltanto nel caso in cui ne sia derivato un depauperamento della consistenza patrimoniale di quest’ultima.
Dolo del concorrente nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione
In tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori.
Riparto dell’onere della prova nelle azioni sociali di responsabilità
L’azione sociale di responsabilità ha pacificamente natura contrattuale e dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’inadempimento; spetta quindi all’attore allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto, e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dell’amministratore contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.
Ammissibilità della tutela cautelare di revoca dell’amministratore di srl ante causam
La revoca in via cautelare dell’amministratore di s.r.l. è richiedibile anche ante causam, atteso che il testo dell’art. 2476, co. 3 c.c. ha ambiguità ma non vieta espressamente ciò.
La revoca in via cautelare può esser chiesta sia prospettando quale futura causa di merito una vera e propria azione di responsabilità di natura risarcitoria, sia prospettando una domanda meritale tal per cui anche nel giudizio a cognizione piena ciò che viene richiesto sia la sola revoca dalla carica di amministratore.
Nel primo caso si è in presenza di richiesta di misura cautelare avente strumentalità sui generis, prevista espressamente dal legislatore che ha voluto nella particolare fattispecie in esame correlare la misura cautelare de qua a domanda meritale di danno, configurandola quindi come latu sensu conservativa, ancorchè detta cautela non tuteli il vero e proprio diritto al risarcimento del danno prospettato mirando piuttosto alla prevenzione di danni futuri.
Nel secondo caso e cioè di richiesta cautelare di revoca in presenza di prospettazione di domanda meritale di mera revoca di amministratore, si è di fronte a richiesta di una misura cautelare che ha invece una chiara natura anticipatoria della domanda meritale di medesimo contenuto.
La mancata redazione del bilancio non integra automaticamente una responsabilità dell’amministratore
Le irregolarità che attengono alla tenuta della contabilità, compresa la mancata redazione dei bilanci, pur integrando inosservanza dei doveri del mandato gestorio dell’amministratore di società di capitali, non sono sufficienti per la conseguente affermazione di responsabilità risarcitoria ex artt. 2392-2394 e 2476 c.c., ove non si fornisca la prova del danno cagionato al patrimonio sociale e del nesso causale rispetto alla condotta addebitata. La regola non trova eccezione nel caso in cui l’azione sia promossa dal fallimento ex art. 146 l.fall., essendo il curatore vincolato alla prova del pregiudizio della garanzia patrimoniale dei creditori e, anche qualora le irregolarità contabili siano idonee ad occultare la reale situazione economico-patrimoniale della società e l’intervenuto scioglimento per riduzione del capitale sociale, è pur sempre necessario che la violazione del dovere di gestione conservativa si sia concretizzata in atti da cui sia effettivamente derivato un pregiudizio alla società.
Responsabilità di amministratori e liquidatori per mancato rilevamento della perdita di capitale e prosecuzione dell’attività
La violazione degli obblighi gravanti sugli amministratori – e quindi l’accertamento dell’inadempimento da parte di costoro agli obblighi imposti dalla legge e/o dall’atto costitutivo – costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente per affermarne la responsabilità risarcitoria; infatti, anche in questo caso sono necessarie tanto la prova del danno (nei termini del c.d. danno conseguenza), ossia del deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, quanto la diretta riconducibilità causale di detto danno alla condotta omissiva o commissiva degli amministratori stessi. Il riferimento al nesso causale, oltre a servire come parametro per l’accertamento della responsabilità risarcitoria degli amministratori, è quindi rilevante anche da un punto di vista oggettivo, in quanto consente – come regola generale – di limitare l’entità del risarcimento all’effettiva e diretta efficienza causale dell’inadempimento e quindi a porre a carico degli amministratori inadempienti solo il danno direttamente riconnesso alla loro condotta omissiva o commissiva.
Il liquidatore di società di capitali svolge una funzione di salvaguardia finale degli interessi della società, dei soci e dei terzi caratterizzata da un aspetto particolare: la concentrazione degli interessi di tutti i soggetti coinvolti in una fase societaria, i cui elementi patrimoniali sono sostanzialmente noti all’inizio e non sono destinati ad essere condizionati dal sopravvenire di nuovi eventi successivi. Tale circostanza fa sì che il liquidatore deve concentrare la propria attività nella più efficiente, tempestiva e trasparente liquidazione del patrimonio sociale, rimanendo neutro rispetto a pressioni che possono eventualmente derivare dai soci, che cerchino, per scopi estranei alla società, di imporre la continuità dell’attività di impresa.
L’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l. fall. è soggetta al termine di prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza; in ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore l’onere di dare prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa.
Al fine di pervenire ad un’esatta determinazione del danno secondo il criterio fondato sulla differenza dei netti patrimoniali, occorre individuare innanzitutto il momento a partire dal quale l’attività d’impresa è proseguita indebitamente, ossia quello in cui gli amministratori hanno acquisito consapevolezza dello stato di dissesto o di insolvenza. Successivamente, individuato tale momento, si procederà a calcolare la differenza tra il valore del patrimonio netto alla data iniziale (opportunamente rettificato in considerazione dello svilimento che il patrimonio avrebbe comunque subito) ed il valore del patrimonio netto al momento finale.
L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità nella s.r.l., il dovere di agire informato e il nesso causale
L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità deve essere deliberato, anche nelle società a responsabilità limitata, dall’assemblea dei soci e la mancanza di tale presupposto, incidente sulla legittimazione processuale del rappresentante della società, può anche essere rilevata d’ufficio dal giudice. L’autorizzazione assembleare, dunque, si pone come requisito necessario per attribuire al legale rappresentante della società la legittimazione processuale e la volontà dei soci deve necessariamente essere espressa mediante una deliberazione da assumersi nell’assemblea in sede ordinaria, non essendo ammesse forme equipollenti.
Anche l’amministratore di s.r.l. ha l’obbligo di agire in modo informato ai sensi dell’art. 2381, co. 6, c.c. dovendosi osservare, al riguardo, che tale obbligo si declina, da un lato, nel dovere di attivarsi, esercitando tutti i poteri connessi alla carica per conseguire al meglio l’oggetto sociale o per prevenire, eliminare o attenuare le situazioni di criticità aziendale di cui sia o debba essere a conoscenza, nonché, dall’altro lato, nell’obbligo di informarsi affinché tanto la scelta di agire quanto quella di non agire sia fondata sulla conoscenza della situazione aziendale.
In tema di responsabilità degli amministratori, il riferimento al nesso causale tra la condotta e il danno conseguito è rilevante anche da un punto di vista oggettivo, in quanto consente, come regola generale, di limitare l’entità del risarcimento all’effettiva e diretta efficienza causale dell’inadempimento e quindi a porre a carico degli amministratori inadempienti solo il danno direttamente riconnesso alla loro condotta omissiva o commissiva. Difatti, in termini di ripartizione dell’onere probatorio, incombe sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. L’analisi del nesso causale si definisce mediante un duplice giudizio, il primo diretto all’individuazione del fatto idoneo a fondare la responsabilità, e il secondo diretto, di contro, a determinare l’entità del danno cagionato, che costituisce l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria. Ne consegue che, prima facie, il concetto di causalità viene in evidenza sotto un profilo meramente materiale o di fatto, essendo teso – analogamente a quanto previsto in ambito penale ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p. – a descrivere l’evento lesivo, mentre sotto il secondo profilo la causalità deve essere riletta in chiave quantificatoria, come può desumersi dall’art. 1223 c.c. In tale seconda fase trova applicazione la teoria della causalità adeguata o regolarità causale che attribuisce rilievo, all’interno delle serie causali così individuate, a quelle che, nel momento in cui si produce l’evento, non appaiano del tutto inverosimili, su un giudizio formulato in termini ipotetici. Un evento è, quindi, da considerare cagionato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cosiddetta teoria della condicio sine qua non), nonché (in virtù del criterio della cosiddetta causalità adeguata) dando rilievo, all’interno della serie causale, solo a quegli eventi che non appaiono – ad una valutazione ex ante – del tutto inverosimili.
Responsabilità dell’amministratore per omesso pagamento delle imposte
La responsabilità dell’amministratore per omesso pagamento delle imposte costituisce una tipica ipotesi di responsabilità per fatto proprio, che trova la sua fonte immediata nella violazione dei doveri comportamentali fissati dalle disposizioni di legge, che pongono a carico diretto degli amministratori o liquidatori di un soggetto tassabile uno specifico obbligo nei confronti del fisco, avente quale contenuto il provvedere, nella loro qualità, al pagamento delle imposte con l’attivo sociale. Al riguardo, occorre distinguere tre ipotesi: (i) quella in cui la società – quando l’amministratore ha omesso il pagamento del dovuto all’erario – fosse in bonis, avendo liquidità ed essendo in grado di pagare i debiti erariali. In tal caso l’amministratore inadempiente risponde dei danni procurati alla società in misura pari alle sanzioni, interessi ed aggi addebitati dall’erario alla società stessa, come liquidati nel relativo accertamento tributario ovvero nella cartella esattoriale; (ii) quella in cui l’amministratore eccepisca e provi ex art. 1218 c.c. di non aver potuto pagare le imposte in ragione dell’incapacità finanziaria/incapienza patrimoniale della società; (iii) quella in cui, pur non essendo la società in grado di pagare i debiti erariali ed in stato di scioglimento per perdita del capitale sociale, tuttavia l’amministratore abbia illegittimamente proseguito nello svolgimento di attività economica con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale. In tal caso, lo stesso risponde dei danni in misura pari al debito per sanzioni, interessi ed aggi addebitati alla società con riferimento a quei debiti erariali non pagati che la società non avrebbe contratto se fosse stata tempestivamente posta in liquidazione ed avesse conseguentemente cessato l’attività. Trattandosi di fattispecie di responsabilità contrattuale, il fallimento attore è tenuto ad allegare il mancato rispetto da parte dell’amministratore sociale all’obbligazione di pagamento del fisco e ad adempiere all’onere della prova producendo le cartelle esattoriali notificate alla società e le relative domande di insinuazione al passivo, onere di allegazione e dimostrazione soddisfatto nel caso di specie. Il convenuto è tenuto a dimostrare l’adempimento o la non imputabilità ex art 1218 c.c. per essersi trovata la società nell’impossibilità di versare i tributi dovuti per incapienza patrimoniale o incapacità finanziaria, con ciò escludendo una sua responsabilità per omissione.
Diritto di ispezione, informazione e controllo dei soci amministratori di s.r.l.
La circostanza che la norma di cui all’art. 2476, co. 2, c.c. attribuisca espressamente al socio non amministratore di s.r.l. il diritto di ispezione e di accesso alle informazioni sullo svolgimento degli affari sociali, funzionale al controllo sull’attività gestoria, non esclude che analogo diritto spetti anche al socio amministratore. Si tratta tuttavia di diritti e poteri che, in tale ultimo caso, trovano la loro ragion d’essere non tanto nell’assunzione della veste di socio, quanto piuttosto nella stessa titolarità della carica gestoria, in forza della quale al socio che sia amministratore competono diritti e doveri di informazione correlati al dovere di agire informato e di vigilare sull’operato degli altri amministratori. Al fine di ottenere la tutela giurisdizionale, il socio che sia anche amministratore non può limitarsi ad affermare di voler esercitare il proprio diritto di ispezione, ma deve anche allegare e provare che tale diritto, il quale gli viene attribuito direttamente dalla titolarità della carica e non dovrebbe nemmeno richiedere l’intermediazione della società per il suo esercizio, sia stato leso e gli sia concretamente precluso.