Art. 2476 c.c.
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Azioni di responsabilità esercitate dalla curatela
La responsabilità degli amministratori verso la società è di natura contrattuale e trova la sua fonte tanto nella violazione degli obblighi che hanno un contenuto specifico e già determinato dalla legge o dall’atto costitutivo, quanto nella violazione di obblighi definiti attraverso il ricorso a clausole generali, quali l’obbligo di amministrare la società e perseguirne l’oggetto sociale con la diligenza professionale esigibile ex art. 1176, co. 2, c.c., nonché quello di amministrare senza conflitto di interessi. Altra e distinta forma di responsabilità è quella degli amministratori verso i creditori della società come conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, la cui natura extracontrattuale presuppone l’assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti ed un comportamento dell’amministratore funzionale ad una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da renderlo inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica, con conseguente diritto del creditore di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di adempiere. L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l.fall. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c. ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia sia per i soci sia per i creditori sociali. Dal carattere unitario dell’azione ex art. 146 l.fall. discende che il curatore, potendosi avvalere delle agevolazioni probatorie proprie delle azioni contrattuali, ha esclusivamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombendo per converso sui convenuti l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.
Il thema probandum, nell’ambito dell’azione in questione, si articola pertanto nell’accertamento di tre elementi: l’inadempimento di uno o più degli obblighi di cui sopra, il danno subito dalla società e il nesso causale, mentre il danno risarcibile sarà quello causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell’agente sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante, dunque commisurato in concreto al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo, positivo o omissivo, non fosse stato posto in essere. Ad ogni modo, nell’accertamento della responsabilità degli amministratori deve tenersi conto del principio della insindacabilità nel merito delle scelte di gestione, in quanto il giudice non può apprezzare il merito dei singoli atti di gestione, valutandone, così, l’opportunità e la convenienza: ciò che forma oggetto di sindacato da parte del giudice, dunque, non può essere l’atto in sé considerato e il risultato che abbia eventualmente prodotto, bensì, esclusivamente, le modalità di esercizio del potere discrezionale che deve riconoscersi agli amministratori. Pertanto, alla luce del principio di insindacabilità del merito gestorio, non ogni atto dannoso per il patrimonio sociale è idoneo a fondare la responsabilità dell’amministratore che lo abbia compiuto; al contempo, non tutte le violazioni di obblighi derivanti dalla carica comportano necessariamente una lesione del patrimonio sociale e, dunque, l’individuazione di un danno risarcibile. Infatti, non tutti i comportamenti illeciti degli amministratori danno luogo infatti a responsabilità risarcitoria, ma solo quelli che abbiano causato un danno al patrimonio sociale rendendolo incapiente, danno che deve essere legato da un nesso eziologico ai suddetti illeciti.
L’azione individuale del socio e del terzo nel fallimento: natura dell’azione e legittimazione attiva del terzo creditore
In tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, dovendosi proporre, altrimenti, l’azione, contrattuale, di cui all’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 l. fall. (cfr. Cassazione civile, sez. I, 10/04/2014, n. 8458).
Sussiste la legittimazione del terzo creditore ai sensi dell’art. 2476 comma 6 c.c. ad ottenere il risarcimento del danno direttamente subito a causa della condotta dolosa o colposa degli amministratori di società dichiarata fallita, non comportando
l’intervenuto fallimento della società l’inammissibilità o improcedibilità della domanda. Il cumulo delle azioni di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c. esperibili dal curatore fallimentare, ai sensi dell’art. 146 l. fall., non si estende infatti all’azione individuale del socio o del terzo direttamente danneggiato la cui legittimazione permane anche in caso di fallimento. Il disposto dell’art 2395 c.c. si applica anche alla società a responsabilità limitata per effetto del richiamo operato dall’art. 2476 comma 6 c.c. (cfr. Tribunale Torino, Sez. spec. Impresa, 27/03/2015).
Il danno cagionato dagli amministratori con pagamenti preferenziali e la irregolare tenuta delle scritture contabili
Se i pagamenti preferenziali sono certamente dannosi per la massa dei creditori e il curatore del fallimento è l’unico soggetto legittimato ad agire per il relativo risarcimento, tale danno non può essere indentificato nell’intero importo versato, volto comunque a estinguere una passività societaria. Il danno andrà piuttosto quantificato in via equitativa in relazione all’entità della falcidia fallimentare e all’art. 185 c.p., anche alla luce di eventuali vantaggi dell’autore dei pagamenti, che per esempio abbia estinto debiti societari assistiti da proprie garanzie personali.
Se, alla luce del principio di insindacabilità del merito gestorio, non ogni atto dannoso per il patrimonio sociale è idoneo a fondare la responsabilità dell’amministratore che lo abbia compiuto, non tutte le violazioni di obblighi derivanti dalla carica comportano necessariamente una lesione del patrimonio sociale e, dunque, l’individuazione di un danno risarcibile. Non tutti i comportamenti illeciti degli amministratori danno luogo infatti a responsabilità risarcitoria, ma solo quelli che abbiano causato un danno al patrimonio sociale rendendolo incapiente, danno che deve essere legato da un nesso eziologico ai suddetti illeciti. L’irregolare e anche disordinata tenuta della contabilità integra una violazione dei doveri dell’amministratore, solo potenzialmente, ma non necessariamente, foriera di danno per la società. Eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono certamente rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite, ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge; ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi si sono occultate o che, grazie a quei falsi, sono state consentite. Tali condotte dunque devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.
Insindacabilità nel merito delle scelte gestorie: applicazione della “business judgment rule” agli addebiti mossi contro l’amministratore di S.r.l.
In caso di fallimento di una società, la clausola compromissoria contenuta nello statuto della stessa non è applicabile all’azione di responsabilità proposta unitariamente dal curatore ai sensi dell’art. 146 LF diretta alla reintegrazione del patrimonio sociale a garanzia sia dei soci che dei creditori sociali e nella quale confluiscono sia l’azione prevista dall’art. 2393 c.c. che quella di cui all’art. 2394 c.c., in riferimento alla quale la clausola compromissoria non può operare poiché i creditori sono terzi rispetto alla società.
Come è noto, secondo costante giurisprudenza di legittimità, all’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può, pertanto, eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società: ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.
Ne consegue che, anche nell’ipotesi in cui le scelte adottate dall’ex amministratore presentassero, dal punto di vista tecnico-contabile e tecnico-giuridico, profili di irregolarità, dette scelte, in ogni caso, non risultano, per le ragioni sopra esplicitate, manifestatamente illogiche o irragionevoli, e gli eventuali errori ascrivibili all’amministratore dell’epoca possono ritenersi incensurabili in sede giudiziaria, rientrando tale operato gestorio, in concreto, nell’ambito di applicazione e dei limiti stabiliti dal principio della “business judgement rule” e, dunque, nell’alveo delle scelte insindacabili dell’amministratore, insuscettibili di costituire fonte di responsabilità ex art. 2476 c.c.
Sul tema, la Corte di legittimità, con elaborazione giurisprudenziale ormai costante e consolidata, ha affermato che, in tema di responsabilità degli amministratori, la regola dell’insindacabilità nel merito delle scelte gestionali da essi operate trova un limite nel corollario della necessaria ragionevolezza delle stesse nonché nella valutazione della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione contestata.
Criteri per l’individuazione dell’amministratore di fatto
In tema di società, la persona che, benchè priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza. Per essere rilevanti, al fine di giungere a qualificare un soggetto quale amministratore di fatto, le attività gestorie (svolte concretamente) devono presentare carattere sistematico e non si devono esaurire soltanto nel compimento di singoli atti di natura eterogenea ed occasionale.
A prescindere dalle investiture formali, si avrà un amministratore di fatto qualora si abbia l’esercizio in concreto di un’attività di amministrazione intesa come un insieme di atti coordinati sul piano funzionale dalla unità dello scopo; attività svolta senza subordinazione, e quantomeno sul piano di un rapporto paritario di cooperazione – se non di superiorità – con il soggetto investito formalmente dei poteri amministrativi.
Una volta integrato il presupposto oggettivo della funzione concretamente esercitata che fa del terzo gestore un amministratore di fatto, sono a lui applicabili in via diretta le norme che disciplinano l’attività degli amministratori di una società di capitali.
Responsabilità solidale dell’amministratore di diritto per gli atti gestori dell’amministratore di fatto
L’amministratore, al momento della nomina e con l’accettazione della relativa carica, assume – tra gli altri – l’obbligo di vigilanza sulla società, che deve essere esercitato e non viene meno neppure qualora l’amministrazione sia effettivamente esercitata da altri soggetti, né in presenza di delega a uno o più componenti del consiglio di amministrazione, né tantomeno in caso di assunzione di fatto del ruolo di amministratore da parte di un terzo. Pertanto, il soggetto che accetti di ricoprire la carica di amministratore di una società di capitali e poi consenta, con pieno assenso e consapevolezza, che a gestire l’impresa sociale sia di fatto un terzo, è sotto il profilo causale necessario compartecipe e sotto quello giuridico corresponsabile di ogni singolo atto di gestione che abbia lasciato compiere all’amministratore di fatto, e , ove quest’ultimo arrechi un vulnus all’integrità del patrimonio sociale, la responsabilità in relazione a tale evento dannoso risulta ascrivibile, in via solidale, anche all’amministratore di diritto.
Azione del curatore fallimentare e responsabilità dell’amministratore
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 146, comma 2, l. fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2392-2393 c.c. (o dall’art 2476 commi 1 e 3 c.c. per le società a responsabilità limitata) e dall’art. 2394 c.c. (o dall’art 2476 comma 6 c.c. per le srl) a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali; tant’è che il curatore può, anche separatamente, formulare domande risarcitorie tanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale, che ha natura contrattuale, quanto con riguardo a quelli della responsabilità verso i creditori, che ha natura extracontrattuale. Tali azioni non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell’onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili ed il regime di decorrenza del termine di prescrizione.
In difetto di scritture contabili aggiornate, il danno è individuato nella perdita del patrimonio sociale e nell’incremento dell’indebitamento sociale, stimato in via equitativa nella differenza tra attivo e passivo risultante dallo stato passivo del fallimento.
Inadempimento contrattuale della s.r.l. e responsabilità risarcitoria degli amministratori
A fronte dell’inadempimento contrattuale di una s.r.l., la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente non deriva automaticamente da tale loro qualità, ma richiede, ai sensi dell’art. 2476, comma VII, c.c., la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente: tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula atti illeciti direttamente imputabili al comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi.
Responsabilità degli amministratori di s.r.l. per atti di mala gestio
Il prelievo di compensi superiori a quelli deliberati dall’assemblea costituisce inadempimento degli amministratori, i quali sono tenuti a restituire la differenza. L’amministratore ha l’onere di giustificare le spese, sia dando prova della loro inerenza all’attività di gestione della società sia allegando oggettivi riscontri delle concrete esigenze di spesa.
L’omissione anche parziale dei doveri tributari costituisce inadempimento degli amministratori, che sono pertanto tenuti a rimborsare sia le sanzioni sia gli interessi applicati dall’AGE in conseguenza dell’inadempienza.
L’omesso pagamento degli oneri condominiali costituisce inadempimento degli amministratori, che pertanto sono tenuti a rifondere alla società le spese liquidate nel decreto ingiuntivo emesso per il mancato pagamento degli oneri condominiali.
Delibera assembleare di rinuncia all’azione di responsabilità: determinatezza dell’oggetto e limiti
La delibera assembleare di una società che contenga l’espressa dichiarazione di volontà di liberare l’amministratore unico da qualsivoglia conflitto di interessi e responsabilità in ordine ad alcune operazioni sociali, al quale aveva preso parte anche in nome e per conto proprio, costituisce una rinuncia pro futuro all’esercizio dell’azione di responsabilità con riferimento alle operazioni oggetto della delibera.
La rinuncia, da parte dell’assemblea, all’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (prevista agli artt. 2393, co. 6, c.c. e 2476, co. 5, c.c.), sia essa preventiva o successiva, incontra due limiti invalicabili costituiti dalla determinatezza dell’oggetto della rinuncia e dalla regola dell’art. 1229 c.c., che esclude la validità di patti che esimano preventivamente il debitore da responsabilità dolosa o per colpa grave.