Art. 2476 c.c.
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Domanda cautelare a tutela del diritto di controllo del socio di s.r.l. e misure di coercizione indiretta a carico dell’amministratore
È inammissibile, poiché proposto nei confronti di un soggetto privo di legittimazione passiva, il reclamo avverso l’ordinanza cautelare che non abbia accolto, insieme alla richiesta per l’ottenimento di un provvedimento di ostensione della documentazione societaria, anche la richiesta di emissione di un provvedimento di condanna dell’amministratore unico della società resistente al pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell’adempimento.
L’ordine impartito con l’ordinanza ex art. 700 c.p.c. e 2476, co. 2, c.c., benché destinato a essere eseguito mediante la necessaria cooperazione degli amministratori della società cui è riferibile la documentazione oggetto di ostensione, deve intendersi rivolto esclusivamente a detto ente, il quale costituisce l’unico soggetto dotato di legittimazione passiva rispetto alla domanda cautelare. Non fa eccezione a tale regola la domanda ex art. 614 bis c.p.c., formulata al fine di garantire l’effettività della tutela invocata, non potendosi ancorare la legittimazione passiva dell’amministratore al solo fatto che l’esecuzione del provvedimento richiede necessariamente la cooperazione dell’organo gestorio della società reclamata.
Revoca del curatore speciale ex art. 78 c.p.c. per sostituzione del rappresentante dell’ente
Qualora nel corso del processo che veda coinvolta una società di capitali il cui rappresentante sostanziale e processuale si trovi in conflitto di interessi sia nominato un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., questo deve essere revocato in caso di sostituzione del rappresentante dell’ente con altro soggetto che non si trovi in situazione di conflitto.
In caso di soccombenza dell’attore le spese saranno liquidate in favore della società convenuta, in parte in favore della società costituita in persona del curatore speciale, in parte in favore della società costituita in persona del nuovo amministratore, per le fasi di rispettiva spettanza. Il compenso in favore del curatore speciale resta a carico della società convenuta nell’interesse della quale è stato nominato e alla quale spetta liquidarlo.
Azione di responsabilità per mala gestio nei confronti dell’amministratore di s.r.l.
Insussistenza del diritto di accesso alla documentazione sociale a favore del socio receduto
Il diritto del socio non amministratore di S.r.l. di accedere alla documentazione sociale ex art. 2476, comma 2, c.c. presuppone, in capo al richiedente, la qualità di socio (non amministratore) e, pertanto, non sussiste in capo al socio che abbia già esercitato il diritto di recesso dalla società.
La natura recettizia della dichiarazione di recesso comunicata dal socio, alla stregua di quanto previsto dall’art. 1334 c.c., è produttiva di effetti immediatamente nel momento in cui entra nella sfera di conoscenza della società e non al termine della procedura di modificazione definitiva della compagine sociale, consistente nella liquidazione della quota mediante acquisto della stessa da un socio o da un terzo. Pertanto, quando la manifestazione di volontà del socio recedente viene portata a conoscenza della società, il socio receduto si trasforma in un mero creditore nei confronti della società per il rimborso della quota e, conseguentemente, perde la propria legittimazione ad esercitare il diritto di controllo previsto dall’art. 2476, comma 2, c.c.
Il socio recedente è comunque tutelato dalla possibilità, prevista dall’art. 2476, comma 3, c.c., di richiedere al Tribunale la nomina di un esperto che, tramite relazione giurata, proceda alla determinazione del valore della quota al medesimo spettante.
Non vi sono oneri di forma per il trasferimento delle quote di s.r.l.
Non vi sono oneri di forma per il trasferimento della partecipazione di s.r.l., che può, dunque, avvenire, sia ad substantiam sia ad probationem, in forma libera. La forma, che pure continua ad essere richiesta, è solo ad regularitatem, nel senso che essa serve ai fini della iscrizione nel libro soci (se previsto nello statuto) e nel registro imprese. Si ha, cioè, una asimmetria fra forma per la validità (ad substantiam), che è libera, e forma per la pubblicità (ad regularitatem), che è la autentica notarile.
Diritto di controllo del socio non amministratore
In analogia con quanto previsto dall’art. 2261 c.c. in tema di controllo sulla gestione di società di persone da parte dei soci che non partecipano alla relativa amministrazione, anche nelle società a responsabilità limitata il diritto alla consultazione dei libri e documenti sociali è riconosciuto a qualunque socio non amministratore ai sensi dell’art. 2476 c.c., indipendentemente dalla consistenza della partecipazione di cui lo stesso sia titolare. Tale diritto comprende, quale necessario corollario, anche la facoltà di estrarre copia, a proprie spese, dei documenti esaminati.
Azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare: questioni processuali
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. per le s.p.a. e dall’art. 2476, co. 3 e 6, c.c. per le s.r.l., a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma – quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali -, implicando una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi e indipendenti, con conseguente possibilità per il curatore di cumulare i vantaggi di entrambe, sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione e dei limiti al risarcimento ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.
L’azione sociale, intrapresa ai sensi dell’art. 2476, co. 3, c.c., mira a far valere la responsabilità degli amministratori per quelle violazioni dei loro doveri che abbiano cagionato un pregiudizio patrimoniale alla società. Questi, infatti, sono chiamati ad adempiere ai doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, esponendosi a responsabilità per i danni derivanti dall’inosservanza dei cennati doveri. L’inadempimento degli amministratori ai loro obblighi può essere fatto valere direttamente dalla società sicché in ipotesi di esercizio della predetta azione nel caso di fallimento, la sostituzione del curatore alla società fallita è una manifestazione specifica del generale effetto per cui il curatore, ai sensi dell’art. 43 l. fall. sta in giudizio nelle controversie relative ai rapporti patrimoniali compresi nel fallimento.
L’insufficienza patrimoniale – cui si ricollega la responsabilità degli amministratori e dei sindaci della società verso i creditori – deve essere individuata nell’eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell’impresa, ovverossia in una situazione in cui l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, risulti insufficiente al soddisfacimento di questi ultimi. Essa va distinta dall’eventualità della perdita integrale del capitale sociale, dal momento che quest’ultima evenienza può verificarsi anche quando vi è un pareggio tra attivo e passivo perché tutti i beni sono assorbiti dall’importo dei debiti e, quindi, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio della società. L’insufficienza patrimoniale è una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, definita dall’art. 5 l. fall. come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, potendosi una società trovare nell’impossibilità di far fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro, così come potrebbe accadere l’opposto, vale a dire che l’impresa possa presentare una eccedenza del passivo sull’attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste (per esempio ricorrendo ad ulteriore indebitamento).
Il criterio dello sbilancio fallimentare può prospettarsi soltanto per quelle violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che proprio in ragione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore; o comunque per quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza. Il giudice non può pervenire in via automatica ad una liquidazione equitativa del danno secondo tale criterio, ma unicamente laddove il curatore, dopo aver allegato gli inadempimenti dell’amministratore almeno astrattamente idonei a porsi come causa del danno lamentato, indichi le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.
Responsabilità dell’amministratore e criteri di quantificazione del danno
Nell’ambito di un’azione per sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c., il periculum in mora deve essere fondato – cioè supportato dalla presenza o da elementi oggettivi, concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, oppure da elementi soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, ponga in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio – nonché riferito alla perdita della garanzia del credito e quindi all’eventualità che detto patrimonio subisca alterazioni tali da compromettere, in caso di inadempimento, la realizzazione coattiva del credito.
Nell’ambito di un’azione risarcitoria promossa contro un amministratore, in punto di quantificazione del danno, il criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare è applicabile quando la mancanza delle scritture contabili o l’insufficienza delle stesse sia addebitale al gerente. Qualora la mancanza delle scritture contabili sia invece imputabile al fallimento attore che ha mancato di produrle in giudizio, il danno è quantificabile secondo il criterio dei netti patrimoniali.
Responsabilità degli amministratori per aggravamento del dissesto; rapporti tra i giudizi civile e penale
Ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 652, co. 2, e 75, co. 2, c.p.p., la sentenza penale di assoluzione, ancorchè resa all’esito del dibattimento e benchè recante la formula assolutoria “perché il fatto non sussiste”, non fa stato nel giudizio civile promosso dopo l’esercizio dell’azione penale e proseguito con le modalità indicate dal secondo comma dell’art. 75 c.p.p., ovverosia senza il trasferimento dell’azione civile in sede penale mediante costituzione di parte civile, ovvero quando detta costituzione non era più possibile.
La separazione e l’autonomia dei giudizi civile e penale comportano che il giudizio civile sia disciplinato dalle sole regole sue proprie, che largamente si differenziano da quelle del processo penale, non soltanto sotto il profilo probatorio, ma anche, ad esempio, con riguardo alla ricostruzione del nesso di causalità, che risponde, nel processo penale, al canone della ragionevole certezza e, in quello civile, alla regola del più probabile che non.