Art. 2478 bis c.c.
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L’invalidità della delibera di approvazione del bilancio e la prova delle scritture contabili
Il termine previsto dall’art. 2364 c.c. – richiamato dall’art. 2478 bis c.c. per le società a responsabilità limitata – fa riferimento non all’approvazione del bilancio, bensì alla convocazione della relativa assemblea dei soci. Inoltre, la delibera di approvazione del bilancio di una società per azioni non è invalida per esser stata adottata dopo la scadenza del termine di quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale, stabilito dall’art. 2364, co. 2, c.c., o del termine più lungo, non superiore a sei mesi, dalla detta chiusura, fissato nell’atto costitutivo, conformemente alle previsioni dell’ultima parte della disposizione citata.
La violazione dei canoni di cui all’art. 2423, co. 2, c.c. comporta l’illiceità della delibera assembleare di approvazione del bilancio per violazione di norme imperative in materia contabile. Nondimeno, la nullità della delibera può essere rilevata solo nella misura in cui la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo d’esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza; oppure in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte
L’omessa indicazione della evoluzione prevedibile della gestione negli esercizi futuri riguarda informazioni che sono strutturalmente incompatibili con una eventuale invalidità del bilancio posto che ovviamente non risulta, neppure in astratto, idonea a incidere sulla validità del bilancio consuntivo dell’esercizio trascorso. In particolare, la relazione sulla gestione disciplinata dall’art. 2428 c.c., che si caratterizza per una funzione di illustrazione ampiamente valutativa della situazione economico/gestionale della società non scevra da proiezioni previsionali, non è oggetto di delibera assembleare in quanto non propriamente parte del bilancio d’esercizio, ed invece costituisce un “collegato” al bilancio per espressa scelta normativa. Ne discende che una mancanza che lo riguarda non può formalmente figurare come vizio determinante l’illiceità dell’oggetto di deliberazione assembleare del bilancio. Tuttavia, la delibera di approvazione del bilancio è comunque nulla allorquando i vizi informativi che affliggono la relazione sulla gestione siano tali da rendere non chiaramente intelligibile o addirittura da falsare sul punto il bilancio stesso, come potrebbe avvenire per le informazioni relative alla situazione finanziaria della società che la relazione sulla gestione necessariamente deve dare, situazione finanziaria che è, invero, anch’essa oggetto della rappresentazione veritiera e corretta che il bilancio deve rendere ex art. 2423 c.c.; in tal caso, infatti, siffatta carenza si tradurrebbe in un vizio del bilancio. In ogni caso, tali vizi informativi possono comportare l’invalidità del bilancio se e in quanto la loro capacità decettiva sia tale da inficiare chiarezza, correttezza e veridicità delle corrispondenti voci di bilancio.
L’art. 2709 c.c., nello statuire che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore, pone una presunzione semplice di veridicità, a sfavore di quest’ultimo. Pertanto, tali scritture, come ammettono la prova contraria, così possono essere liberamente valutate dal giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento probatorio e il relativo apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se sufficientemente motivato. In particolare, le suddette scritture non potranno ricondursi all’ambito dell’art. 2730 c.c. (confessione stragiudiziale), non consistendo necessariamente nella dichiarazione di fatti sfavorevoli al dichiarante e non essendo rivolte a un’altra parte, precisando che ad esse non può neppure assegnarsi valore di presunzione assoluta, giacché la ratio della norma di cui all’art. 2709 c.c. non si riconnette a un interesse generale preclusivo della prova contraria, in mancanza del quale le presunzioni deve ritenersi abbiano sempre valore di presunzione relativa, così da essere compatibili con i principi e le garanzie sancite dagli artt. 3 e 24 Cost. Ne consegue che la prova che il bilancio di una società di capitali, regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell’impresa soggetta a registrazione, fornisce in ordine ai debiti della società medesima è affidata alla libera valutazione del giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento acquisito agli atti di causa.
Il bilancio nelle s.r.l. e le modalità di dazione di denaro da parte del socio alla società
L’art. 2429, co. 3, c.c., applicabile anche alle s.r.l., secondo il quale il progetto di bilancio deve restare depositato in copia nella sede della società nei quindici giorni che precedono l’assemblea, attribuisce a tutti (e soltanto) i soci un diritto soggettivo perfetto alla preconoscenza del fascicolo di bilancio. Essa è volta a consentire una più informata, e quindi adeguata, espressione di voto al riguardo, tanto che il bilancio deve rimanere consultabile fino alla sua intervenuta approvazione anche il giorno stesso della riunione. Costituisce quindi in materia, nel bilanciamento fra l’interesse a una celere approvazione del bilancio e quello dei soci a conoscere in modo approfondito tale fondamentale snodo documentativo della gestione sociale, un presidio informativo inderogabile, tale per cui il deposito stesso e il suo termine quindicinale di durata a ritroso può essere compresso soltanto ove tutti i soci espressamente vi acconsentano. In caso di contestazione da parte di un socio dell’adempimento di tale obbligo, spetta alla società provare di avervi invece assolto.
Varie sono le modalità di dazione di denaro da parte del socio alla società, ciascuna munita di una propria causa concreta, onde dalla relativa qualificazione discendono conseguenze eterogenee rilevanti e il giudice del merito deve verificarne la natura, attraverso un’analisi volta a individuare la causa del negozio intervenuto fra socio e società. Le diverse figure in cui la dazione del socio includono i conferimenti, i finanziamenti dei soci, i versamenti a fondo perduto o in conto capitale e i versamenti finalizzati a un futuro aumento di capitale. Decisiva nella qualificazione della dazione di un socio è l’interpretazione della volontà delle parti, occorrendo, in particolare, accertare se si sia trattato di un rapporto di finanziamento riconducibile allo schema del mutuo o di un contratto atipico di conferimento, e, in quest’ultimo caso, se esso sia stato, in modo inequivoco, condizionato o no, nella restituzione, a un futuro aumento del capitale nominale della società, indagine che può tener conto di ogni elemento del caso concreto capace di svelare la comune intenzione delle parti e gli interessi coinvolti, tenendo conto del fatto che l’onere di provare la natura di finanziamento è dell’attore che agisce per la restituzione.
Il capitale sociale può essere eliso dalle perdite solo dopo l’assorbimento delle riserve, che vengono intaccate dalle perdite sulla base di un ordine successivo: dalla riserva meno vincolata e più disponibile alla riserva più vincolata e meno disponibile, qualificazione che tiene conto del grado di facilità con cui la società stessa potrebbe deliberarne la destinazione ai soci. Se il capitale sociale ha un grado di indisponibilità maggiore di quello relativo alle riserve legali, le riserve statutarie e quelle facoltative create dall’assemblea sono liberamente disponibili; pertanto, devono essere utilizzati, nell’ordine, prima le riserve facoltative, poi quelle statutarie, indi quelle legali e, da ultimo, il capitale sociale. Si tratta di principio posto a tutela di un interesse generale, che trascende quello del singolo socio, essendo dettato, in particolare, a protezione dell’affidamento che i terzi abbiano fatto sulla consistenza del capitale sociale, che, perciò, non può essere intaccato prima che siano state esaurite le altre voci del patrimonio stesso.
Legittimazione dell’ex amministratore all’impugnazione della delibera consiliare
In materia di impugnazione delle delibere consiliari deve escludersi che la perdita della carica di amministratore renda improcedibile l’azione proposta da quest’ultimo, tenuto anche conto che l’eventuale cessazione dell’incarico potrebbe dipendere da causa non imputabile alla sua volontà, come nel caso di revoca o di cessazione per scadenza del mandato. Del resto, nemmeno per l’impugnazione delle delibere assembleari da parte degli amministratori l’art. 2378 c.c. esige il mantenimento della carica di questi ultimi fino alla fine del giudizio e, dunque, evidentemente ciò deve valere per l’impugnazione delle delibere consiliari.
Nel procedimento che abbia ad oggetto l’impugnazione di una deliberazione assembleare sostituita da una nuova deliberazione manca l’interesse ad agire dell’attore poiché, anche qualora l’impugnazione fosse accolta, questa non potrebbe avere alcun effetto per via della già avvenuta sostituzione in ambito endosocietario.
Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto anche l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società, atteso che le norme dirette a garantire i relativi requisiti non solo sono imperative ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, trascendono l’interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili.
La competenza del tribunale prevale su quella arbitrale anche se l’impugnazione ha ad oggetto solo vizi formali
In caso di impugnazione di una delibera assembleare avente ad oggetto l’approvazione del bilancio di esercizio, quandanche introdotta per vizi procedurali, la clausola compromissoria presente nello statuto sociale non può trovare applicazione là dove unitamente agli stessi vizi formali vengano introdotti altri motivi di impugnazione, di natura sostanziale, aventi ad oggetto diritti indisponibili, tali da provocare la necessità di una trattazione congiunta ex art 2378 c.c, sul tenore della giurisprudenza di legittimità per la quale “Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall’impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, trascendono l’interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili” (Cass. 20674/2016 e Cass 14465/2019).
La competenza del Tribunale prevale in ogni caso su quella arbitrale quandanche l’impugnazione si fondi solo su vizi formali e prescinda dal merito del documento contabile e del rispetto dei principi di cui all’art 2423 e segg c.c., dal momento che l’art 2378 comma 5 c.c., norma speciale anche rispetto all’art 819 ter c.p.c., stabilisce che tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazione devono essere istruite congiuntamente e decise con unica sentenza.
Nel caso in cui una o più parti abbiano impugnato una delibera di approvazione del bilancio, a cui hanno fatto precedere altre impugnazioni relative agli anni precedenti, l’interesse ad agire degli impugnanti non ne risulta caducato, perdurando l’interesse dei soci ad impugnare, per i medesimi vizi, tutte le delibere di approvazione dei bilanci successive a quella per prima impugnata, e ciò pur considerando l’esistenza nel sistema dell’obbligo degli amministratori ex artt. 2434 bis co 3 c.c. e 2377 co 7 c.c. di rivedere, in conformità al decisum definitivo sull’impugnazione del primo bilancio, non solo il bilancio dell’esercizio in corso, ma anche i bilanci intermedi. Infatti, il socio legittimato ad impugnare il bilancio è portatore di un diritto verso la società a ricevere con il documento contabile informazioni veritiere e corrette e questo diritto è tutelato con la facoltà del socio, attribuita a determinate condizioni, di insorgere contro le delibere che ritiene illegittime; si tratta di una tutela endosocietaria reale affatto diversa da quella che il socio stesso può indirettamente conseguire in forza dell’intervento dell’organo amministrativo tenuto ad adeguarsi all’esito della prima impugnazione. Peraltro, va considerato che il giudizio di impugnazione, se si conclude in senso positivo per il socio impugnante, comporta la caducazione endosocietaria della delibera invalida con efficacia verso tutti i soci ex art 2377 co 7 c.c. e la certezza di questo risultato non è offerta al socio dall’obbligazione dell’amministratore di rettificare i bilanci successivi a quello approvato con la delibera annullata.
L’art. 2429, comma 3, applicabile alle S.r.l. in forza del rinvio dell’art. 2478 bis c.c., stabilisce che “il bilancio, con le copie integrali dell’ultimo bilancio delle società controllate e un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio delle società collegate, deve restare depositato in copia nella sede della società, insieme con le relazioni degli amministratori, dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, durante i quindici giorni che precedono l’assemblea, e finché sia approvato. I soci possono prenderne visione”. In proposito, costituisce giurisprudenza consolidata quella per cui “l’obbligo di deposito del fascicolo di bilancio presso la sede sociale, nei quindici giorni precedenti l’assemblea per la sua approvazione ai sensi dell’art. 2429 co. 3 c.c., è un obbligo – distinto da quello di convocazione dell’assemblea – previsto a pena di annullabilità della delibera assembleare di approvazione del bilancio, a prescindere dalla sua riproduzione nello statuto. La società – nei limiti del proprio apprezzabile ‘sacrificio organizzativo’- deve adempiervi mettendo i soci in condizione di esercitare effettivamente e senza pregiudizio il proprio diritto alla informativa bilancistica preassembleare. Tale diritto può essere compresso soltanto ove tutti i soci espressamente vi acconsentano con l’approvazione di una specifica norma statutaria” (così Tribunale di Milano, sentenza 31 marzo 2021). Ne consegue che quello in commento sia evidentemente un adempimento necessario affinché i soci possano assumere una decisione consapevole in sede di assemblea sul progetto di bilancio predisposto dagli amministratori, la cui prova di aver adempiuto a tale prescrizione, nel giudizio di impugnazione, grava sulla società; in mancanza del rispetto della disposizione normativa ovvero in assenza dell’assolvimento del relativo onere della prova, non può che conseguire l’annullamento della delibera eventualmente impugnata.
Gli utili non conseguiti dalla società a causa della condotta dannosa dell’amministratore non costituiscono danno diretto del socio
L’azione di responsabilità contemplata dall’art. 2476 comma 7 (di natura extracontrattuale in quanto applicazione dell’art. 2043 c.c.) presuppone l’esistenza di un danno subito dal singolo socio direttamente, e non come mero riflesso del danno sociale di cui solo la Società direttamente o per via surrogatoria del socio ex art 2476 co 3 c.c. può chiedere il risarcimento all’amministratore. In particolare la mancata percezione di utili costituisce danno diretto del socio solo in ipotesi (i) di utili effettivamente conseguiti dalla società e (ii) di cui si sia deliberata la distribuzione al socio; qualora, invece, si è dedotto che gli utili non sono stati conseguiti dalla società a causa della condotta dannosa dell’amministratore, il danno lamentato dal socio non è un danno diretto.
Scopo informativo del deposito del progetto di bilancio di s.r.l.
L’obbligo del deposito del progetto di bilancio e del relativo fascicolo nei quindici giorni precedenti la data dell’assemblea convocata per l’approvazione, di cui agli artt. 2429 e 2478-bis c.c., è funzionale al diritto di piena informazione da parte dei soci chiamati in assemblea a votare il bilancio predisposto dagli amministratori. Spetta alla società convenuta, sollevata la contestazione di inadempimento della relativa obbligazione, dimostrare l’esatto adempimento.
Qualora la società convenuta non adempia esattamente al deposito del progetto di bilancio, lo scopo informativo risulta comunque pienamente soddisfatto quando il socio sia venuto a conoscenza, già prima dell’assemblea, del contenuto del bilancio sul quale è chiamato a votare e ne abbia esaminato il contenuto, così che la mancata contestazione, in sede assembleare, dell’osservanza del termine integra un comportamento concludente del socio che dimostra la sua rinuncia al deposito durante i quindici giorni che precedono la convocazione.
Impugnativa di bilancio: limiti della compromettibilità in arbitri e cessata materia del contendere
Il limite alla compromettibilità in arbitri è dato dalla indisponibilità dei diritti in discussione. La controversia non è suscettibile di rimessione alla decisione arbitrale se oggetto dell’impugnativa è la delibera di approvazione del bilancio, sia per difetto di idonea informativa, sia per vizi del bilancio stesso, del quale si contestano la veridicità, la completezza e la chiarezza.
Quando la delibera di approvazione del bilancio è stata revocata e sostituita con una nuova delibera conforme a legge che ha approvato un nuovo progetto di bilancio, modificato ed integrato rispetto al precedente, anch’esso conforme a legge, ai sensi dell’art. 2377, comma VIII, richiamato dall’art. 2479-ter ultimo comma c.c., non può più pronunziarsi l’annullamento della deliberazione impugnata e va dichiarata la cessazione della materia del contendere.
La responsabilità del socio di s.r.l. ex art. 2476, co. 8, c.c. Gli obblighi e la responsabilità del liquidatore
Affinché possa ravvisarsi la responsabilità del socio in relazione agli atti compiuti dagli amministratori ex art. 2476, co. 7 [ora 8], c.c., è necessario che, sotto il profilo oggettivo, questi abbia concorso nell’atto di gestione posto in essere dall’amministratore (decidendolo o, comunque, autorizzandolo, anche al di fuori delle sedi “istituzionali”) e che, sotto il profilo soggettivo, la condotta sia sorretta da intenzionalità; questa va interpretata quale consapevolezza dell’antigiuridicità dell’atto e con accettazione, quindi, del rischio che da tale condotta possano derivare danni alla società, ai soci e ai terzi. In altre parole, ai fini della sussistenza della responsabilità in capo al socio è sufficiente che egli abbia deciso ed autorizzato e quindi abbia concorso al compimento dell’atto, nonostante avesse la consapevolezza della sua contrarietà a norme o a principi generali dell’ordinamento giuridico, con l’accettazione che da tale condotta possano derivare danni.
Il ritardo nella presentazione all’assemblea del bilancio di esercizio non è di per sé automaticamente produttivo di danno. I bilanci, infatti, registrano gli accadimenti economici che interessano l’attività di impresa, non li determinano, sì che dalla loro irregolare redazione o da ritardi nella relativa presentazione non può discendere ex se un danno in capo alla società idoneo a dar luogo a responsabilità risarcitoria, potendo ascriversi rilievo solo a quegli atti di mala gestio che abbiano cagionato (ex art. 1223 c.c.) un pregiudizio.
L’art. 2489, co. 1, c.c. conferisce al liquidatore una sfera di discrezionalità legata al compimento di tutti quegli atti che, anche se non strettamente collegati alla liquidazione del patrimonio sociale, sono a ciò (anche solo indirettamente) finalizzati, in quanto mezzi idonei ad assicurarne un maggiore o migliore risultato, per ottenere così il maggior attivo possibile e procedere al pagamento dei debiti sociali e alla ripartizione del residuo tra i soci. L’ampio potere discrezionale attribuito ai liquidatori va tuttavia esercitato nel rispetto dell’obbligo prescritto dall’art. 2489, co. 2, c.c. di agire con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico. Il rinvio generale operato da tale disposizione alle norme sulla responsabilità degli amministratori consente l’esercizio nei confronti del liquidatore delle azioni di responsabilità per danni previste dagli artt. 2392 ss. c.c.
In tema di responsabilità dell’amministratore di una società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata, l’insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione (c.d. business judgment rule) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.
Delibera di sospensione della distribuzione degli utili e formalità dell’iscrizione dei soci nel registro delle imprese
La delibera di distribuzione degli utili fa sorgere in capo al socio (ancora) proprietario delle quote – in base al mero dato formale dell’iscrizione al registro delle imprese – il diritto individuale alla corresponsione dei dividendi, anche
nel caso in cui si sia nel frattempo perfezionato un negozio traslativo delle quote medesime ma in assenza del deposito dell’atto e dell’iscrizione.
La delibera con la quale l’assemblea dei soci vota la distribuzione degli utili può incidere sull’an e sul quantum, ma non può stabilire peculiari modalità di distribuzione o ripartizione tra i soci stessi che non siano previste nell’atto costitutivo o, in mancanza, che deroghino al principio c.d. di proporzionalità. Tantomeno, ai sensi dell’art. 2478-bis, co. 3, c.c., l’assemblea può disporre la distribuzione degli utili per una parte delle quote di titolarità di alcuni soci e l’accantonamento per altra parte di titolarità di altri e diversi soci, in quanto tale decisione lederebbe ingiustificatamente e iniquamente il diritto individuale di questi ultimi alla corresponsione degli utili.
Annullabilità delle delibere assembleari per mancato deposito tempestivo del bilancio
L’obbligo di deposito del fascicolo di bilancio presso la sede sociale, nei quindici giorni precedenti l’assemblea per la sua approvazione ai sensi dell’art. 2429 co. 3 c.c, è un obbligo – distinto da quello di convocazione dell’assemblea – previsto a pena di annullabilità della delibera assembleare di approvazione del bilancio, a prescindere dalla sua riproduzione nello statuto. La società – nei limiti del proprio apprezzabile ‘sacrificio organizzativo’- deve adempiervi mettendo i soci in condizione di esercitare effettivamente e senza pregiudizio il proprio diritto alla informativa bilancistica preassembleare. Tale diritto può essere compresso soltanto ove tutti i soci espressamente vi acconsentano con l’approvazione di una specifica norma statutaria.
Le eventuali precedenti violazioni, seppur sanate, del combinato disposto degli artt. 2478-bis co. 1 e 2429 co. 2 c.c., sono inidonee a sanare in futuro le successive laddove azionate in giudizio.
In caso di contestazione da parte di un socio dell’adempimento dell’onere informativo in esame spetta alla società provare di avervi invece assolto.