Art. 2479 c.c.
129 risultati
Compenso dell’amministratore di s.r.l.: modifica unilaterale da parte dei soci e necessità di un’accettazione espressa
La decisione dei soci di sospendere il compenso riconosciuto dall’assemblea in favore del presidente del CdA non esprime alcuna efficacia rispetto al rapporto con l’amministratore. Si tratta infatti di un atto che, fermi i suoi effetti interni alla società, non può incidere unilateralmente sul contratto di amministrazione, da ricondursi al rapporto di mandato. Solo la comunicazione di tale decisione all’amministratore e l’accettazione da parte di quest’ultimo può modificare i termini del rapporto obbligatorio, salva la possibilità per l’amministratore in questione di rinunciare all’incarico. Pertanto, in mancanza di prova della comunicazione e dell’accettazione della sospensione del compenso, attesa l’inefficacia della decisione dei soci rispetto al rapporto in corso con l’amministratore, lo stesso mantiene il suo diritto al corrispettivo.
L’accettazione di un pagamento parziale non fa di per sé presumere la rinuncia alla parte residua del credito, essendo facoltà del creditore, ai sensi dell’articolo 1181 c.c., accettare un pagamento parziale, senza necessità di riserva per il residuo. In mancanza di prova circa la rinuncia espressa, la mera circostanza che la creditrice accetti pagamenti parziali non consente di presumere che la stessa abbia così intenzione di rinunciare alla quota di credito rimasta insoluta.
Invalidità delle decisioni dei soci di s.r.l.
L’illegittima formazione delle maggioranze ai fini delle decisioni dei soci nella s.r.l. non costituisce in ogni caso vizio di nullità, ma di mera annullabilità della delibera. La nullità è, infatti, prevista soltanto per il caso di decisioni aventi oggetto illecito o impossibile oppure prese in assenza assoluta di informazioni (art. 2479 ter, co. 3, c.c.) oppure che dispongono modifiche dell’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite. Per tutte le decisioni che non sono state prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo è, invece, dettato (art. 2479 ter, co. 1, c.c.) il regime della annullabilità.
È inammissibile il ricorso ex art. 700 c.p.c. volto a ottenere l’inibizione ex tunc dell’efficacia di una decisione dei soci di s.r.l.
Gli effetti che possono essere assicurati ex art. 700 c.p.c. sono appunto gli effetti che la sentenza di merito produrrà nel mondo materiale e giuridico; non può invece essere anticipato, semplicemente, il pronunciato giudiziale. Fuori dei casi speciali previsti dalla legge (ad esempio, l’accertamento cautelare di non contraffazione, previsto dal codice della proprietà intellettuale) non è ammissibile un provvedimento cautelare di mero accertamento.
Le azioni di accertamento del Fallimento sugli amministratori della s.r.l.: natura indebita di compensi, rimborsi spese e acconti sugli utili
Nel caso in cui il Fallimento di una s.r.l. abbia esercitato l’azione finalizzata a conseguire la restituzione di somme indebitamente corrisposte agli amministratori, ai sensi dell’art. 2033 c.c., non opera il termine di prescrizione quinquennale ma, al contrario, il diritto è soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale ex art 2946 c.c.
La disciplina dei compensi degli amministratori prevista per le s.p.a. dall’art. 2389 c.c. si estende analogicamente anche alle s.r.l.; in assenza di una determinazione all’interno dell’atto costitutivo ovvero da parte dell’assemblea dei soci, il quantum del compenso dovrà essere stabilito giudizialmente.
L’atto di riassunzione di un giudizio davanti ad altro giudice, dopo che il primo adito si sia dichiarato incompetente, non introduce un nuovo grado di giudizio sicché la riassunzione non risulta abbisognevole di nuova autorizzazione del giudice delegato.
Violazione di una clausola di prelazione e tutela reale
Alla violazione di una clausola di prelazione statutaria non consegue né la nullità né l’invalidità né l’inefficacia degli atti di cessione né tantomeno la necessità di una “retrocessione” delle quote cedute. Tale violazione è sanzionata con la sola tutela reale consistente nel rendere inefficace l’atto di trasferimento nei confronti della società.
A tal fine, colui che intende agire per ottenere la declaratoria di tale inopponibilità alla società deve provare l’esistenza di un proprio effettivo interesse all’acquisto della partecipazione ceduta, presupposto necessario anche ai fini del ricorso al criterio equitativo ex art. 1226 c.c. per la determinazione del danno lamentato.
False attestazioni in verbali assembleari e compromettibilità in arbitrato
L’inserimento di false attestazioni in un verbale assembleare non si pone in contrasto “con le norme dettate a tutela di interessi generali che trascendono quelli del singolo socio”, cosicché un’eventuale controversia avente ad oggetto l’impugnazione della delibera contenente tali attestazioni non sarebbe sottratta alla competenza arbitrale: ciò sia perché l’impugnazione di delibera assembleare non è certamente svincolata dall’iniziativa di parte e come tale è, quindi, compromettibile in arbitri, sia perché in ordine alla contestazione delle attestazioni contenute in un verbale di assemblea ordinaria di società di capitali, la Suprema Corte ha stabilito che il verbale assembleare sottoscritto dal presidente e dal segretario dell’assemblea ha natura di scrittura privata e, pur essendo dotato di una sua efficacia probatoria, non è tuttavia dotato di fede privilegiata, potendo i soci, pertanto, far valere eventuali sue difformità rispetto alla realtà con qualsiasi mezzo di prova.
Rinvio dell’assemblea dei soci e modalità di convocazione
Il disposto di una norma che – come l’art. 2374 c.c. – è stata dettata soltanto per la società azionaria non sembra applicabile analogicamente anche alle società a responsabilità limitata, in quanto il legislatore ha riconosciuto ai soci che non partecipano all’amministrazione della società penetranti poteri di controllo costituiti dal diritto di avere notizie dagli amministratori sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri e i documenti relativi all’amministrazione.
Il rinvio ad altra data della prosecuzione dei lavori dell’assemblea impone in ogni caso alla società di procedere ad una nuova convocazione dei soci assenti all’assemblea di cui viene disposto il rinvio. Il socio, infatti, ha diritto ad essere preventivamente convocato all’assemblea nei modi e nei termini stabiliti dall’atto costitutivo, o in mancanza, secondo quelli previsti dalla legge, affinché questi venga messo nelle condizioni di esercitare in maniera informata il diritto di voto in ragione della propria quota partecipativa e di partecipare ed intervenire nella discussione sociale, come espressamente dall’art. 2479, co. 5 c.c. per le società a responsabilità limitata. E ciò perché la convocazione del socio è strumentale all’esercizio dei suddetti fondamentali diritti sociali.
Convocazione dell’assemblea da parte del socio di S.r.l.
È orientamento costante (si veda ad es. Trib. Milano n. 46286/2015) la non configurabilità di vizi in caso di convocazione dell’assemblea da parte del socio di S.r.l.: per tale tipo di società è ammessa infatti la diretta convocazione dell’assemblea da parte dei soci che detengano la partecipazione di almeno un terzo del capitale sociale. Risulterebbe infatti del tutto superflua una previsione legislativa che preveda il potere dei soci di sottoporre all’assemblea degli argomenti su cui deliberare (art. 2479 comma 1 c.c.) senza ammettere previamente l’esistenza dello strumentale potere di convocarla. Inoltre tale potere, di cui sono titolari i soci detentori della summenzionata minoranza qualificata, è configurato come concorrente rispetto a quello eventualmente attribuito all’amministratore dall’autonomia statutaria, anche in considerazione della valorizzazione all’iniziativa e al ruolo del socio all’interno della società a responsabilità limitata, promossa dal legislatore del 2003.
Nel caso in cui il compenso dell’amministratore non risulti determinato né al momento della sua nomina, contemporanea alla costituzione della SRL, né da successiva delibera assembleare, la misura del compenso va liquidata – secondo un consolidato e condivisibile orientamento – in sede giudiziaria, senza che al riguardo possa valere quale rinuncia implicita la mera inerzia dell’attore nel periodo antecedente la sua revoca.
La vendita dell’unico cespite aziendale incide sull’oggetto sociale ed è di competenza dei soci
In tema di determinazione dei poteri attribuiti agli amministratori delle società di capitali, non trova applicazione la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione prevista con riguardo ai beni degli incapaci dagli artt. 320, 374 e 394 c.c., dovendosi invece fare riferimento agli atti che rientrano nell’oggetto sociale – qualunque sia la loro rilevanza economica e natura giuridica – pur se eccedano i limiti della cosiddetta ordinaria amministrazione, con la conseguenza che, salvo le limitazioni specificamente previste nello statuto sociale, rientrano nella competenza dell’amministratore tutti gli atti che ineriscono alla gestione della società, mentre eccedono i suoi poteri quelli di disposizione o alienazione, suscettibili di modificare la struttura dell’ente e perciò esorbitanti (e contrastanti con) l’oggetto sociale. Ai fini della valutazione della pertinenza di un atto degli amministratori di una società di capitali all’oggetto sociale, e della conseguente efficacia dello stesso ai sensi dell’art. 2384 c.c., il criterio da seguire è quello della strumentalità, diretta o indiretta, dell’atto rispetto all’oggetto sociale, inteso come la specifica attività economica (di produzione o scambio di beni o servizi) concordata dai soci nell’atto costitutivo in vista del perseguimento dello scopo di lucro proprio dell’ente. Non sono invece sufficienti, al predetto fine, né il criterio della astratta previsione, nello statuto, del tipo di atto posto in essere (la cui elencazione non potrebbe mai essere completa, data la serie infinita di atti, di vario tipo, funzionali all’esercizio di una determinata attività, né assicurando l’espressa previsione statutaria di un atto tipico che lo stesso sia, in concreto, rivolto allo svolgimento di quella attività), né il criterio della conformità dell’atto all’interesse della società (in quanto l’oggetto sociale costituisce, ai sensi dell’art. 2384 c.c., un limite al potere rappresentativo degli amministratori, i quali non possono perseguire l’interesse della società operando indifferentemente in qualsiasi settore economico, ma devono rispettare la scelta del settore in cui rischiare il capitale fatta dai soci nell’atto costitutivo).
La mera vendita dell’unico cespite aziendale, quale l’immobile adibito a sede di svolgimento dell’attività d’impresa, incide sostanzialmente sull’oggetto sociale e dunque rientra nel novero degli atti riservati alla competenza funzionale dell’assemblea dei soci, secondo lo schema delineato dall’art. 2479, co. 2, n. 5, c.c. che pone un limite legale al potere di rappresentanza dell’amministratore.
L’eccedenza dell’atto rispetto ai limiti dell’oggetto sociale, ovvero il suo compimento da parte dell’amministratore al di fuori dei poteri conferitigli, non integra un’ipotesi di nullità, ma di inefficacia e di opponibilità dell’atto medesimo ai terzi; è, dunque, rimesso alla società, e solo ad essa, di respingere gli effetti dell’atto, sicché deve correlativamente esserle riconosciuto il potere di assumere ex tunc quegli effetti, attraverso la ratifica, ovvero di farli preventivamente propri, attraverso una delibera autorizzativa, capace di rimuovere i limiti del potere rappresentativo dell’amministratore. Ne deriva che ogni questione relativa alla estraneità dell’atto compiuto dall’amministratore rispetto all’oggetto sociale è da ritenersi irrilevante a seguito e per effetto dell’adozione di una delibera di autorizzazione preventiva, o di ratifica successiva, adottata dalla società, posto che tale delibera impegna la società medesima alla condotta di essa esecutiva e ad essa conforme posta in essere dall’organo di gestione, idonea o meno che sia rispetto al perseguimento dell’oggetto sociale.