Art. 2479 ter c.c.
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Non compromettibilità in arbitri delle delibere di impugnazione del bilancio e la ratio dell’art. 2434 bis c.c.
L’art. 34 d. lgs. n. 5/2003 prevede la devolubilità ad arbitri di alcune, ovvero di tutte, le controversie insorgenti tra soci o tra i soci e la società, che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. Non è compromettibile in arbitri la delibera concernente la veridicità e la chiarezza del bilancio; tali norme, infatti, non sono solo imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dell’interesse dei singoli soci ad essere informati dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni anno, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto.
Con riferimento specifico alle delibere di approvazione del bilancio, sono annullabili quelle adottate in presenza di violazioni procedimentali nella formazione del bilancio; sono viceversa nulle le deliberazioni di approvazione del bilancio caratterizzate dalla violazione di precetti inderogabili, sia sotto il profilo formale (ad esempio, per l’omessa convocazione del socio alle assemblee e, dunque, in caso di assoluta assenza di informazione), sia sotto il profilo sostanziale (veridicità e correttezza del contenuto del bilancio).
L’art. 2434 bis c.c., applicabile alle s.r.l. in virtù del rinvio compiuto dall’art. 2479 ter c.c., stabilisce poi un ulteriore limite all’impugnabilità delle delibere che attengono all’approvazione del bilancio, per le quali le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che sia avvenuta l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo. L’accertata invalidità di un bilancio non potrebbe ripercuotersi su quello successivo, tenendo conto dell’autonomia di ciascuno di questi e dell’esigenza di assicurare solo la continuità formale dei criteri utilizzati nella rispettiva redazione. In altre parole, la prescrizione in esame finisce per far diventare inutile l’impugnativa del bilancio precedente. Ed infatti, ove quello successivo contenga lo stesso vizio, occorrerà impugnarlo autonomamente; ove invece contenga emenda dei vizi originari, ancor di più potrebbe ritenersi cessato qualunque interesse all’impugnativa del primo bilancio. La ratio della previsione dell’art. 2434 bis c.c. è infatti quella di attuare, esprimendolo nella fattispecie concreta, il generale principio di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), poiché – secondo la valutazione della fattispecie stessa data dal legislatore, letta alla luce del principio di continuità dei bilanci –, approvato il bilancio successivo, la rappresentazione data, con il bilancio precedente, della situazione economico patrimoniale della società ai soci ed ai terzi ha esaurito le sue potenzialità informative (ed organizzative), e dunque anche le sue potenzialità decettive, dovendo invece i destinatari dell’informazione, per ogni valutazione e decisione organizzativa conseguente, far riferimento all’ultimo bilancio approvato. Tradotta questa visione ordinamentale in termini di interesse ad agire, ne emerge con evidenza il difetto con riguardo all’impugnativa di un bilancio superato dall’approvazione di quello successivo.
Mancata impugnazione della delibera di approvazione del bilancio sostitutiva di quella invalida e carenza di interesse ad agire
L’interesse ad agire del socio dissenziente viene meno qualora quest’ultimo – dopo aver impugnato la delibera di approvazione del bilancio di esercizio – ometta di impugnare la delibera approvativa del bilancio sostitutivo. Infatti, l’accoglimento della domanda non produrrebbe alcuna utilità concreta all’attore rispetto alla lesione denunciata ed al sottostante interesse sostanziale. L’impugnante non potrebbe conseguire, cioè, alcun bene della vita dall’eventuale accoglimento della propria pretesa, giacché il documento contabile gravato è stato nel frattempo sostituito, in ambito endosocietario, da un altro dotato di autonoma efficacia.
Se il socio impugnante una delibera di approvazione del bilancio d’esercizio della società non ha impugnato anche la delibera sostitutiva, questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endo-societario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito la invalidità in sede processuale, con il che viene meno (non già la materia del contendere ma) lo stesso interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endo-societario del deliberato censurato con altro comunque efficace.
Abuso di maggioranza ed esercizio dei diritti sociali relativi a una partecipazione conferita in trust
L’abuso del diritto della maggioranza dei soci si sostanzia in una lesione del diritto del socio di minoranza, in violazione del canone di correttezza e buona fede, che impone la salvaguardia nell’interesse comune della società. In particolare, l’abuso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari quando la deliberazione: (i) non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società; deve pertanto trattarsi di una deviazione dell’atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale; (ii) sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli poiché è rivolta al conseguimento di interesse extrasociali. Della prova della sussistenza dell’eccesso di potere è onerata, ex art. 2697 c.c., la parte che, deducendo tale vizio, assume l’illegittimità della deliberazione. L’annullabilità della delibera assembleare per abuso di maggioranza costituisce l’unica ipotesi in cui il giudice può procedere ad un esame nel merito della deliberazione assembleare e non di mera legalità formale.
L’invalidità della delega conferita da un socio a un proprio rappresentante per il voto in un’assemblea di s.r.l. si risolve in un motivo di annullamento della deliberazione qualora il voto espresso dal non legittimato sia stato determinante.
Nell’eventualità di impugnazione di delibera assembleare, incombe sulla società l’onere di provare che tutti i soci siano stati tempestivamente avvisati della convocazione; tale prova può essere fornita anche tramite presunzioni.
Il trust non è un ente dotato di personalità giuridica, ma un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, nell’interesse di uno o più beneficiari, e formalmente intestati al trustee, il quale, pertanto, disponendo in via esclusiva dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato, è l’unico soggetto legittimato a farli valere nei rapporti con i terzi, anche in giudizio. Ne consegue che, nell’ipotesi di partecipazione sociale conferita in trust, il suo trustee è l’unico soggetto legittimato all’esercizio dei relativi diritti sociali.
Inesistenza, nullità e annullabilità della delibera assembleare
La disciplina in materia di vizi determinanti l’annullamento e la nullità delle delibere assembleari è autonoma rispetto alle norme generali che sanciscono le ipotesi di nullità e annullabilità dei contratti. In particolare, mentre nella materia negoziale l’azione di nullità ha portata generale poiché fondata sulla contrarietà dell’atto a norme imperative ed è l’azione di annullamento ad essere speciale (cioè esperibile nei soli casi previsti dalla legge), nel diritto societario, al contrario, la regola generale è quella dell’annullabilità.
In materia societaria, la categoria della nullità ha carattere residuale ed è limitata alle ipotesi di contrasto del contenuto di una deliberazione con norme preposte a tutela di interessi generali. Viceversa, il contrasto con norme volte alla tutela di interessi dei singoli soci o gruppi di essi (ossia dirette a regolare la fase procedimentale e le modalità di formazione della volontà dell’ente societario) determina di per sé la semplice annullabilità della deliberazione.
In conformità alla ratio di tale regime, cioè garantire stabilità e certezza all’attività sociale a beneficio della società stessa nonché dei terzi, non sono configurabili ipotesi di invalidità atipiche, come l’inesistenza delle deliberazioni assembleari. Pertanto, si può parlare di inesistenza della deliberazione assembleare solo in relazione a pronunce aventi ad oggetto esclusivamente fattispecie nelle quali l’atto impugnato non sia definibile come deliberazione, non trattandosi di atto nemmeno astrattamente imputabile alla società o, pur sussistendo un atto qualificabile come tale, esso registri uno scostamento dal modello legale così marcato da non permetterne la riconduzione alla categoria stessa di deliberazione assembleare.
Non si versa in ipotesi di inesistenza in caso di delibera proveniente da assemblea partecipata anche da uno solo dei soci o di delibera adottata con voto determinante di soggetti non legittimati al voto e cioè quando la decisione sia esteriormente riconducibile all’organo decisionale societario ed ascrivibile al genus della delibera assembleare, per la presenza di almeno uno degli elementi essenziali alla identificazione della fattispecie.
Allo stesso modo, vizi quali il mancato raggiungimento del quorum costitutivo, la simulazione dell’incontro assembleare e l’inosservanza degli obblighi di preventiva informazione sono riconducibili alle ordinarie ipotesi di invalidità (i.e. nullità o annullabilità) e, pertanto, devono essere fatti valere entro i termini previsti dalla legge.
L’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio di s.r.l., visto il richiamo espresso realizzato dall’art. 2479 ter, co. 4, c.c. all’art. 2434 bis, co. 1, c.c., non può essere proposta dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio successivo, per esigenze di certezza dei rapporti giuridici.
Nullità della delibera assembleare emessa in violazione di lodo arbitrale passato in giudicato
Attiene a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806 c.p.c., la natura pubblicistica della cosa giudicata sostanziale, in quanto prevista da norme imperative di ordine pubblico, che la sottraggono a ogni derogabilità pattizia, precludendo qualsiasi possibilità di adottare una determinazione contraria al giudicato formatosi in favore di una delle parti.
Il giudicato formatosi su una pronuncia di annullamento (o nullità) di una delibera sociale ha effetto rispetto a tutti i soggetti coinvolti dall’azione sociale; infatti, poiché la deliberazione dell’assemblea è un atto riconducibile a un contratto associativo, come nel momento fisiologico ha effetto per tutta la struttura societaria (e quindi per tutta la compagine sociale, anche per l’eventuale minoranza che avesse votato contro quella specifica delibera), allo stesso modo, nel momento patologico, l’accertamento della sua eventuale invalidità produce effetti nei confronti di tutta la società e a tali effetti non può derogarsi se non sulla base di un accordo tra tutte le parti direttamente o indirettamente coinvolte. È quindi nulla la delibera che si proponga di rimuovere gli effetti del giudicato adottata in danno di una parte della compagine sociale, essendo il giudicato posto a tutela non soltanto del o dei singoli soci coinvolti nel contenzioso, ma di tutta la società e anche dei terzi.
Il giudice non può entrare nel merito di scelte che competono solo agli organi sociali, in quanto le concrete modalità di esecuzione del giudicato sono rimesse alla discrezionalità dell’organo amministrativo e all’assemblea dei soci; tuttavia, la parte vittoriosa del giudizio ha diritto a che si provveda in modo legittimo e conforme alle regole che presiedono all’azione dell’organizzazione (nel caso di specie, il Tribunale, in accoglimento della domanda attorea, ha condannato la società convenuta a iscrivere correttamente il dispositivo del lodo passato in giudicato presso il registro delle imprese).
La deliberazione dell’assemblea di s.r.l. assunta senza la preventiva convocazione di uno dei soci è nulla
L’art 2479 ter, co. 3, c.c., in tema di invalidità delle decisioni dei soci di s.r.l., sancisce la impugnabilità delle decisioni aventi oggetto illecito o impossibile e quelle prese in assenza assoluta di informazioni, al fine di tutelare il diritto dei singoli soci di partecipare alle deliberazioni societarie. Pertanto, tali delibere sono impugnabili, nei tre anni dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci di s.r.l., trattandosi di decisioni da considerarsi nulle, pure in difetto di una previsione espressa, per la sostanziale assonanza di tale forma di invalidità con quella espressamente dichiarata come dante luogo a nullità, di cui all’ art. 2379 c.c. dettato in tema di s.p.a. Posto che la regola dell’art 2479 ter, co. 3, c.c., nella parte in cui considera le decisioni prese in assenza assoluta di informazioni, deve intendersi riferita non soltanto alla mancanza di informazioni sugli argomenti da trattare, ma anche alla mancanza di informazioni sull’avvio del procedimento deliberativo, con la conseguenza che la deliberazione dell’assemblea di società a responsabilità limitata assunta senza la preventiva convocazione di uno dei soci è nulla. Pertanto, l’omessa informazione e l’omessa convocazione di uno o più soci con diritto al voto determina una fattispecie qualificabile in termini di decisione presa in difetto assoluto di informazione, dovendosi di conseguenza dichiarare la nullità della delibera viziata, se impugnata da chiunque vi abbia interesse, nel termine di tre anni.
Grava sul socio impugnante la delibera assembleare l’onere di provare la falsità delle attestazioni risultanti dal verbale. Il socio può far valere la difformità del verbale rispetto alla realtà con qualsiasi mezzo di prova, senza dover ricorrere alla querela di falso, non essendo il verbale di assemblea documento dotato di fede privilegiata.
Nel caso di delibera adottata dall’assemblea di una s.r.l. in difetto di regolare convocazione, qualora nel relativo verbale sia dato atto della partecipazione di tutti i soci, incombe su colui il quale impugna la deliberazione l’onere di provare il carattere non totalitario dell’assemblea.
Giusta causa di esclusione del socio di s.r.l.
In tema di esclusione del socio di s.r.l., l’art. 2473 bis c.c. condiziona la validità dell’eccezionale potere espropriativo rimesso in tal modo alla maggioranza alla sussistenza di una giusta causa. Non è conforme all’impianto tipologico di cui la norma citata è emersione (che postula la deduzione di condotte tali da consentire al socio di evitare tale gravissima “sanzione privata” conoscendo preventivamente, e quindi evitandoli, i comportamenti che potrebbero dar causa allo scioglimento unilaterale quoad eum del rapporto sociale) la clausola che non preveda che la condotta del socio suscettiva di far luogo all’esclusione debba svolgersi successivamente all’introduzione della clausola stessa; legittimando invece contra ius l’esclusione fondata su comportamenti già in essere, e noti alla compagine sociale, prima dell’introduzione della previsione statutaria e, come tali, per definizione non configurabili quali impeditivi della prosecuzione di un rapporto sociale iniziato nella loro vigenza [nella specie, il Tribunale ha accertato la nullità per illiceità dell’oggetto ex art. 2479 ter, co. 3, c.c. di una delibera di modifica dell’atto costitutivo che identificava una giusta causa di esclusione dei soci nell’esercizio di una attività – considerata concorrente a quella svolta dalla società – che era in concreto già ricompresa nell’oggetto sociale del socio di minoranza persona giuridica].
Sospensione della delibera di approvazione del bilancio: il bilanciamento degli interessi contrapposti per il periculum in mora
L’abuso di maggioranza si sostanzia nella lesione dei diritti partecipativi dei soci di minoranza. Tale lesione non può essere determinata, di per sé, dalla approvazione di un bilancio che porti perdite superiori al reale, ma solo, eventualmente, dalla successiva delibera di ripianamento con offerta ai soci in opzione, ove questa ponesse a rischio i loro diritti.
Ai fini della valutazione del periculum in mora per l’adozione della sospensiva, anche ove si ravvisasse un rapporto di concatenazione causale necessaria fra perdita di bilancio e onere di ripianamento, si imporrebbe, per questo aspetto, la necessità di bilanciare, ex art. 2378, co. 4, c.c., l’interesse degli attori a non concorrere a un aumento ritenuto indebito con il contrapposto interesse dei terzi a conoscere, e della società a cristallizzare e ufficializzare, le condizioni della società. Con la sospensiva infatti i terzi verrebbero privati radicalmente dell’importante informazione dell’avvenuta perdita del patrimonio netto e la società del principale strumento che rappresenta all’esterno e all’interno la sua condizione patrimoniale, sulla base del quale essa deve assumere iniziative rilevanti ex art. 2447 c.c. In questa alternativa, il bilanciamento non può andare a vantaggio dei soci che domandano la sospensione ove cui abbiano manifestato di non volere continuare il rapporto sociale e non abbiano esercitato neppure parzialmente il diritto di sottoscrivere l’aumento, con l’effetto di perdere, per ciò stesso, la loro qualità di soci.
Impugnazione e sostituzione di delibere assembleari
La disposizione dell’art 2377, co. 8, c.c. si risolve in una ricognizione dell’effetto sostitutivo di delibere successive a quella impugnata dal socio, effetto di per sé comportante il venir meno della utilità della impugnazione per l’attore, essendo la delibera impugnata già stata privata di effetti dalla sua sostituzione endo-societaria. Tale effetto sostitutivo può dirsi realizzato solo laddove la seconda delibera sia “stata presa in conformità della legge e dello statuto”, vale a dire sia stata presa validamente: ma anche questa precisazione contenuta nella norma va coordinata con il sistema di efficacia degli atti endo-societari e in particolare delle delibere assembleari, le quali, secondo il principio di cui all’art. 2377, co. 1, cc, se prese “in conformità della legge e dello statuto”, “vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti”, essendo poi accertabile la loro eventuale invalidità in sede giudiziale solo a mezzo di impugnazione soggetta ai limiti temporali e di legittimazione previsti ancora dall’art. 2377 cc e dagli artt. 2379, 2379-ter e 2434-bis c.c. (nonché, per le S.r.l., dall’art. 2479-ter c.c.), con la conseguenza che le delibere assembleari la cui invalidità non sia stata azionata attraverso specifica impugnazione rimangono di per sé efficaci nell’ambito endo-societario. Da tale ricostruzione del sistema discende dunque che, se il socio impugnante la prima delibera non ha impugnato anche la delibera sostitutiva, questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endo-societario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito la invalidità in sede processuale, con il che viene meno (non già la materia del contendere ma) lo stesso interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endo-societario del deliberato censurato con altro comunque efficace. Seguendo tale ricostruzione sistematica deve quindi concludersi che nel giudizio relativo alla impugnazione della prima delibera non possa trovar luogo alcuna valutazione delle eccezioni dell’attore relative alla invalidità della delibera sostitutiva che non sia stata a sua volta impugnata, tale valutazione essendo assorbita dalla constatazione del venir meno dell’interesse ad agire dell’attore: la valutazione ex art. 2377, co. 8, c.c. del giudice della prima impugnazione deve invece limitarsi alla verifica dell’effettiva portata sostitutiva della seconda delibera, vale a dire della effettiva rimozione del contenuto della prima da parte della seconda disponente sul medesimo oggetto. A riprova di tale conclusione sistematica può del resto richiamarsi anche la disciplina dell’art.2377, co. 7, c.c., per la quale “L’annullamento delle deliberazioni ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga gli amministratori … a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità”: l’obbligo di adeguamento endo-societario consegue infatti, secondo tale norma, propriamente solo all’annullamento della delibera impugnata, sicché, nel caso si seguisse l’orientamento qui disatteso, la delibera sostitutiva rimarrebbe comunque efficace pur essendo stata valutata incidentalmente invalida nel giudizio di impugnazione relativo a quella sostituita, con la conseguenza che, ancora una volta, si perverrebbe alla conclusione della inutilità per l’impugnante dell’annullamento della prima delibera.
Sui poteri dell’amministratore di sostegno dell’amministratore di s.r.l.
Il potere dell’amministratore di sostegno dell’amministratore di s.r.l. investito – ai sensi del relativo provvedimento di nomina del Giudice tutelare – di tutti gli adempimenti connessi all’attività societaria e alla sua gestione ordinaria e straordinaria quale rappresentante del beneficiario (che per l’effetto è da intendersi privato di ogni conseguente potere connesso e derivante dal ruolo e dalle cariche ricoperte nella indicata società), comprende tutti gli atti e le decisioni che beneficiario poteva assumere nell’ambito della società sia come socio, sia come amministratore.