hai cercato articoli in
Art. 2484 c.c.
202 risultati

Sull’abuso dei soci di maggioranza in sede di votazione della delibera di scioglimento anticipato della società

È orientamento univoco della Corte di Cassazione (si veda ad es. Cass. 27387/2005) il fatto che la deliberazione di scioglimento anticipato di una società possa essere invalidata, sotto il profilo dell’abuso della regola di maggioranza, quando essa risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci. La relativa prova incombe sul socio di minoranza, che dovrà a tal fine indicare i “sintomi” di illiceità della delibera, in modo da consentire al giudice di verificarne le reali motivazioni e accertare se effettivamente vi sia stato abuso. [ LEGGI TUTTO ]

17 Dicembre 2020

La violazione della clausola statutaria di prelazione comporta l’inopponibilità alla società e agli altri soci della cessione delle partecipazioni

Nel trasferimento di quote sociali di S.r.l., la violazione della clausola statutaria di prelazione comporta l’inopponibilità alla società e agli altri soci della cessione di partecipazioni effettuata in sua violazione. In tale evenienza, nessun diritto sociale collegato alle partecipazioni acquistate in spregio alla prelazione è esercitabile dal socio acquirente e, operando detta inefficacia di diritto, quale mera conseguenza della violazione della clausola di prelazione, non soffre eccezioni, prevalendo sul dato pubblicitario dell’intervenuto deposito dell’atto di cessione viziato nel registro delle imprese.

L’omissione della previa denuntiatio al socio titolare del diritto di prelazione, non fa sorgere in capo quest’ultimo l’onere (per impedire il trasferimento a terzi e rendersi intestatario della quota prelazionata) di accettare in vece del terzo la proposta, e tale effetto tipico non può ritenersi prodotto – in difetto di previsione statutaria o legale in tal senso – dalla proposta di ritrasferimento della quota formulata dal terzo acquirente a cessione ormai perfezionata.

La richiesta di nomina di un liquidatore sociale, ricorrendone i presupposti, è domanda da presentare ex art. 2487 co 2 c.c. in ambito di Volontaria Giurisdizione e non in sede contenziosa e d’urgenza, presupponente a sua volta il previo accertamento da parte dell’organo amministrativo dell’intervenuto scioglimento della società ai sensi degli artt. 2484 co. 1 c.c. e 2485 c.c.

23 Novembre 2020

Dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c., prosecuzione dell’attività gestoria in presenza di una causa di scioglimento e azione revocatoria verso atto dispositivo a danno dei creditori

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l.fall., è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non dell’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato di insolvenza di cui all’art. 5 l.fall., derivante, in primis, dall’indisponibilità di ottenere ulteriore credito. In ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.

La prosecuzione dell’attività gestoria, pur in presenza di una causa di scioglimento della società, non può essere di per sé considerata causa dell’aggravamento del dissesto finanziario di una s.r.l., poi fallita, poiché alcune condotte degli amministratori, potrebbero valutarsi, con un giudizio da farsi necessariamente “ex ante”, ai fini della prova della responsabilità verso la società ed i creditori sociali, del tutto neutre, se non addirittura in alcuni casi positive nell’evitare alla società perdite ancor più gravi.

Riguardo invece al tema della revocatoria, quando occorre giudicare in ordine alla anteriorità del credito o della ragione di credito rispetto all’atto dispositivo impugnato, ai fini dell’art. 2901, comma 2, c.c. occorre fare riferimento non già al momento in cui il credito venga accertato in giudizio, bensì a quello in cui si è verificata la situazione di fatto alla quale il credito stesso si ricollega. Ed invero l’azione revocatoria non persegue specificatamente scopi restitutori, quanto piuttosto mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori compresi quelli meramente eventuali. Quanto all’elemento soggettivo, c.d. scientia damni, allorché l’atto dispositivo sia successivo all’insorgere del credito, l’unica condizione richiesta è che il debitore fosse a conoscenza del pregiudizio per le ragioni del creditore e trattandosi di atto a titolo oneroso, che di esso fosse consapevole anche il terzo acquirente. Tale requisito, può essere provato anche a mezzo di presunzioni, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra debitore e terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente.

20 Novembre 2020

Carenza sopravvenuta di interesse ad agire per mancata impugnazione di deliberazioni successive integrative ed assorbenti

L’attore non è titolare di interesse ad agire, in relazione ad una istanza di impugnazione di una deliberazione dell’assemblea dei soci, qualora quest’ultima sia stata superata ed integrata nel contenuto da decisioni successive, delle quali si è appurata la natura assorbente [Nel caso di specie, la mancata impugnazione della deliberazione assembleare – successiva – di approvazione del bilancio finale cristallizza la perdita complessiva, rendendo irrilevante l’accertamento della effettiva entità relativa ad un periodo intermedio].

Scioglimento per il decorso del termine ed estinzione della società

La scadenza del termine di durata della società è causa di scioglimento dell’ente ai sensi dell’art. 2484, n. 1, c.c. e non determina la sua estinzione, imponendo piuttosto agli amministratori, ai sensi del successivo art. 2485 c.c., di procedere agli adempimenti previsti dal terzo comma dell’articolo 2484 c.c. salva la loro personale e solidale responsabilità per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi. Solo dalla cancellazione dal registro delle imprese, che ha natura costitutiva, consegue l’estinzione a norma del successivo art. 2495 c.c.

31 Agosto 2020

Integrale erosione del capitale sociale, rapporto di fornitura alla società creditrice e responsabilità nei confronti della medesima

Al fine di determinare la responsabilità dell’amministratore e riconoscere al terzo il diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2395 c.c. è necessario provare non solo la condotta illecita dell’amministrazione (ravvisabile, nel caso di specie, nell’asserito presunto ritardo nell’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2384 c.c. al verificarsi della causa di scioglimento dell’azzeramento del capitale sociale) ma è necessario altresì provare l’entità del danno subito.
[ LEGGI TUTTO ]

Condizione di efficacia dell’attività processuale del curatore e quantificazione del danno per illecita prosecuzione dell’attività

Al fine di imputare all’amministratore colpevole il danno effettivamente derivato dall’illecita prosecuzione dell’attività a seguito del verificarsi di una causa di scioglimento, occorre confrontare i bilanci, vale a dire quello relativo al momento in cui si è realmente verificata la causa di scioglimento e quello della messa in liquidazione (ovvero, in mancanza, del fallimento), dopo avere effettuato non solo le rettifiche volte a elidere le conseguenze della violazione dei criteri di redazione degli stessi, ma anche quelle derivanti dalla necessità di porsi nella prospettiva della liquidazione, visto che proprio alla liquidazione, se si fosse agito nel rispetto delle norme, si sarebbe dovuti giungere.

L’autorizzazione del giudice delegato a promuovere azione giudiziale o a resistere all’altrui azione è da ritenersi quale condizione di efficacia dell’attività processuale del curatore. Ne consegue che l’autorizzazione ad agire o a resistere data nel successivo giudizio d’impugnazione produce la sanatoria con effetto ex tunc del vizio di mancata autorizzazione.

27 Luglio 2020

Validità del pagamento del credito fatto al socio postergato e irresponsabilità dell’amministratore per il mancato esercizio del diritto restitutorio

Non è possibile considerare invalido annullabile o addirittura nullo il rimborso del finanziamento al socio postergato ai sensi dell’art. 2467 c.c. opponendovisi la natura del pagamento che costituisce un atto o un fatto giuridico e non un negozio nonché la natura del credito postergato ex art. 2467 c.c. che – pur essendo un credito temporaneamente inesigibile – è un credito effettivo ed esistente e come  tale il suo pagamento ne determina l’estinzione.
Da ciò discende che la presenza di titolo sotteso al pagamento e l’effetto estintivo conseguito impediscono di considerarlo quale datio sine titulo e fanno sì che non sussista la responsabilità dell’amministratore per non aver esercitato il diritto restitutorio verso il socio postergato ed a favore della società.

1 Giugno 2020

Responsabilità degli amministratori per presentazione di una domanda di concordato “abusiva”

È da configurarsi una responsabilità degli amministratori di una società nel caso in cui gli stessi presentino una domanda di ammissione al concordato “abusiva”, vale a dire unicamente finalizzata a posticipare in maniera fraudolenta il fallimento della società.

26 Maggio 2020

La responsabilità degli amministratori per irregolare tenuta della contabilità

Il thema probandum, nell’ambito dell’azione di responsabilità ex art. 146 l.f., si articola nell’accertamento di tre elementi: l’inadempimento di uno o più degli obblighi specifici previsti dalla legge o dallo statuto e/o dell’obbligo generale di diligenza previsto dall’art. 2392 c.c., il danno subito dalla società e il nesso causale, mentre il danno risarcibile sarà quello causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell’agente sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante, dunque commisurato in concreto al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo, positivo o omissivo, non fosse stato posto in essere.

In forza del principio della insindacabilità nel merito delle scelte di gestione, il giudice, investito di un’azione di responsabilità per condotta negligente degli amministratori, non può apprezzare il merito dei singoli atti di gestione, valutandone, così, l’opportunità e la convenienza. La gestione della società, infatti, in quanto attività d’impresa, comporta fisiologicamente un alto margine di rischio e richiede il riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo all’organo amministrativo in relazione alla scelta delle operazioni da intraprendere. Ne consegue che, se fosse possibile compiere una valutazione sull’opportunità e convenienza delle scelte di gestione, si legittimerebbe un’indebita ingerenza dell’autorità negli affari sociali, in pregiudizio all’autonomia ed indipendenza dell’organo amministrativo e con probabile paralisi del normale svolgimento dell’attività d’impresa. Ciò che forma oggetto di sindacato da parte del giudice, dunque, non può essere l’atto in sé considerato e il risultato che abbia eventualmente prodotto, bensì, esclusivamente, le modalità di esercizio del potere discrezionale che deve riconoscersi agli amministratori.

L’irregolare e anche disordinata tenuta della contabilità integra una violazione dei doveri dell’amministratore potenzialmente, ma non necessariamente, foriera di danno per la società, idonea a fondare solo una pronuncia di condanna generica al risarcimento che non investe la sussistenza del danno.

Nelle ipotesi in cui eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci abbiano rappresentato lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite, ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita  prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge, il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi si sono occultate o che, grazie a quei falsi, sono state consentite. Tali condotte dunque devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.