Art. 2486 c.c.
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Responsabilità per mancata redazione dei bilanci e delle scritture contabili e per prosecuzione dell’attività d’impresa in assenza dei requisiti di capitale sociale: criteri di determinazione del danno risarcibile
Il curatore che eserciti l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ha l’onere di allegare la specifica violazione dei doveri loro imposti dalla legge e di provare che quelle violazioni abbiano cagionato un pregiudizio alla società. Tale principio opera anche nel caso in cui venisse riconosciuta la violazione relativa alla mancata redazione dei bilanci e delle scritture contabili. Ciò significa che la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, ancorché addebitale all’organo amministrativo, non giustifica che il danno da risarcire sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza fra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare (c.d. deficit fallimentare). Tale criterio di quantificazione del danno, almeno astrattamente, potrebbe essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni e purché il ricorso a tale criterio, in ragione delle circostanze del caso concreto, risulti plausibile e, in ogni caso, la curatela abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del pregiudizio lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’organo amministrativo. In questo senso, è tuttavia possibile che l’irregolare tenuta delle scritture contabili – non permettendo alla curatela di ricostruire le vicende che hanno condotto all’insolvenza dell’impresa – possa essere addotta, essa stessa, quale causa del danno rappresentato dai maggiori oneri nell’espletamento dei compiti e dall’aggravio dei costi della procedura, non apparendo, invece, plausibile farne discendere la conseguenza dell’insolvenza o dello sbilancio patrimoniale.
Nel caso di prosecuzione di attività d’impresa nonostante l’erosione totale del capitale sociale, l’organo amministrativo può essere ritenuto responsabile delle perdite maturate, laddove sia fornita la prova che le stesse sono state conseguenza delle scelte gestorie assunte dopo la riduzione del capitale sociale e, in ogni caso, può essere chiamato a rispondere solo dell’aggravamento del dissesto cagionato dalle ulteriori perdite che siano derivate dalla condotta illegittima, in quanto commessa al di fuori dei poteri di conservazione del patrimonio sociale. Pertanto, la curatela che intenda far valere la responsabilità dell’organo amministrativo per violazione degli obblighi derivanti dalla perdita del capitale sociale, è tenuta a provare che sono state intraprese iniziative imprenditoriali connotate dall’assunzione di nuovo rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di una logica meramente conservativa, ad individuare siffatte iniziative e ad indicare quali conseguenze negative ne siano derivate al netto dei ricavi.
L’assolvimento di tale onere di allegazione può risultare difficoltoso se si considera la natura dinamica e complessa dell’attività d’impresa, e per questa ragione è ammissibile il ricorso a criteri presuntivi e sintetici di prova, e in particolare alla determinazione del danno in via equitativa ex art. 1226 c.c. mediante l’utilizzo del criterio della differenza fra i netti patrimoniali (cioè il patrimonio netto della società al momento in cui l’organo amministrativo avrebbe dovuto accorgersi del verificarsi della causa di scioglimento e il patrimonio netto al momento della sentenza dichiarativa di fallimento). Resta fermo, in ogni caso, che il suddetto criterio presuntivo deve essere applicato con prudente apprezzamento tenendo conto che, in astratto, la prosecuzione dell’attività d’impresa, anche non conservativa, ben potrebbe non aver cagionato alcun danno.
Azione di responsabilità esercitata dal curatore: prescrizione e determinazione del danno
Il dies a quo per il calcolo della prescrizione dell’azione di responsabilità ex art. 2394, comma 2, c.c. esercitata dalla curatela fallimentare ex art. 146 l. fall. non è rappresentato dal momento della commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, bensì dal (successivo) momento dell’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti.
Una volta accertata la responsabilità dell’amministratore convenuto, per liquidare il danno derivante da una gestione della società condotta in spregio dell’obbligo di cui all’art. 2486 c.c., il giudice può ricorrere in via equitativa, nel caso di impossibilità di una ricostruzione analitica dovuta all’incompletezza dei dati contabili ovvero alla notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento, al criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali. La condizione è che tale ricorso sia congruente con le circostanze del caso concreto, e che quindi sia stato dall’attore allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state specificate le ragioni impeditive di un rigoroso distinto accertamento degli effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta.
Continuità nella gestione in una situazione di verosimile cessazione della continuità aziendale
Non è dilatoria né sconsiderata la condotta intrapresa dall’amministratore unico di una società che – in situazione di verosimile cessazione della continuità aziendale – abbia agito contemperando lo scioglimento della società con l’esigenza di non disperdere il valore della società ricercando medio tempore partner strategici.
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Piano attestato ex art. 67 l.fall. e condotta degli amministratori
La mancata svalutazione dei crediti non è condotta di per sé negligente se tale condotta si inserisce in una fase di complessiva attuazione del piano attestato ex art.67 comma 3, lett. (d), l.f., il quale, pur comportando normativamente la sola sottrazione degli atti compiuti in sua esecuzione all’azione revocatoria fallimentare, va comunque considerato rilevante [ LEGGI TUTTO ]
Sull’onere probatorio nell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare
Nell’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall., esercitata dal curatore nei confronti di amministratori e sindaci di S.p.A. fallita, l’inadempimento si presume colposo: se l’allegazione della violazione degli obblighi (che, nel caso della fattispecie dell’azione sociale riguarda doveri imposti dalla legge, dallo statuto o obblighi generali di vigilanza e intervento, mentre, nel caso dell’azione spettante ai creditori sociali, riguarda comportamenti lesivi dell’integrità patrimoniale) grava sul curatore, la prova della mancanza del nesso di causalità tra tali comportamenti e il fatto dannoso, e quindi la prova positiva dell’osservanza di tali doveri, grava sugli amministratori. In questo contesto, il nesso di causalità non è solo presupposto necessario e sufficiente per affermare la responsabilità risarcitoria, ma anche parametro per l’entità del risarcimento. In particolare, gli obblighi che riguardano la riduzione del capitale per perdite al disotto del minimo legale – prevista come causa di scioglimento, la quale conferisce agli amministratori il potere di gestire la società ai fini della liquidazione – implicano responsabilità non solo per mancanza di accertamento della menzionata causa ma anche per il suo non tempestivo riconoscimento: chi agisce ex art. 2486 c.c. deve dunque fornire evidenza della prosecuzione dell’attività imprenditoriale, dell’avvenuta perdita di capitale e gli atti negoziali posti in essere successivamente – e nonostante – la conoscenza della predetta causa di scioglimento; spetta invece agli amministratori provare che la protrazione dell’attività è dovuta a finalità liquidatorie, connesse all’ordinaria attività di impresa e non comportanti nuovi rischi.
Azione di responsabilità esercitata dal curatore e prescrizione
Ai fini della prescrizione dell’azione sociale di responsabilità verso gli amministratori trova applicazione il periodo di sospensione previsto dall’art. 2941 n. 7.
La prescrizione dell’azione di responsabilità attivata dai creditori [ LEGGI TUTTO ]
Dichiarazione del condebitore di adesione alla transazione e dies a quo ai fini della prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dai creditori sociali
La dichiarazione del condebitore di voler profittare della transazione stipulata con il creditore dal condebitore in solido ai sensi dell’art. 1304 co. 1° c.c. integra esercizio di un diritto potestativo sostanziale esercitabile anche nel corso del processo, senza requisiti di forma né limiti di decadenza; il che implica che, una volta esercitato tale diritto [ LEGGI TUTTO ]
Quantificazione del danno nell’ambito dell’azione di responsabilità esercitata contro l’amministratore di società fallita per l’aggravamento del dissesto
Nell’ambito di un’azione di responsabilità esercitata contro l’amministratore di una società fallita per violazione degli obblighi ex artt.2484 ss. ed ex art.2486 c.c. (cd.obbligo di gestione conservativa), qualora sia concretamente impossibile ricostruire ex post le singole operazioni “non conservative” del valore e della integrità del patrimonio sociale, espressamente vietate dall’art. 2486 c.c., il danno risarcibile è quantificabile [ LEGGI TUTTO ]
Obblighi degli amministratori e azioni di responsabilità ex artt. 2394 c.c. e 146 l.fall.
L’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e presuppone l’assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti ed un comportamento dell’amministratore funzionale ad una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica (art. 2740 c.c.), con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere.
Seppure la sola azione sociale di responsabilità si prescrive nel termine di cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica, rimanendo la prescrizione sospesa finché questi ricopre il suo ufficio, ai sensi dell’art. 2941, n. 7, c.c., nel caso di esercizio cumulativo di detta azione con quella prevista dall’art. 2394 c.c., il curatore può beneficiare del più ampio termine prescrizionale consentitogli da quest’ultima azione, atteso il carattere di unitarietà ed inscindibilità della domanda proposta.
L’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia e dei soci e dei creditori sociali; essa sorge, ai sensi del secondo comma dell’articolo citato, non al tempo dei fatti costituenti violazione degli obblighi incombenti ad amministratori e liquidatori, bensì nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei creditori della società e si trasmette al curatore nel caso di fallimento sopravvenuto. Da ciò deriva che la prescrizione quinquennale, di cui all’art. 2949, co. 2, c.c., decorre dal momento in cui si verifica l’insufficienza del patrimonio sociale: momento che, non coincidendo necessariamente con il determinarsi dello stato di insolvenza, può essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento. Tuttavia, al fine di costituire il momento iniziale di decorrenza della prescrizione, l’insufficienza in argomento – intesa come eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell’impresa o insufficienza dell’attivo sociale a soddisfare i debiti della società – deve presentarsi come oggettivamente conoscibile dai relativi creditori.
La diligenza richiesta agli amministratori è espressione del fondamentale dovere di correttezza e buona fede richiamato in termini generali dagli artt. 1175 e 1375 c.c. Nel caso degli amministratori di società, come in tutti i casi di gestione di interessi altrui, tale dovere assume, ancor più che altrove, i caratteri del dovere di protezione dell’altrui sfera giuridica: il dovere di prendersi cura dell’interesse di colui (individuo o ente) che ha incaricato il gestore dell’amministrazione delle proprie attività e, per ciò stesso, lo ha investito di un compito con indubbie connotazioni fiduciarie. L’attività degli amministratori, traducendosi nella gestione di un’impresa commerciale cui è connaturato il carattere professionale dell’esercizio di un’attività economica organizzata (art. 2082 c.c.), assume dunque i colori della professionalità che naturalmente si riverberano anche sul parametro della diligenza. Ciò implica anche la centralità che nell’operato dell’amministratore assume il profilo della fedeltà all’interesse della società da lui amministrata. È suo dovere primario di perseguire tale interesse, sicché ogni sua azione od omissione che sia invece diretta a realizzare un interesse diverso, ed in contrasto con quello, si configura immancabilmente come violazione del dovere di fedeltà immanente alla carica. In altre parole, l’amministratore ha solo il dovere di gestire l’impresa sociale e, più in generale, di agire con la dovuta diligenza: non ha, al contrario, l’obbligo di amministrare la società con successo economico.
La irregolare tenuta delle scritture contabili, in assenza di ulteriori e specifiche deduzioni, pur integrando una violazione agli obblighi gravanti sull’amministratore, è priva di autonoma efficacia causale rispetto ai danni al patrimonio sociale. Non può ricollegarsi alla non corretta tenuta della contabilità sociale un danno parametrato alla intera differenza tra attivo e passivo fallimentare (criterio c.d. del deficit fallimentare).
Responsabilità di amministratori e sindaci: alcuni criteri di quantificazione del danno
Nell’azione di responsabilità intentata dal curatore fallimentare contro amministratori e sindaci, il danno da illegittima prosecuzione dell’attività non concorre con quello derivante dagli ingiustificati prelievi a favore di uno degli amministratori, poiché il risultato negativo degli stessi è già ricompreso nella perdita netta che si ricava confrontando il patrimonio della società al tempo in cui essa avrebbe dovuto essere posta in liquidazione e il patrimonio netto della società immediatamente prima della dichiarazione di fallimento. In caso contrario si finirebbe per duplicare la medesima voce di danno.