Art. 2486 c.c.
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Il pagamento preferenziale di un creditore da parte di una società in crisi
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma – quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali –, implicando una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi ed indipendenti. Ne discende che la mancata specificazione del titolo nella domanda giudiziale, lungi dal determinare la sua nullità per indeterminatezza, fa presumere, in assenza di un contenuto anche implicitamente diretto a far valere una sola delle azioni, che il curatore abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe le azioni.
Il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori stessi, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti. Vi è presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento. Tale presunzione non esclude che in concreto tale oggettiva percepibilità si possa manifestare in un momento anteriore, gravando tuttavia il relativo onere probatorio su chi allega la circostanza e fonda su di essa un più favorevole inizio del decorso della prescrizione. Il bilancio societario, persino quando presenti perdite, non necessariamente conduce alla conoscibilità dell’insufficienza patrimoniale da parte dei creditori: ciò, per la stessa disciplina di redazione del documento contabile, secondo cui, ai sensi dell’art. 2426 c.c., i valori espressi nelle voci di bilancio ben possono non coincidere con quelli di mercato, essendo a volte superiori (come per le rimanenze) o consistentemente inferiori a quelli (come per gli immobili, per i criteri anteriori).
Il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto comporta una riduzione del patrimonio sociale in misura anche di molto superiore a quella che si determinerebbe nel rispetto del principio del pari concorso dei creditori, poiché la destinazione del patrimonio sociale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare; anche dal punto di vista strettamente contabile, il pagamento di un creditore in misura superiore a quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione dei patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori. In situazione di crisi, anche se non ancora di vero e proprio dissesto, o comunque di situazione che faccia presagire che vi sia difficoltà a soddisfare tutti i creditori, l’amministratore è tenuto, nell’effettuare i pagamenti, a una valutazione dell’intera massa creditoria e ad adottare, tendenzialmente, il criterio della par condicio tenuto conto delle cause di prelazione/poziorità.
Azione di responsabilità del curatore fallimentare nei confronti degli amministratori di s.r.l.
Quando l’amministratore sia inadempiente degli obblighi fiscali formali e sostanziali che gravano sulla società amministrata e tale inadempimento abbia determinato l’irrogazione di sanzioni a carico della società, egli risponde verso la società stessa del pregiudizio che il suo comportamento le ha causato. Tale pregiudizio è pari all’ammontare di sanzioni, interessi e aggi, non rispondendo l’amministratore per l’omesso pagamento del debito per l’imposta, che è in ogni caso imputabile soltanto alla società.
Responsabilità degli amministratori di s.r.l. per omesso pagamento delle imposte
L’amministratore della società è onerato dell’adempimento degli obblighi fiscali formali e sostanziali, assistiti da sanzioni amministrative e penali, che gravano sulla società amministrata. Quando l’amministratore sia inadempiente all’assolvimento degli obblighi fiscali formali e sostanziali e tale inadempimento abbia determinato l’irrogazione di sanzioni a carico della società, egli risponde, verso la società stessa, del pregiudizio che il suo comportamento le ha causato. Tale pregiudizio è pari all’ammontare di sanzioni, interessi e aggi, non rispondendo invece l’amministratore per l’omesso pagamento del debito per l’imposta, che è in ogni caso imputabile soltanto alla società. L’amministratore risponde di questo danno sia per gli inadempimenti occorsi nel periodo in cui la società era in bonis – poiché, in tal caso, il pregiudizio subito dalla società dipende proprio e soltanto dalla negligenza dell’amministratore nell’adempiere ai doveri sopra indicati –, sia per gli inadempimenti occorsi nel periodo in cui, perduto il capitale, l’attività della società è illegittimamente proseguita a fini non conservativi. In tal caso, infatti, il danno alla società è dovuto al fatto che l’amministratore ha proseguito illegittimamente l’attività economica della società così determinando il verificarsi dei presupposti per l’insorgere dei debiti fiscali poi non onorati.
Il periculum in mora nel sequestro conservativo
Il fondato timore di perdere le garanzie del credito, necessario per la concessione di un sequestro conservativo, può essere provato per il tramite di elementi obiettivi concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, fermo restando, però, che la semplice insufficienza del patrimonio del debitore può non essere decisiva ai fini della concessione del sequestro, poiché la specificità della cautela consiste nell’assicurare la fruttuosità della futura esecuzione forzata contro il rischio di depauperamento del patrimonio nelle more del giudizio ed è quindi necessario che esistano circostanze oggettive (quali protesti, pignoramenti, azioni esecutive iniziate da altri creditori, ecc.) che facciano temere l’impoverimento del debitore nelle more del giudizio. Inoltre, il periculum in mora può essere provato anche con elementi soggettivi evincibili dal comportamento del debitore, tali da lasciare presumere che egli, al fine di sottrarsi all’adempimento, ponga in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio, sottraendolo all’esecuzione forzata.
Responsabilità degli amministratori e sequestro conservativo
Nell’ambito di un procedimento cautelare per sequestro conservativo, il requisito del periculum e il fondato timore di perdere le garanzie del credito possono essere anzitutto provati per il tramite di elementi obiettivi concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito. Tale elemento costitutivo della cautela invocata deve sussistere sulla base di un elemento oggettivo e di uno soggettivo. Il criterio oggettivo si precisa nel senso che la semplice insufficienza del patrimonio del debitore può non essere decisiva ai fini della concessione del sequestro, poiché la specificità della cautela consiste nell’assicurare la fruttuosità della futura esecuzione forzata contro il rischio di depauperamento del patrimonio nelle more del giudizio. È quindi necessario che esistano circostanze oggettive (come protesti, pignoramenti, azioni esecutive iniziate da altri creditori, atti di dismissione del patrimonio o preparatori alla sottrazione degli stessi) che facciano temere l’impoverimento del debitore nell’intervallo. Inoltre, il periculum in mora può essere altresì dimostrato per il tramite di elementi soggettivi evincibili dal comportamento del debitore, tali da lasciare presumere che egli, al fine di sottrarsi all’adempimento, ponga in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio, sottraendolo all’esecuzione forzata.
Obblighi e responsabilità del liquidatore
La causa di sospensione del decorso della prescrizione prevista per gli amministratori dall’art. 2941, n. 7, c.c. è applicabile anche ai liquidatori, tenuto conto che l’incarico di liquidatore, al pari di quello dell’amministratore, è universalmente ricondotto alla figura del mandato e che, dunque, anche per esso è ravvisabile la ragione sottostante alla causa di sospensione ora in esame, che riposa sul carattere fiduciario che caratterizza tali rapporti, come tale ostativo all’azione.
Ai sensi dell’art. 2489 c.c., il liquidatore ha il potere/dovere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società e deve adempiere i suoi doveri con la professionalità e diligenza richieste dalla natura dell’incarico, rispondendo per gli eventuali danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri secondo le norme in tema di responsabilità degli amministratori. Il liquidatore è chiamato a compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società in modo da evitare la dispersione del patrimonio della società e liquidare al meglio per ripartire l’attivo tra i soci dopo il soddisfacimento dei creditori sociali secondo il grado di preferenza di ciascuno. La sua responsabilità è retta dai medesimi principi che regolano la responsabilità degli amministratori, in forza dell’espresso richiamo operato dall’art. 2489 c.c. Tali doveri possono condensarsi nel generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro, in pari tempo: (i) di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione durante la liquidazione del principio della par condicio creditorum; (ii) di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.
La violazione degli obblighi gravanti sui liquidatori, e quindi l’accertamento dell’inadempimento degli obblighi a costoro imposti dalla legge e/o dallo statuto, costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente, per affermare la loro responsabilità risarcitoria. Infatti, sono necessarie la prova del danno, ossia del deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, e la diretta riconducibilità causale del danno alla condotta omissiva o commissiva degli amministratori o liquidatori.
Posta senza ritardo la società in liquidazione, la responsabilità del liquidatore sorge se cagiona un danno ai creditori non adempiendo ai propri doveri di compiere con diligenza tutti gli atti utili alla liquidazione come dispone l’art 2489 c.c. o se nel pagamento dei creditori sociali, in mancanza di attivo per soddisfare tutto il ceto creditorio, non rispetta la par condicio creditorum ex art 2471 c.c. Dunque, se la liquidazione si conclude con il mancato soddisfacimento di parte del ceto creditorio non per questo sorge responsabilità dell’amministratore che abbia tempestivamente rilevato la causa di scioglimento e del liquidatore che abbia compiuto con la diligenza richiesta la liquidazione del patrimonio sociale. Responsabilità che potrebbe sussistere per il liquidatore nell’ipotesi di compimento di atti non meramente conservativi, come impone l’art. 2486, co. 1, c.c., nel compimento non diligente e non tempestivo delle attività di liquidazione o, in una situazione patrimoniale della società inidonea al soddisfacimento di tutti i creditori, per aver provveduto al pagamento solo di alcuni creditori disattendendo quanto dispone l’art 2471 c.c.
Azione di responsabilità del curatore nei confronti dell’ex amministratore
In applicazione dei principi generali sull’onere di allegazione e della prova in tema di responsabilità civile contrattuale, il curatore che agisce verso l’ex amministratore per il risarcimento del danno deve fornire la prova della fonte del suo diritto (la carica di amministratore svolta dal convenuto) e allegare l’inadempimento ai doveri imposti all’amministratore di società dalla legge e dallo statuto, mentre sull’amministratore convenuto incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento. Il curatore deve altresì allegare e dimostrare, quali elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, il danno e il nesso di causalità con l’inadempimento dell’amministratore, ma non è tenuto a provare l’imputabilità dell’inadempimento all’amministratore sul quale grava l’onere della prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che l’inadempimento è dipeso da una causa a lui non imputabile ex art 1218 c.c. Tali oneri gravano sul curatore che agisce anche per far valere la responsabilità dell’amministratore verso i creditori sociali, azione cui si attribuisce natura di responsabilità extracontrattuale, dovendo in aggiunta farsi carico non solo di allegare, ma altresì di provare il comportamento dell’amministratore convenuto in violazione del dovere del neminem laedere. In generale, l’inadempimento rilevante nell’ambito delle azioni di responsabilità da risarcimento del danno nelle obbligazioni cosiddette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa, o concausa, efficiente del danno, sicché l’allegazione del creditore non può attenere a un inadempimento, qualunque esso sia, ma a un inadempimento per così dire qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno.
I doveri imposti dalla legge, dall’atto costitutivo e dallo statuto agli amministratori di società sono assai variegati. In parte risultano puntualmente specificati e s’identificano in ben determinati comportamenti quali, ad esempio, la predisposizione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, la tenuta delle scritture contabili, la predisposizione dei bilanci e i prescritti adempimenti fiscali e previdenziali, il divieto di concorrenza, e via elencando. Per il resto, si tratta di doveri il cui preciso contenuto non è sempre facile da specificare a priori, in quanto essi derivano dall’essere l’amministratore preposto all’impresa societaria e dal suo conseguente obbligo di compiere con la necessaria diligenza tutto ciò che occorre per la corretta gestione di essa. Ne discende che anche le conseguenze dannose – per la società e per i suoi creditori – che possano eventualmente scaturire dalla violazione dei suddetti doveri, dovendo essere in rapporto di causalità con quelle violazioni, non sono suscettibili di una considerazione unitaria, ma appaiono destinate a variare a seconda di quale sia stato l’obbligo di volta in volta violato dall’amministratore. In tanto, allora, ha senso parlare dell’individuazione del danno, del nesso di causalità che deve sussistere tra il danno medesimo e la condotta illegittima ascritta all’amministratore, della liquidazione del quantum debeatur e degli oneri di prova che gravano in proposito sulle parti del processo, in quanto si sia prima ben chiarito quale è il comportamento che si imputa all’amministratore di aver tenuto e quale violazione, tra i molteplici doveri gravanti sul medesimo amministratore, quel comportamento ha integrato.
La business judgment rule opera solo in assenza di un conflitto di interessi
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. ha carattere unitario e inscindibile poiché cumula le azioni disciplinate dagli artt. 2393 e 2394 c.c. in un’unica azione finalizzata alla reintegrazione del patrimonio sociale a garanzia dei soci e dei creditori, in modo tale che, venendo a mancare i presupposti dell’una, soccorrono i presupposti dell’altra. In caso di fallimento, pertanto, le diverse azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e sindaci di una società di capitali previste dal codice civile, pur rimanendo tra loro distinte, confluiscono nell’unica azione di responsabilità esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall., la quale implica una modifica della legittimazione attiva di quelle azioni, ma non ne muta i presupposti.
L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e si configura come un’azione risarcitoria volta a reintegrare il patrimonio sociale in conseguenza del suo depauperamento cagionato dagli effetti dannosi provocati dalle condotte dolose o colpose degli amministratori poste in essere in violazione degli obblighi su di loro gravanti in forza della legge e delle previsioni dell’atto costitutivo, ovvero dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che quest’ultima ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso di causalità fra queste e il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sui sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. Il danno risarcibile è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente e, in difetto di tale allegazione e prova, la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto.
La mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, purché l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo. Una correlazione tra le condotte dell’organo amministrativo e il pregiudizio patrimoniale dato dall’intero deficit patrimoniale della società fallita può prospettarsi soltanto per quelle violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che, proprio in ragione di esse, l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque per quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza.
La figura dell’amministratore di fatto ricorre nelle ipotesi in cui un soggetto non formalmente investito della carica di amministratore si ingerisce nell’amministrazione, esercitando i poteri propri inerenti alla gestione della società. Tali funzioni gestorie esercitate in via di fatto debbono avere carattere sistematico e non esaurirsi nel compimento di alcuni atti di natura eterogenea e occasionale.
All’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere e, quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità. L’insindacabilità delle scelte di gestione dell’amministratore trova un limite anche nella presenza di una situazione di conflitto di interesse non manifestata.
Sussiste un conflitto di interessi quando gli interessi di cui sono portatori l’amministratore e la società sono in una relazione di incompatibilità, tale per cui il perseguimento dell’uno comporta il necessario sacrificio dell’altro. Ciò significa che al vantaggio conseguibile dall’amministratore in base all’operazione deve corrispondere, anche se non in modo necessariamente proporzionale, uno svantaggio della società, che può anche consistere in un mancato guadagno. Il comportamento dell’amministratore che agisce in conflitto di interessi deve ritenersi sindacabile sotto il profilo della violazione del generale dovere di correttezza cui egli è tenuto nel rapporto con la società.
Ai sensi degli artt. 2482 bis e 2482 ter c.c., gli amministratori, in caso di perdita di oltre un terzo del capitale, devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la sola ed eventuale riduzione del capitale e non anche la messa in liquidazione, a meno che la perdita non comporti la riduzione al disotto del capitale minimo. Nel caso in cui il minimo legale non sia stato intaccato, la riduzione non è obbligatoria, potendo la società decidere di portare a nuovo le perdite, ma sussiste comunque l’obbligo, per gli amministratori, di convocare l’assemblea senza indugio per l’adozione degli opportuni provvedimenti e di redigere una relazione sulla situazione patrimoniale della società con le osservazioni del collegio sindacale o del revisore. In tal caso, la riduzione del capitale sociale ha funzione meramente dichiarativa, tendente a far coincidere l’entità del capitale nominale con quello effettivo, riconducendo il primo alla misura del secondo, se e in quanto questo sia realmente divenuto inferiore all’ammontare indicato nell’atto costitutivo.
Sui presupposti dell’azione di responsabilità dell’amministratore
Nell’ambito dell’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori, ai fini della risarcibilità del preteso danno, l’attore, oltre ad allegare, specificamente l’inadempimento dell’amministratore, deve anche allegare e provare l’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale, e la riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico. La curatela è quindi tenuta a provare la sussistenza del nesso causale tra la condotta illecita denunciata e il danno lamentato, ed altresì a dimostrare l’entità del danno stesso.
Finanziamenti infragruppo postergati e responsabilità di amministratori e sindaci
Nella situazione in cui la holding, operando già a patrimonio netto negativo e quindi in modo tale da traslare sui propri creditori il rischio delle sue nuove iniziative imprenditoriali, esegue finanziamenti nei confronti di una società controllata operativa a sua volta sull’orlo dell’insolvenza non sono configurabili i cc.dd. vantaggi compensativi che presuppongono l’operatività secondo criteri di economicità di tutte le società del gruppo in modo tale che l’impiego delle risorse a favore di una controllata sia effettivamente compensato nel patrimonio della controllante dal risalire dei proventi dell’attività della controllata operativa in misura tale da assicurare il soddisfacimento anche del suo ceto creditorio. Non valgono, quindi, a configurare vantaggi compensativi per la massa dei creditori della holding che opera a patrimonio netto negativo né la destinazione del finanziamento alla riduzione del passivo della controllata di cui hanno beneficiato solo i suoi creditori, né la liberazione dalle garanzie prestate tramite un’altra società controllata di cui si è avvantaggiata semmai solo la massa dei creditori della controllata garante.
L’art. 2467 c.c. si applica anche ai finanziamenti eseguiti dai soci amministratori di società per azioni.