Art. 2487 c.c.
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Ampiezza e limiti dei poteri del liquidatore
L’art. 2489 c.c. va interpretato nel senso che il liquidatore è tenuto a compiere tutti gli atti utili alla liquidazione, salva diversa disposizione statutaria o adottata in sede di nomina, dal che discende che i poteri del liquidatore devono ritenersi di attribuzione legale e che all’assemblea sia conferito un potere sussidiario, di modularli o circoscriverli, senza tuttavia potersi discostare dallo scopo liquidatorio (e fermo restando il potere dell’assemblea di revocare la liquidazione, sussistendone i presupposti).
Salvo che lo statuto, la delibera di nomina del liquidatore o l’assemblea non vietino espressamente la cessione dell’azienda, il liquidatore è autorizzato a disporla, in fase di liquidazione, in base al generale disposto dell’art. 2489 c.c. L’alienazione dell’unica azienda o di un ramo di azienda deve ritenersi come atto modificativo dell’oggetto sociale solo nell’ipotesi in cui la società stia operando in continuità e secondo gestione caratteristica. Infatti, una volta deliberata la liquidazione, la vendita o cessione dei beni e degli assets societari costituisce la principale modalità di attuazione dello scopo liquidatorio e pertanto non integra un mutamento dell’oggetto sociale tale da richiedere la necessaria autorizzazione assembleare, così come non va a integrare una rilevante modificazione dei diritti riservati ai soci nella fase liquidatoria.
Nel caso in cui la nomina del liquidatore avviene ai sensi dell’art. 2487, co. 2, c.c., al tribunale, che non svolge un’attività meramente suppletiva di natura eccezionale, deve essere riconosciuto non solo il potere di nomina del liquidatore ma anche quello di determinare i poteri di quest’ultimo e le regole della liquidazione.
Sulla determinazione del danno derivante dalla violazione del dovere di gestione conservativa
Il danno arrecato alla società e ai creditori sociali in ragione della violazione da parte dell’organo gestorio degli obblighi meramente conservativi del patrimonio della società, una volta che questa si sia trovata in situazione di perdita del capitale sociale, non può che essere il pregiudizio arrecato al patrimonio della società da valutarsi in termini di aggravamento della perdita patrimoniale. L’aggravamento dell’insufficienza patrimoniale, quale perdita ulteriore di esso, deve essere adeguatamente provata dal curatore fallimentare che abbia a disposizione la documentazione contabile da cui poter dedurre la prosecuzione dell’attività di rischio, nonostante lo stato di scioglimento della società, e quindi ricostruire in modo corretto la sussistenza e la quantificazione della perdita patrimoniale sopportata.
Ai fini della determinazione del danno, non sono sufficienti le rettifiche operate al fine di dimostrare che il capitale sociale, in un determinato momento, è andato perduto e, eventualmente, il patrimonio netto è divenuto negativo. Viceversa, per determinare correttamente il patrimonio netto esistente in T1 occorre che il bilancio sia rettificato completamente secondo criteri di liquidazione, in modo che, all’esito dell’operazione di calcolo del danno, si attui la doverosa sterilizzazione dell’abbattimento dei valori contabili che comunque si sarebbe verificato se la società fosse stata tempestivamente posta in liquidazione.
I soci di s.r.l. titolari di un terzo del capitale hanno il potere di convocare l’assemblea
L’istanza di nomina del liquidatore proposta dal socio unico deve essere respinta poiché egli è pienamente in grado di decidere la nomina del liquidatore, senza che rilevi al riguardo, sia ai fini della convocazione dell’assemblea, sia ai fini della valida costituzione, l’assenza dell’organo amministrativo, poiché il potere attribuito dalla legge ai soci titolari di almeno un terzo del capitale di decidere gli argomenti all’ordine del giorno comporta anche quello strumentale di convocare l’assemblea.
Esercizio dei diritti sociali afferenti a quota di s.r.l. in comproprietà
In tema di esercizio dei diritti inerenti alla qualità di socio di una società di capitali, nel caso di quota indivisa in comproprietà tra più soggetti, l’art. 2468, co. 5, c.c. prevede che i diritti devono essere esercitati da un rappresentante comune. Tale disposizione detta un’ipotesi di rappresentanza necessaria, i cui poteri sono esclusivamente attribuiti al soggetto designato secondo le modalità prescritte dagli artt. 1105 e 1106 c.c., con conseguente preclusione, per i partecipanti alla comunione, del concorrente esercizio dei diritti, da intendersi come l’insieme di tutti i diritti sociali, siano essi patrimoniali, amministrativi o processuali. Corollario, questo, del principio di indivisibilità delle quote e delle azioni di cui all’art. 2347 c.c., norma che nel conferire alla partecipazione azionaria il carattere della indivisibilità, ha considerato indispensabile, in relazione alle esigenze peculiari della organizzazione societaria e alla natura del bene in comunione, la unitarietà dell’esercizio dei diritti, impedendone, quanto meno nei rapporti esterni, il godimento e l’amministrazione in forma individuale; e ciò al fine, da un lato, di evitare che contrasti interni si riflettano sulle attività assembleari e, dall’altro, di garantire certezza e stabilità delle deliberazioni assunte, correttamente approvate.
Revoca per giusta causa del liquidatore
Ai sensi dell’art. 2487, co. 4, c.c. i liquidatori possono essere revocati dal tribunale su istanza dei soci, dei sindaci o del pubblico ministero quando sussiste una giusta causa, la quale può consistere non solo in fatti integranti un significativo inadempimento degli obblighi derivanti dall’incarico, ma anche in fatti che minano il c.d. pactum fiduciae, elidendo l’affidamento riposto al momento della nomina sulle attitudini e capacità del soggetto. [Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto sussistente la giusta causa di revoca in ragione dell’insieme delle seguenti condotte: (i) la ritardata predisposizione e presentazione dei bilanci di esercizio; (ii) l’irregolare convocazione dei soci di minoranza all’assemblea soci; (iii) il mancato esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’ex organo amministrativo; (iv) l’autoliquidazione di un compenso spropositato a fronte dell’assenza di una delibera assembleare di attribuzione del compenso; (v) la presentazione della domanda di cancellazione antecedentemente allo scadere del termine per l’impugnazione del bilancio finale di liquidazione].
La clausola compromissoria inserita nell’atto costitutivo di una società, che preveda la possibilità di deferire agli arbitri le controversie tra i soci e quelle tra la società e i soci, non può essere automaticamente estesa alle controversie che coinvolgono amministratori, liquidatori o sindaci, essendo necessario a tal fine che vi sia una espressa estensione dell’ambito di operatività di detta clausola.
Sulla nomina e la revoca dei liquidatori
Per la nomina e la revoca dei liquidatori occorre la maggioranza prevista per le modificazioni dell’atto costitutivo o dello statuto (art. 2487 c.c.), con ciò intendendosi che il quorum deliberativo in materia di liquidazione è pari alle maggioranze previste dalla legge e/o dallo statuto per le modificazioni dell’atto costitutivo o dello statuto; infatti, il rinvio di cui all’art. 2487, co. 1, c.c. alle maggioranze previste per le modificazioni dell’atto costitutivo o dello statuto non è soltanto un rinvio alla previsione normativa delle maggioranze in materia di modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto, ma rappresenta piuttosto la volontà del legislatore di operare un rinvio alla materia delle modificazioni dell’atto costitutivo o dello statuto, parificando, quindi, per importanza le decisioni relative alla liquidazione a quelle relative alle modifiche dello statuto e per le quali la legge prevede, salvo diversa previsione statutaria, maggioranze più elevate rispetto a quelle, per così dire, ordinarie.
Obblighi e responsabilità del liquidatore
Come non sono addebitabili agli amministratori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte, così non è addebitabile al liquidatore la scelta gestionale in prospettiva liquidatoria che non abbia sortito l’effetto desiderato, assunta sulla base dei medesimi parametri.
Il liquidatore di società di capitali ha il dovere di procedere a un’ordinata liquidazione del patrimonio sociale, pagando i debiti secondo il principio della par condicio creditorum; tuttavia, il danno subito dai creditori a seguito di pagamenti preferenziali fatti in violazione della par condicio creditorum da amministratori e liquidatori di una società dopo che il patrimonio della medesima sia divenuto insufficiente rispetto alla massa dei crediti, è danno specifico e diretto, corrispondente alla minore misura in cui ciascuno dei creditori potrà concorrere sull’attivo liquidato.
Il liquidatore, una volta constatato che le attività sociali non consentono l’integrale pagamento dei creditori sociali, man mano che i rispettivi crediti giungono a scadenza, anziché provvedere a pagare ugualmente, deve promuovere senza indugio una procedura concorsuale per il soddisfacimento paritetico di tutti i creditori, altrimenti è chiamato a rispondere direttamente nei confronti dei creditori danneggiati, e per essi del curatore in caso di fallimento, ai sensi degli artt. 146 l. fall. e 2394 c.c.
Le dimissioni del collegio sindacale, ove non accompagnate da atti volti a impedire e contrastare il protrarsi degli illeciti gestori, non sono sufficienti ad esimere l’organo di controllo dalla responsabilità derivante dall’omessa vigilanza sulla gestione, divenendo esemplari della condotta colposa e pilatesca tenuta dal sindaco rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità. Il ragionamento di probabilità causale per definizione non conduce alla certezza, ma alla ragionevole ricostruzione di un legame tra i fatti, laddove in tema di responsabilità omissiva dei sindaci, l’inerzia è causa del danno, se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione lo avrebbe ragionevolmente evitato.
Legittimazione del terzo a impugnare il bilancio e responsabilità degli amministratori di s.r.l.
L’interesse del terzo creditore sociale all’impugnazione del bilancio per nullità non sussiste soltanto nel caso di stipulazione di un contratto per errore di fatto sulla situazione economica e finanziaria determinato da oscura o non veritiera rappresentazione della stessa nel bilancio. L’interesse ad agire in tal senso deve ravvisarsi ogniqualvolta dalla rettificazione del bilancio, conseguente all’accertamento della sua nullità, possano derivare conseguenze di rilievo sul piano giuridico. In particolare, ciò accade quando una corretta redazione del bilancio avrebbe generato la verificazione di una situazione di scioglimento della società, con conseguente applicazione della regola di cui al primo comma dell’art. 2486 c.c., in forza del quale gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.
Non trova applicazione il disposto di cui all’art. 2434 bis, co. 1, c.c., a norma del quale le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio successivo, ove sia rilevabile d’ufficio da parte del giudice la nullità della deliberazione per illiceità dell’oggetto, tale dovendo ritenersi quella di approvazione di un bilancio non chiaro o non veritiero. Infatti, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio sono inderogabili in quanto la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento a prescindere dalla condotta delle parti e rende illecita la delibera di approvazione e, quindi, nulla. Tali norme, infatti, non solo sono imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dall’interesse dei singoli soci ad essere informati dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente.
La norma di cui all’art. 2467 c.c. non si applica ai crediti dei soci nei confronti della società sorti per effetto di finanziamenti anteriori all’entrata in vigore di tale disposizione (1 gennaio 2004).
In tema di società di capitali, le dazioni di denaro dei soci in favore della società possono essere effettuate per finalità tra loro molto diverse, a cui risponde una diversità di disciplina (conferimenti, finanziamenti, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale), sicché l’organo amministrativo non è arbitro di appostare in bilancio tali dazioni, né di mutare la voce relativa, successivamente all’iscrizione originaria, dovendo quest’ultima rispecchiare l’effettiva natura e la causa concreta delle medesime, il cui accertamento, nell’interpretazione della volontà delle parti, è rimesso all’apprezzamento riservato al giudice del merito.
Gli amministratori della società sono liberi di decidere per la resistenza in giudizio pur a fronte di contestazioni della controparte, ma devono nel contempo prefigurarsi come possibile l’esito negativo della vertenza e mettere in conto i relativi maggiori costi, di ciò dando la dovuta evidenza in bilancio, e richiedere alla proprietà la ricapitalizzazione della società che ne garantisca la solvibilità anche a fronte dei rischi correlati al contenzioso in atto. Ciò vale anche nei confronti degli amministratori che non siano stati parte in giudizio.
In tema di azione di responsabilità per violazione del divieto di concorrenza ex art. 2390, co. 1, c.c. l’attività concorrenziale potrebbe risultare di rilievo per il terzo creditore della società soltanto nel caso in cui ne sia derivato un depauperamento della consistenza patrimoniale di quest’ultima.
Impugnativa della delibera di messa in liquidazione e cessazione della materia del contendere per revoca dello stato di liquidazione
Con la revoca dello stato di liquidazione viene meno la delibera di messa in liquidazione della società, la quale torna a tutti gli effetti in attività.
L’abuso della maggioranza consiste nell’esercizio arbitrario e fraudolento del diritto di voto per finalità di perseguimento di interessi divergenti da quelli della società, ovvero di lesione degli interessi dell’altro socio, essendo invece irrilevante la sussistenza di interessi confliggenti dei soci.
Il liquidatore è tenuto ad attivarsi per impedire l’aggravamento del dissesto a tutela dei creditori
In tema di fallimento, l’organo di gestione dell’ente collettivo, sia esso amministratore o liquidatore, è obbligato ad agire in maniera tale da non ritardare la dichiarazione di insolvenza della società e a non aggravarne il dissesto, pena la violazione del precetto penale di cui al combinato degli artt. 217, co. 1, n. 4, e 224 l. fall. Il ricorso fallimentare del debitore in proprio nel caso in cui questi sia una società deve essere presentato dall’amministratore dotato del potere di rappresentanza legale. Esso non necessita di alcuna autorizzazione assembleare.
I liquidatori hanno il potere-dovere di compiere tutti gli atti necessari per la liquidazione e l’assemblea può intervenire per delimitare o indirizzarne l’attività. Il liquidatore, quale rappresentante legale dell’ente, può agire tempestivamente nella richiesta di fallimento in proprio, in ciò consistendo, in assenza di valide alternative negoziali, la migliore forma di liquidazione possibile.
Deve inferirsi dal sistema l’esistenza di una regola generale che prescrive al liquidatore della società di attivarsi diligentemente per impedire un aggravamento del dissesto, in funzione di tutela dei creditori che vantano sul patrimonio sociale la garanzia generica dei loro crediti. Regola generale che trova conferma attuale nel sistema di emersione tempestiva della crisi congegnato dal codice della crisi e dell’insolvenza.
L’insolvenza di una società in liquidazione si misura sotto il profilo patrimoniale e non sotto quello finanziario. È, cioè, insolvente quella società che, posta in liquidazione, non è in grado con il suo patrimonio di soddisfare tutti i creditori. Infatti, quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 l. fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività e alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte.
Il curatore, quando agisce ai sensi dell’art. 146 l. fall., cumula tanto l’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c., quanto l’azione dei creditori ex art. 2394 c.c. Il curatore è, dunque, legittimato a pretendere il risarcimento del danno che il patrimonio della società ha subito per effetto della condotta inadempiente del liquidatore
Anche la condotta gestoria del liquidatore beneficia del metro di giudizio della business judgement rule, in forza della quale ciò che forma oggetto di sindacato da parte del giudice non è la convenienza e/o l’utilità dell’atto in sé, né il risultato che abbia eventualmente prodotto, bensì le modalità di esercizio del potere discrezionale spettante agli amministratori, che per essere immuni da critiche non devono travalicare i limiti della ragionevolezza.