Art. 2497 c.c.
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Società partecipate dalle medesime persone fisiche e storno di dipendenti
Non osta alla configurabilità di un rapporto di concorrenza, rilevante ai fini dell’art. 2598 c.c., la circostanza che le società siano partecipate dalla medesima compagine azionaria, non potendosi predicare un rapporto di gruppo tra le stesse in assenza di una situazione di eterodirezione.
La tutela contro condotte anticoncorrenziali è accordata anche quando il rapporto di concorrenza debba essere colto in una prospettiva potenziale.
Il rapporto di concorrenza può essere ravvisato non solo nella prospettiva di un medesimo mercato dei beni/ servizi offerti, ma in quella di un medesimo mercato del lavoro, con riferimento alle qualifiche e mansioni dei dipendenti/collaboratori di cui le imprese si avvalgono.
La nozione di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 cod. civ. va desunta dalla “ratio” della norma, che impone, alle imprese operanti nel mercato, regole di correttezza e di lealtà, in modo che nessuna si possa avvantaggiare, nella diffusione e collocazione dei propri prodotti o servizi, con l’adozione di metodi contrari all’etica delle relazioni commerciali; ne consegue che si trovano in situazione di concorrenza tutte le imprese i cui prodotti e servizi concernano la stessa categoria di consumatori e che operino quindi in una qualsiasi delle fasi della produzione o del commercio destinate a sfociare nella collocazione sul mercato di tali beni. Infatti, quale che sia l’anello della catena che porta il prodotto alla stessa categoria di consumatori in cui si collochi un imprenditore, questi viene a trovarsi in conflitto potenziale con gli imprenditori posti su anelli diversi, proprio perché è la clientela finale quella che determina il successo o meno della sua attività, per cui ognuno di essi è interessato a che gli altri rispettino le regole di cui alla citata disposizione.
La legittimazione passiva nell’azione di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. postula la sussistenza di un rapporto di concorrenzialità tra le parti del giudizio; ma ove la condotta illecita sia realizzata da un terzo che agisca per conto o in collegamento con un imprenditore che ne trae vantaggio, si configura una fattispecie di concorso dell’extraneus nell’illecito, da cui discende la responsabilità solidale del terzo interposto e dell’imprenditore per l’illecito concorrenziale.
L’inadempimento della società etero-diretta non dimostra la diminuzione patrimoniale della controllata e la condotta abusiva della controllante
Il creditore sociale che intenda far volere la responsabilità risarcitoria ex art.2497 c.c. di un ente che esercita attività di direzione e coordinamento sulla società debitrice è gravato dall’onere di provare tutti i seguenti fatti costitutivi della pretesa: l’esercizio da parte della società convenuta di attività di direzione e coordinamento rispetto alla società debitrice; l’essere stato tale esercizio connotato da violazione dei principi di corretta gestione societaria; l’avere siffatto esercizio prodotto una lesione alla integrità del patrimonio della società etero-diretta tale da impedire il soddisfacimento del creditore attore sul patrimonio della etero-diretta.
L’inadempimento della società debitrice etero-diretta di per sé è un fatto dal quale non è possibile inferire in via univoca una diminuzione patrimoniale della controllata posta in diretto nesso causale con la condotta della controllante e che è insufficiente a dimostrare che, in concreto, la pretesa condotta abusiva della controllante abbia prodotto la lesione della integrità del patrimonio sociale della eterodiretta rilevante ai fini dell’affermazione della responsabilità prevista dall’art.2497 cc.
Il cessionario della totalità del capitale sociale non acquista il diritto all’azione ex art. 2395 c.c.
Deve ritenersi valida la dichiarazione dell’acquirente delle partecipazioni sociali di rinuncia all’esercizio dell’azione ex art. 2395 c.c. indirizzata agli amministratori e soci della società oggetto di acquisto. La dichiarazione deve ritenersi sufficientemente determinata anche quando faccia riferimento generico ai fatti inerenti l’acquisto delle partecipazioni.
Legittimato all’azione di responsabilità ex art. 2395 c.c. (così come ex art. 2497 c.c.) è il socio che era tale nel momento in cui si è verificato il danno al valore o reddittività della partecipazione. Tale danno, inerendo alla partecipazione, si manifesta direttamente nel patrimonio personale del socio, sub specie di danno all’investimento: è solo in questo patrimonio che si determina la diminuzione di valore della partecipazione o la sua mancata reddittività. Ne consegue che il diritto al risarcimento ex art. 2395 c.c. non circola unitamente alla partecipazione ed invece separatamente da essa. Perciò il socio mantiene la legittimazione ad agire, rispetto a danni subiti alla partecipazione quando era socio, anche dopo che ha ceduto la partecipazione ad altri. E viceversa, i cessionari non acquistano, per il solo fatto di essere cessionari della partecipazione, il diritto al risarcimento del danno causato dall’abuso antecedente all’acquisito salvo specifiche pattuizione contenute nel contratto di cessione.
La nullità di cui all’art. 1229 c.c. deve ritenersi predicabile delle rinunce preventive, non di quelle successive. La ragione del divieto sanzionato da nullità non ricorre quando l’accordo o l’impegno siano assunti dopo che la condotta da cui potrebbe sorgere la responsabilità si sia già compiuta e quindi in un momento in cui il creditore sia posto in condizione di esaminare la condotta fonte di responsabilità. Non si tratta infatti di accordo preventivo di esonero di responsabilità per dolo o colpa grave, ma dichiarazione di rinuncia ad un proprio diritto di azione e ad un (eventuale) credito risarcitorio.
Responsabilità da direzione e coordinamento relativa a società controllata da ente pubblico
L’art. 2497 c.c. può trovare applicazione anche nelle ipotesi in cui il potere di eterodirezione competa ed un soggetto pubblico (e, quindi, anche ad un ente locale), purché diverso dallo Stato (così come chiarito dalla norma di interpretazione autentica dell’art. 19 del d.l. 78/2009, convertito nella L. 102/2009, second cui “L’articolo 2497, primo comma, del codice civile si interpreta nel senso che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria”).
La responsabilità ex art. 2497, I co., c.c. presuppone che il pregiudizio alla redditività ed al valore della partecipazione dei soci (di minoranza) della società eterodiretta, e/o la lesione dell’integrità del patrimonio sociale, con susseguente insufficienza dello stesso al soddisfacimento dei
creditori sociali, siano portato e conseguenza di attività e scelte poste in essere in esecuzione di direttive ascrivibili alla cd. holding ed integranti esercizio abusivo ed illegittimo dell’attività di direzione e coordinamento, in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della società eterodiretta. Segnatamente, la società controllante o titolare di una posizione che le consenta l’esercizio di attività di direzione e coordinamento nei confronti di altre società potrà essere chiamata a rispondere degli atti posti in essere dagli amministratori di queste ultime, a condizione che risulti che detti atti gestori, oltre ad essere orientati al perseguimento dell’interesse
imprenditoriale della holding, in violazione dei principi di corretta gestione della società eterodiretta, siano, altresì, riguardabili, in concreto, come momenti di attuazione di direttive ed istruzioni impartite dalla medesima holding, sì da essere alla stessa addebitabili.
La fattispecie di responsabilità ex art. 2497 c.c. in materia di società controllate da enti pubblici presuppone la prova, a carico della parte che la invoca, della esistenza “cumulativa” non solo a) della titolarità, in capo ad una società o ad un ente, di un potere di direzione e di coordinamento nei confronti di altra società, ma anche degli ulteriori elementi quali b) la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della eterodiretta; c) l’agire nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui; d) il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione e/o la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società; e) lo stretto nesso di causalità tra la condotta di eterogestione abusiva ed il pregiudizio prospettato.
Affinché una condotta della parte “dirigente/coordinante”, posta in essere sulla base della relazione con la “eterodiretta/coordinata”
ed in attuazione del potere di direzione in questione, si colori di antigiuridicità è necessario che il perseguimento dell’interesse
proprio o altrui della società in posizione apicale sia incompatibile con gli interessi della “eterodiretta/coordinata”, sì da risultare (di conseguenza) da un lato contrario al dovere della prima di gestire con correttezza il proprio potere sulla seconda (“mala gestio” ex art. 2497 c.c.) e, dall’altro (e parimenti di conseguenza), causativo, a quest’ultima, come effetto immediato e diretto ex artt. 1223 e 2056 c.c., di un pregiudizio.
Responsabilità dell’amministratore verso la società e riparto dell’onere probatorio
In tema di responsabilità (contrattuale) dell’amministratore verso la società, spetta all’amministratore fornire la prova che gli inadempimenti specificamente allegati dalla società non sono a lui imputabili per andare esente da responsabilità, essendo a tal fine insufficienti allegazioni prive di ogni elemento di riscontro.
Profili di responsabilità degli amministratori alla luce della Business Judgement Rule. Solidarietà passiva nelle transazioni
La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che questa ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (il Giudicante richiama Cass. 11.11.2010 n. 22911).
All’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità” (il Giudicante richiama Cass. 12.2.2013 n. 3409 e Cass. 2.2.2015 n. 1783).
In tema di responsabilità dell’amministratore di una società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata, l’insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione (cd. “business judgement rule”) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi sia “ex ante”, secondo i parametri della diligenza del mandatario, alla luce dell’art. 2392 c.c., – nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla novella introdotta dal d.lgs. n. 6 del 2003 – sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere” (il Giudicante richiama Cass. 22.6.2017 n. 15470).
Il debitore che non sia stato parte della transazione stipulata dal creditore con altro condebitore in solido non può profittarne se, trattandosi di un’obbligazione divisibile ed essendo stata la solidarietà prevista nell’interesse del creditore, l’applicazione dei criteri legali d’interpretazione dei contratti porti alla conclusione che la transazione ha avuto ad oggetto non l’intero debito ma solo la quota di esso riferibile al debitore che ha transatto; in caso contrario, il condebitore ha diritto a profittare della transazione senza che eventuali clausole in essa inserite possano impedirlo. Qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che la ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se invece il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto (il Giudicante richiama Cass. SU 30.12.2011 n. 30174).
L’appartenenza di una società ad un gruppo non legittima l’amministratore a depauperare tale società a beneficio di altre società del gruppo o della controllante
L’art. 2392 c.c. delinea una responsabilità di natura contrattuale per inadempimento dei doveri funzionali dell’organo amministrativo, il quale, nell’esecuzione del mandato, deve operare scelte volte alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, rispettando le regole (anche tecniche) di corretta gestione e la cui responsabilità che non viene meno neppure se ha agito in esecuzione di un mandato assembleare o in conformità di delibere del Consiglio di Amministrazione o con l’assenso (o il mancato dissenso) del Collegio Sindacale.
L’art. 2392 c.c. sancisce il principio di solidarietà verso la società per i danni derivanti dall’inosservanza dei diversi obblighi posti a carico degli amministratori, a cui si aggiunge la responsabilità solidale dei membri del collegio sindacale quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità agli obblighi connessi alla carica: il che significa, in conformità ai principi generali in tema di solidarietà, che nei rapporti esterni ciascun amministratore sarà tenuto al risarcimento dell’intero, e che, eventualmente, il debito solidale potrà essere ripartito nei rapporti interni mediante azioni di regresso.
La business judgment rule opera esclusivamente quando le decisioni operative sono assunte secondo i principi di corretta gestione societaria e, quindi, quando gli atti di gestione (i) sono conformi alla legge e allo statuto sociale, (ii) non sono contaminati da situazioni di conflitto di interesse dei gestori, (iii) sono assunti all’esito di un procedimento di assunzione di informazioni propedeutiche alla decisione gestoria adeguato all’incidenza sul patrimonio dell’impresa e (iv) sono razionalmente coerenti con le informazioni e le aspettative di risultato emerse dal procedimento istruttorio.
A fronte di comportamenti dell’amministratore che ledono il patrimonio dell’ente a vantaggio di altre società del gruppo, e perciò appaiono contrari al suo obbligo di perseguire una corretta gestione societaria, gli eventuali benefici compensativi non possono ritenersi sussistenti solo perché la società fa parte di un gruppo, dovendo l’amministratore “farsi carico di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta”, e fermo restando che non si possono considerare compensabili nel senso indicato dalla norma i pregiudizi che minano l’esistenza stessa della società del gruppo, né tantomeno i pregiudizi che comportano il venir meno della liquidità necessaria per la sopravvivenza di essa.
E’ responsabile, ex art. 2392 c.c., l’amministratore che autorizzi o imponga alla società parte di un gruppo il pagamento di somme per servizi non resi in favore di una controllante indiretta: si tratta di comportamento in violazione dei più elementari doveri di diligenza verso la società amministrata.
Sussiste la mala gestio, e la conseguente responsabilità dell’amministratore della società controllata, laddove tale società conceda finanziamenti e prestiti in favore della controllante in situazione di conflitto di interesse, in assenza di preventiva approvazione del C.d.A., e per fini non riconducibili alla controllata sotto il profilo della convenienza indiretta dell’operazione.
Attività da direzione e coordinamento – presunzione e onere probatorio
Ai fini della configurabilità dell’esercizio di attività da direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c. il ricorso alla presunzione ex art. 2497 sexies c.c. non soddisfa pienamente l’onere probatorio, essendo necessario, per colui che agisce ex art. 2497 c.c., allegare gli elementi costitutivi dell’abuso dell’attività da direzione e coordinamento dovendo provare l’esercizio in fatto dell’eterodirezione con riguardo alle operazioni gestorie contestate.
Azione diretta della società eterodiretta nei confronti della società esercente attività di direzione e coordinamento
Nonostante, sulla base dell’art. 2497, c. 1, c.c., l’azione risarcitoria per i danni derivanti dall’esercizio abusivo dell’attività di direzione e coordinamento sia riservata unicamente ai soci e ai creditori della società soggetta a tale attività, essa è volta a fare valere la responsabilità diretta (di tipo contrattuale) della società esercente l’attività di direzione e coordinamento per i danni che l’illegittima attività da quest’ultima esercitata abbia cagionato al patrimonio della società etero-diretta, in base ai principi generali di cui agli artt. 1173 e 1218 c.c. Pertanto, l’art. 2497, c. 1, c.c. svolge una funzione conformativa della fattispecie anche rispetto alla responsabilità della società dirigente verso il soggetto direttamente danneggiato, ossia la società controllata. [ LEGGI TUTTO ]
Danno da abusiva attività di direzione e coordinamento: legittimazione attiva e prescrizione dell’azione
L’azione svolta ai sensi dell’art. 2497 c.c. è posta a tutela di un diritto risarcitorio del socio della società eterodiretta, il quale fa valere un danno riflesso, ma proprio, per la perdita di valore e redditività della partecipazione, cagionato dall’abusiva attività di direzione e coordinamento della capogruppo. La qualità di socio della società eterodiretta nel momento in cui viene realizzata la condotta abusiva della capogruppo è sufficiente per legittimare la richiesta risarcitoria. Infatti, poiché tale richiesta riguarda un diritto entrato nel patrimonio del socio attore per effetto della condotta abusiva contestata, è irrilevante che la qualità di socio sia venuta a cessare nel corso del giudizio.
Indipendentemente dalla qualificazione dell’azione ex art. 2497 c.c. come contrattuale o extracontrattuale, il diritto con essa azionato rientra nel novero dei diritti derivanti da rapporti sociali. Pertanto, a tale diritto si applica il termine prescrizionale breve di cinque anni di cui all’art. 2949 c.c., con dies a quo individuato nel momento in cui è risultato conoscibile il pregiudizio agli interessi sociali.
La proposizione di ricorso ex art. 2409 c.c. non interrompe la prescrizione del diritto al risarcimento del danno cagionato al socio da abusiva attività di direzione e coordinamento in quanto tale ricorso è inteso ad apprestare rimedi volti a rimuovere la situazione irregolare e non contiene alcuna richiesta di tipo risarcitorio come, invece, quella azionata ex art. 2497 c.c.