Art. 2504 quater c.c.
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Revocatoria dell’atto di scissione e sequestro conservativo ex art. 2905, co. 2, c.c. dei beni delle beneficiarie della scissione
L’art. 2504 quater c.c. (richiamato, in tema di scissione, dall’art. 2506 ter c.c.), ponendo un limite cronologico entro il quale può essere esperita l’azione di accertamento delle nullità rilevanti erga omnes, opera su un piano differente da quello dell’actio pauliana che incide, invece, sull’efficacia dell’atto limitatamente a vantaggio del solo creditore che abbia agito in revocatoria. I due rimedi, quello dell’opposizione del creditore e quello dell’azione revocatoria, sono tra loro concorrenti.
La scissione parziale di una società può determinare una diminuzione della garanzia generica assicurata ai terzi creditori dal patrimonio netto della società scissa, che viene a essere anche solo in parte scorporato, configurandosi in astratto il presupposto oggettivo dell’eventus damni richiesto per l’esercizio della tutela revocatoria, laddove nella parte di patrimonio della società scissa, trasferito a quella beneficiaria, siano ricompresi beni immobili.
Nel caso di scissione, il cumulo di società debitrici, realizzato dall’art. 2506 quater, co. 3, c.c., determinando un frazionamento del limite di responsabilità tra coobbligati, comporta il pregiudizio (idoneo a integrare il presupposto dell’eventus damni richiesto dall’art. 2901 c.c.) per il creditore tenuto, in caso di incapienza del limite di valore del singolo debitore, a dover moltiplicare le azioni dirette alla soddisfazione dell’intero importo del credito.
Il periculum in mora, nel caso di sequestro ai sensi dell’art. 2905, co. 2, c.c., si atteggia come pericolo di perdere la possibilità di poter aggredire in via esecutiva, ex art. 2902, co. 1, c.c., quella parte di patrimonio di cui il debitore ha già disposto in favore dei terzi. L’esistenza del periculum in mora deve essere verificata con riferimento al rischio concreto che il terzo acquirente si disfi, a sua volta, del bene proveniente dal patrimonio del debitore.
L’oggetto del sequestro conservativo disciplinato dall’art. 2905, co. 2, c.c., non è la pluralità dei beni appartenenti al patrimonio del debitore fino alla concorrenza dell’importo corrispondente al credito, come nell’ipotesi generale di sequestro conservativo, ma esattamente il bene alienato dal debitore.
Simulazione e invalidità della scissione, azione revocatoria
Alla luce del combinato disposto di cui agli artt. 2504-quater e 2506-ter, co. 5 c.c., deve ritenersi preclusa in radice qualsivoglia statuizione che implichi la caducazione degli effetti dell’operazione straordinaria di scissione, ivi compresa l’asserita simulazione del negozio, posto che l’eventuale esito vittorioso determinerebbe – diversamente dall’azione revocatoria, che in caso di accoglimento ne comporterebbe soltanto l’inefficacia – una profonda e irreversibile modificazione degli assetti societari, in spregio alle esigenze di certezza e stabilità cui tende il disposto dell’art. 2504-quater c.c., richiamato dall’art. 2506-ter c.c. Trattasi di disposizione che, in quanto posta a garanzia della certezza e della stabilità dell’operazione straordinaria, anche e soprattutto nell’interesse dei terzi, non è suscettibile di deroga pattizia.
Di contro, l’azione revocatoria dell’atto di scissione societaria deve ritenersi sempre esperibile, in quanto mira a ottenere l’inefficacia relativa dell’atto, che lo rende inopponibile al solo creditore pregiudicato, al contrario di ciò che si verifica nell’opposizione dei creditori sociali prevista dall’art. 2503 c.c., finalizzata, viceversa, a farne valere l’invalidità.
Sindacabilità della determinazione del rapporto di concambio in caso di fusione
La determinazione del valore effettivo del patrimonio delle società partecipanti alla fusione può essere verificata in sede giudiziale, attraverso una consulenza tecnica d’ufficio mediante la quale il giudice non sostituisce il proprio metodo di valutazione a quello individuato dagli amministratori, ma ne verifica l’attendibilità in termini tecnici con riferimento alle caratteristiche delle società partecipanti all’operazione straordinaria e, conseguentemente, in relazione alla sua incidenza sulla determinazione del rapporto di cambio. Rispetto al valore effettivo dei patrimoni sociali, eventuali differenze nel concambio devono trovare giustificazione adeguata in termini economici.
E’ pertanto ammissibile entro certi limiti il sindacato giurisdizionale, in quanto afferente al controllo di legittimità dell’operato dei soggetti coinvolti nel procedimento di fusione e non incidente su scelte di merito di esclusiva pertinenza dell’organo amministrativo. Il controllo del giudice sull’operato degli amministratori deve essere quindi ristretto nei limiti della ragionevolezza ed adeguatezza dei criteri seguiti ed ai casi in cui il rapporto di cambio sia stato determinato in modo arbitrario e non congruo o sulla base di dati incompleti o inveritieri.
Nel procedimento diretto alla fusione o alla scissione gli amministratori ed i loro esperti effettuano senz’altro delle scelte discrezionali che, tuttavia, devono essere coerenti con i principi di diritto e della buona tecnica (di cui peraltro devono dare conto nella relazione), con strumenti e modalità idonee ad assicurare agli azionisti il diritto all’informazione funzionale all’esercizio del voto. Pertanto, il sindacato giurisdizionale, in quanto diretto a verificare il mancato rispetto dei canoni di ragionevolezza o congruità, non si sostituisce all’operato degli amministratori e ciò, a fortiori, nell’ipotesi prevista dall’art. 2504-quater c.c., ovvero allorquando sia intervenuta l’iscrizione delle delibere e dei relativi atti di fusione o scissione non più modificabili. Talché il sindacato risulta funzionale al solo accertamento di un pregiudizio che sia derivato ai soci da tale operato ed alla liquidazione del medesimo.
Quando la determinazione del rapporto di concambio non soddisfa le regole tecniche della materia o le procedure (ovvero entrambe) che disciplinano i criteri da applicare ai fini della sua congruità giuridica ed economico-patrimoniale, e ciò nonostante l’assemblea ugualmente deliberi di approvare il progetto di fusione, deve essere affermata la responsabilità della società scaturente dall’operazione straordinaria. In tale contesto il presupposto del danno lamentato dai soci di una delle due società partecipanti alla fusione è il fatto che tale società viene sottovalutata rispetto al suo reale valore oppure l’altra è sopravvalutata. L’effetto che ne deriva è identico. Le azioni o le quote che vengono assegnate ai soci della società sottovalutata (o sì correttamente valutata, ma messa in relazione a una società sopravvalutata) rappresentano una partecipazione al capitale della società di nuova costituzione inferiore a quella che sarebbe spettata in conseguenza di una corretta valutazione.
Dibattito sull’ammissibilità della revocatoria ordinaria dell’atto di scissione
Sull’invalidità della scissione
Il disposto dell’art. 2504-quater, comma 1, c.c., richiamato con riferimento alle operazioni di scissione dall’art. 2506-ter, comma 5 c.c. – a mente del quale: “eseguite le iscrizioni dell’atto di fusione a norma del secondo comma dell’art. 2504, l’invalidità dell’atto di fusione non può più essere pronunciata”, restando salva unicamente la possibilità per i soci o i terzi danneggiati dall’operazione di ottenere una tutela risarcitoria – impone che, una volta adempiuta l’iscrizione dell’operazione straordinaria nel registro delle imprese, qualsivoglia rimedio diretto a invalidare l’operazione medesima è precluso. L’unico spazio di manovra per i soggetti che si ritengono lesi dall’operazione è compreso, dunque, tra l’assunzione della delibera con cui è stata approvata la fusione o la scissione e l’ultimo adempimento degli oneri di pubblicità; successivamente a tale momento, ai soci o ai terzi che si assumono danneggiati dall’operazione medesima non resta che il diritto al risarcimento dei danni. Tale meccanismo risponde a chiare esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi e di certezza dei traffici giuridici e non soggiace ad eccezioni di sorta. L’iscrizione nel registro delle imprese della scissione costituisce, dunque, una preclusione di carattere assoluto, rendendo inattaccabile l’operazione iscritta.
Invalidità dell’atto di fusione e inesistenza della delibera assembleare
La determinazione del giudice competente dev’essere compiuta con riferimento al petitum e alla causa petendi dedotti dall’attore, mentre le controdeduzioni del convenuto rilevano soltanto quando rendono evidente che la prospettazione dell’attore costituisce mero artificio verbale, tendente a portare la causa davanti a un giudice diverso da quello naturale. Spetta poi al giudice del merito, una volta radicata la causa, pronunziarsi sul fondamento delle domande ed eccezioni, senza essere vincolato dalle qualificazioni giuridiche sostenute dalle parti. Non vi è dubbio che le impugnazioni delle delibere assembleari rientrino nella competenza del Tribunale delle Imprese, così come non v’è dubbio che l’impugnazione della parte straordinaria relativa alla fusione e il conseguente accertamento del credito vadano trattate innanzi al medesimo Tribunale adito, sussistendo ragioni di connessione oggettiva con l’originaria impugnazione.
Nell’ambito di un’azione di impugnazione della delibera straordinaria di approvazione del progetto di fusione, ove nelle more tra la notifica dell’atto di citazione e la prima udienza di comparizione delle parti intervenga l’iscrizione presso il registro delle imprese della delibera di fusione, viene meno l’interesse ad agire di parte attrice in relazione all’impugnazione della delibera medesima in ragione del disposto dell’art. 2504 quater, che prevede l’impossibilità di dichiarare l’invalidità o l’inefficacia della fusione, e degli atti presupposti, ove l’atto di fusione sia stato rogato e iscritto.
La modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali.
L’inesistenza della delibera assembleare di società di capitali ricorre quando manca alcuno dei requisiti procedimentali indispensabili per la formazione di una delibera imputabile alla società, determinandosi così una fattispecie apparente, non sussumibile nella categoria giuridica delle deliberazioni assembleari. Dopo la riforma del 2003 sono, infatti, state ampliate le ipotesi di nullità e di annullabilità delle delibere proprio al fine di oscurare il dilagante fenomeno della categoria, di derivazione dottrinale e giurisprudenziale, delle delibere inesistenti e ciò anche in ragione del principio di tassatività delle cause di invalidità.
La pubblicità sanante nella fusione
Dal momento dell’iscrizione dell’atto di fusione al Registro delle Imprese si determina l’improcedibilità di qualsiasi impugnazione avverso le deliberazioni di fusione assunte dalle società che hanno preso parte alla fusione medesima.
Ammissibilità dell’azione revocatoria dell’atto di scissione
L’azione revocatoria ordinaria è preordinata unicamente a preservare e garantire il diritto del creditore di agire in via esecutiva sul patrimonio del proprio debitore, cosicché resti salva la garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c. e si ricostituisca quel patrimonio nella sua consistenza qualitativa e quantitativa anteriore all’atto dispositivo, attualmente o potenzialmente pregiudizievole. Attraverso tale tipo di tutela, di accertamento, il creditore realizza e rende concreta la garanzia generica di cui all’art. 2740 c.c., in due momenti consecutivi: egli può dapprima rendere inefficaci, nei soli propri confronti, quegli atti dispositivi che il debitore ha compiuto, pur consapevole dell’esistenza del vincolo obbligatorio, e che rappresentino, per il verificarsi di una conseguenziale diminuzione del patrimonio di quest’ultimo, un concreto pregiudizio dell’interesse creditorio; poi, a seguito dell’eventuale dichiarazione di inefficacia dell’atto, diviene legittimato a promuovere nei confronti dei terzi acquirenti o beneficiari le azioni conservative ed esecutive sui beni oggetto di disposizione (art. 2902 c.c.).
Ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. non è necessario che il creditore sia titolare di un credito certo, liquido ed esigibile, bensì è sufficiente una semplice aspettativa che non si riveli prima facie pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata: dunque anche il credito litigioso è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore. Nell’ambito dell’azione revocatoria la cognizione del giudice sul credito è meramente incidentale.
È ammissibile l’azione revocatoria ordinaria di un atto di scissione societaria attuata mediante costituzione di una nuova società beneficiaria di parte del patrimonio della società scissa. Questo poiché l’atto di scissione integra a tutti gli effetti un atto di disposizione patrimoniale che risponde ai requisiti di cui all’art. 2901 c.c.: la scissione, infatti, comporta un mutamento della titolarità soggettiva (dalla scissa alla beneficiaria) di una parte del patrimonio della società scissa.
All’esperibilità dell’azione revocatoria non è di ostacolo il disposto normativo dell’art. 2504 quater c.p.c. il quale prevede che, dopo l’iscrizione della fusione nel Registro delle Imprese, l’invalidità dell’atto di fusione non possa essere pronunciata: tale norma, infatti, esclude solo una dichiarazione di invalidità (per nullità o annullamento) dell’atto di fusione o scissione, mentre l’azione revocatoria non determina alcuna invalidità dell’atto di scissione, bensì la sua semplice inefficacia relativa, rendendolo inopponibile al creditore pregiudicato.
All’applicazione della norma di cui all’art. 2901 c.c. all’atto di scissione non è di ostacolo neppure la disciplina della solidarietà dal lato passivo, conseguente alla scissione ex art. 2506 quater, co. 3, c.c. in quanto il rimedio previsto dal menzionato art. 2506 quater c.c. è del tutto diverso dall’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c.: infatti, il compimento di un atto di disposizione del proprio patrimonio (comportante una diminuzione della garanzia di cui all’art. 2740 c.c.) da parte di un coobbligato solidale consente al creditore di esercitare nei suoi confronti l’azione revocatoria (ricorrendone i presupposti), essendo irrilevante se i patrimoni degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l’adempimento, dal momento che la solidarietà dal lato passivo per l’adempimento di un’obbligazione pecuniaria determina una pluralità di rapporti giuridici di credito-debito, tra loro distinti ed autonomi.
Laddove il bene oggetto dell’azione revocatoria sia rimasto nel patrimonio della società beneficiaria della scissione, l’effetto della revocatoria è quello di consentire le azioni esecutive e conservative direttamente sul bene oggetto dell’azione con preferenza rispetto agli altri creditori del debitore; tale preferenza non sussiste, invece, nel caso di azione diretta a far valere la responsabilità solidale delle due società coinvolte nella scissione che consente al creditore di agire entro il limite del valore effettivo del patrimonio netto assegnato o rimasto ma solo in posizione di parità rispetto a tutti gli altri creditori.
L’esperibilità del rimedio generale di cui all’art. 2901 c.c. non può escludersi in ragione dell’esistenza, in favore dei creditori della società scissa, di uno specifico strumento di tutela anticipata, quale quello previsto dall’art. 2503 c.c. (applicabile alla scissione in forza del richiamo contenuto nell’ultimo comma dell’art. 2506 ter c.c.), in virtù del quale i creditori possono fare opposizione alla scissione entro sessanta giorni dall’iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese: infatti l’opposizione ex art. 2503 c.c. e l’azione revocatoria costituiscono strumenti di tutela profondamente diversi sul piano funzionale, avendo una diversa legittimazione attiva, un diverso momento di operatività, nonché diversi termini di attivazione e diverse conseguenze in caso di accoglimento.
Nel caso di scissione societaria, la valutazione circa l’onerosità o la gratuità dell’atto (funzionale all’individuazione dei presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria) deve essere effettuata non con riferimento agli effetti patrimoniali che l’operazione produce per i soci delle società coinvolte, che restano del tutto irrilevanti nella prospettiva dei creditori della società scissa, ma con riferimento alle conseguenze che la scissione produce sul patrimonio della società debitrice interessata dalla scissione.
Il perfezionamento della scissione preclude l’accertamento dell’invalidità della delibera che la approva
Qualora nel corso di un giudizio di impugnazione della deliberazione di scissione parziale si perfezioni la procedura di scissione, allora si avrà preclusione all’accertamento dell’invalidità della delibera e del conseguente atto di scissione. Infatti l’art. 2504 quater c.c. introduce un effetto sanante derivante dall’iscrizione dell’atto di scissione nel registro delle imprese, diretto a garantire la certezza dei rapporti societari. Visto il tenore della norma, l’effetto riguarda sia i vizi dell’atto finale, sia i vizi di nullità o annullabilità degli atti intermedi della procedura di scissione, in quanto la ratio legis è indiscutibilmente quella di assicurare la stabilità dell’operazione negoziale una volta perfezionata.
Non può ritenersi che la preclusione sancita dall’art. 2504 quater c.c. si riferisca alle sole ipotesi di invalidità dell’atto e non anche a quelle della sua inefficacia nei confronti dei creditori opponenti derivante dalla violazione del disposto dell’art. 2503 c.c., secondo il quale l’operazione non può essere attuata, salvo il provvedimento autorizzativo del Tribunale, se nel termine di sessanta giorni dall’iscrizione della deliberazione di scissione nel registro delle imprese sia stata proposta opposizione da parte di un creditore.
Opposizione alla fusione dei creditori e azione di responsabilità
Nessuna invalidità o “inefficacia” della fusione può essere pronunciata nel caso in cui l’opposizione dei creditori tempestivamente notificata a seguito della spedizione dell’atto nel termine di cui agli artt. 2503 o 2505-quater c.c. pervenga alla società partecipante dopo la stipula dell’atto di fusione [ LEGGI TUTTO ]