Art. 2555 c.c.
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Trasferimento di fatto dell’azienda mediante distrazione cespiti e responsabilità solidale tra gli amministratori della cedente e la cessionaria
Il trasferimento d’azienda può avvenire anche in via di mero fatto, vale a dire in assenza di un formale atto di cessione, ogni qualvolta si determini il passaggio ad un diverso soggetto giuridico di un complesso di beni di per sè idoneo a consentire l’inizio o la continuazione di una determinata attività d’impresa, requisito configurabile anche quando detto complesso non esaurisca i beni costituenti l’azienda o il ramo ceduti, ma per la sussistenza del quale è indispensabile che i beni oggetto del trasferimento conservino un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario, all’esercizio dell’impresa.
Sono individuabili una serie di circostanze sintomatiche, idonee a disvelare (pur in assenza di un formale contratto tra le parti) l’esistenza di un trasferimento di fatto dell’azienda in ragione della distrazione e del travaso in favore di una seconda società di una serie di elementi che nel loro complesso rappresentano un’utilità economica organizzata idonea a consentire la prosecuzione dell’attività di impresa; sono tali, ad esempio, l’analogia o l’identità delle attività esercitate, l’identità soggettiva dei soci o delle cariche sociali e dei dipendenti e collaboratori impiegati, il trasferimento di una parte significativa dei beni aziendali e l’esistenza degli stessi clienti e fornitori [indici, questi, tutti ravvisabili nel caso di specie, ove – sebbene tra le due società fosse stato definito un contratto formale di cessione di attrezzature – si era verificata un trasferimento occulto di azienda con sovrapponibilità tra le stesse ed una identità di attività e di fattori produttivi: (i) identità di soggetti coinvolti quali soci ed amministratori; (ii) medesima attività di impresa svolta; (iii) trasferimento di quasi tutti i dipendenti; (iv) acquisizione di numerosi beni strumentali; (v) trasferimento dei contratti di appalto con gli stessi clienti della prima ed alle medesime condizioni giuridiche ed economiche].
Orbene, al trasferimento di fatto d’azienda consegue, quale effetto naturale, un fenomeno successorio anche in relazione ai contratti di impresa e, quindi, il subentro del cessionario, ai sensi dell’art. 2558 c.c., in tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale. Subentro automatico che appare riferibile non solo ai cosiddetti “contratti di azienda”, vale a dire quelli aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale, ma anche ai cosiddetti “contratti di impresa”, vale a dire quelli attinenti all’organizzazione dell’impresa stessa, come i contratti di appalto.
Il trasferimento di fatto d’azienda, così come la successione contrattuale che ne discende, non integra di per sé una condotta illecita, ma può dar luogo ad una tutela risarcitoria, qualora il trasferimento, di fatto appunto, in astratto perfettamente lecito, presenti evidenti connotati di illiceità e sia finalizzato a sottrarre l’azienda alla garanzia dei creditori o, comunque, a distrarne il patrimonio e l’avviamento a fronte di un prezzo vile o, addirittura, in assenza di corrispettivo.
Il trasferimento di fatto dell’azienda tramite spoliazione dei cespiti produttivi e lo svuotamento della prima società in ragione del trasferimento dei beni aziendali in capo ad una seconda, con contestuale cessazione della attività della prima (in ragione della assenza di beni organizzabili per lo svolgimento di una attività di impresa o, comunque, in conseguenza della loro dismissione) costituisce illecito per atti di mala gestio e riveste natura di condotta distrattiva di beni e di avviamento; in tale situazione è riconosciuto alla società danneggiata ed ai creditori sociali il diritto di ottenere il risarcimento dei danni e la condanna – in solido per concorso tra loro – degli amministratori della cedente e della società cessionaria beneficiaria (l’identità dei soci e degli amministratori rendono verosimile ritenere che la società beneficiaria fosse consapevole) del trasferimento di fatto e degli atti distrattivi dell’azienda.
Distinzione tra cessione di quote sociali e cessione di azienda
Il negozio di cessione di quote sociali non può essere riqualificato quale contratto di cessione di azienda che obblighi il cedente a rispondere dei debiti sociali ai sensi dell’art. 2560 c.c. Infatti, quale che sia l’attività svolta da una società commerciale e quale la consistenza del suo patrimonio, il trasferimento da un soggetto ad un altro di una quota di partecipazione non è mai qualificabile come trasferimento della proprietà o del godimento di un’azienda, che è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa ai sensi dell’art. 2555 c.c. Tale equiparazione non può essere neppure operata mediante il richiamo alla disciplina fiscale (cfr. art. 20 d.p.r. 131/86, TUR, come modificato dalla l. 205/2017 e dalla l. 145/2018) che, ai fini dell’imposta di registro, richiama l’intrinseca natura e gli effetti giuridici prodotti dall’atto. A fini fiscali, si è dunque ritenuto che potessero essere riqualificati, quali cessione di azienda, due distinti negozi, di conferimento di azienda in una società di nuova costituzione e di successiva cessione delle partecipazioni della società stessa. Tale prospettazione qui non è corretta tenuto conto che: (i) la cessione totalitaria di partecipazione non ha la stessa natura e non produce gli stessi effetti della cessione di azienda (ad esempio, la prima attribuisce al cessionario un diritto personale di partecipazione alla vita societaria e non un diritto reale sul patrimonio sociale distinto dalla persona dei soci); (ii) i successivi interventi legislativi (art. 1, co. 87, l. 205/2017 e art. 1, co. 1084, l. 145/2018), confermati da due sentenze della Corte Costituzionale n. 158/2020 e 39/2021, impongono di esaminare, anche a fini fiscali, individualmente ogni singolo atto.
La non cedibilità dell’autorizzazione amministrativa per l’esercizio dell’attività
Le autorizzazioni amministrative, relative allo svolgimento di determinate attività, hanno carattere personale e come tali non sono riconducibili ai beni che compongono l’azienda, né possono essere cedute. Pertanto, le espressioni con le quali, nei negozi relativi alla cessione di azienda, si dichiari che il venditore cede le relative licenze commerciali vanno intese nel senso più limitato dell’assunzione di un obbligo a rinunciare alle medesime e a non opporsi alla concessione di una nuova licenza in capo al nuovo titolare dell’azienda. La rinuncia all’autorizzazione amministrativa da parte del venditore, dunque, costituisce il mezzo per rendere possibile l’ottenimento dell’autorizzazione per il lecito esercizio dell’attività acquistata dall’acquirente.
Presupposti per la sussistenza del collegamento negoziale in relazione ad un’operazione di cessione di rami d’azienda con subentro nei relativi contratti di locazione
Affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale.
La valutazione della sussistenza del collegamento richiede, quindi, l’accertamento di due presupposti. Uno soggettivo, costituito dalla volontà delle parti di realizzare con più contratti un’unica operazione economica ed uno oggettivo, consistente nel nesso teleologico tra gli accordi, tutti accomunati dal fine di regolamentare diversi aspetti di un medesimo assetto negoziale.
Decreto ingiuntivo emesso per debito derivante da un contratto di cessione d’azienda e opposizione a precetto
Risoluzione per inadempimento del contratto di cessione d’azienda e ripartizione dell’onere probatorio
In materia di risoluzione del contratto di cessione di azienda per inadempimento ex art. 1453 c.c., spetta al creditore cedente la dimostrazione della fonte negoziale o legale del proprio credito e, se previsto, del relativo termine di scadenza, nonché l’allegazione dell’inadempimento del cessionario; spetta, invece, al debitore cessionario provare il fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto.
Simulazione parziale di un contratto di cessione aziendale nella parte relativa al prezzo
Il contratto definitivo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni delle parti inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del preliminare, determinando quest’ultimo soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del definitivo. Ne discende che qualora i contraenti, nella propria autonomia negoziale e nell’ambito delle facoltà agli stessi facenti capo, decidano di prevedere nel definitivo una disciplina non conforme a quella del preliminare, quest’ultimo resta superato, a meno che tali contraenti non ne abbiano espressamente previsto la relativa sopravvivenza, in tutto o in parte, o che il contraente interessato fornisca elementi probatori idonei a vincere la presunzione di conformità dell’assetto negoziale risultante dal definitivo alla volontà dei contraenti.[Nella specie si chiedeva di accertare la simulazione parziale di un contratto di cessione di azienda nella parte relativa al prezzo, allegando come controdichiarazione, contenente la reale volontà delle parti, un accordo antecedente qualificabile come “contratto preliminare”]
Contratto di cessione di azienda e mancanza dei titoli autorizzativi per l’esercizio dell’attività ceduta
I titoli autorizzativi all’esercizio di un’attività d’impresa hanno carattere personale e non sono riconducibili ai beni che compongono l’azienda. Tanto che un contratto che prevedesse il trasferimento della licenza sarebbe nullo per la violazione di norme imperative. Il risultato pratico dell’ottenimento del titolo autorizzativo è, piuttosto, conseguibile dall’acquirente mediante la previsione dell’obbligo a carico del cedente di prestare il proprio consenso o comunque dell’obbligo di compiere tutte le attività necessarie per consentire detto ottenimento. Ne discende che l’eventuale insussistenza del titolo autorizzativo non attiene ad un vizio genetico del contratto di cessione d’azienda.
Il trasferimento d’azienda per facta concludentia
Pur in mancanza di un atto scritto relativo al trasferimento di un’azienda che faccia seguito alla sottoscrizione di un precedente contratto preliminare, il pagamento di una parte del prezzo e il subentro nel possesso dell’azienda costituiscono facta concludentia dell’accordo di cessione atteso che, in mancanza di beni all’interno dell’azienda per il cui trasferimento sia prevista la forma scritta ad substantiam, la compravendita di azienda richiede la forma scritta ai soli fini dell’opponibilità verso terzi della cessione medesima.
L’avvenuta immissione del godimento nell’immobile da parte del cessionario per fatto del cedente rende irrilevante la verifica circa il soggetto a nome del quale risultava locato detto immobile al momento della cessione.
Cessione d’azienda e compensazione volontaria tra il credito per il corrispettivo vantato dalla società cedente e il credito di un terzo
Presupposto per l’operatività della compensazione volontaria è l’esistenza della reciprocità delle posizioni debitorie e creditorie delle medesime parti. La mancanza di tale reciprocità determina l’inoperatività del meccanismo compensatorio.