Art. 2560 c.c.
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Competenza della sezione specializzata e connessione
Qualora un credito preteso unitariamente dal socio nei confronti della società sia in realtà composto da più crediti, sorti in tempi diversi, dai quali solo alcuni attinenti al rapporto sociale e gli altri derivanti da rapporti di scambio tra socio e società partecipata, sussiste la competenza della sezione specializzata solo per i primi crediti. Né può dar luogo a una connessione tale da determinare l’attrazione alla competenza specializzata l’identità soggettiva. Infatti, a nessuno dei criteri di cui agli artt. 31/36 c.p.c. basta la mera identità del soggetto passivo. Inoltre, la competenza specializzata, che implica l’impegno di un giudice specializzato e collegiale, si giustifica solo in ragione delle liti in cui sia riconoscibile un immediato radicamento causale rispetto alle vicende societarie e allo status di socio.
Non opera l’art. 2560, co. 2, c.c. nella carenza di alterità soggettiva delle parti titolari dell’azienda
L’art. 2556, co. 1, c.c., ove prescrive la forma scritta ad probationem per i contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento di azienda, opera solo con riguardo alle parti contraenti e non è applicabile ai terzi, da parte dei quali la prova del trasferimento dell’azienda non è soggetta ad alcun limite e può essere data anche con testimonianze e presunzioni. La cessione di azienda, dunque, non necessariamente viene realizzata mediante un unico atto negoziale assoggettato a forma scritta. Può infatti accadere che le parti interessate, al fine di danneggiare i creditori, impedendo loro di potersi soddisfare sul patrimonio oggetto di cessione, e, in particolare, al fine di eludere le norme che regolano gli effetti della cessione di azienda, quali l’art. 2560 c.c., in tema di responsabilità del cedente e del cessionario per i debiti dell’azienda anteriori al trasferimento, attuino la progressiva cessione di un’azienda attraverso singole operazioni le quali, pur formalmente distinte, siano tra loro collegate e preordinate alla graduale dismissione, da un soggetto ad un altro, dell’azienda tutta ovvero di uno o più rami dell’azienda stessa.
L’applicazione dell’art. 2560, cp. 2, c.c. postula in ogni caso una effettiva alterità tra il cedente e il cessionario. Il difetto di dualità soggettiva nella cessione d’azienda sussiste in tutti i casi in cui, in seguito al trasferimento, al di là della diversa forma o denominazione giuridica, la compagine sociale dell’impresa e gli organi amministrativi della stessa siano rimasti immutati, poiché in tali casi il trasferimento dell’azienda è solo formale. In queste ipotesi non vi è spazio per l’applicazione dell’art. 2560, co. 2, c.c., poiché la norma non potrebbe esplicare la funzione che si riconduce alla sua ratio, ovverosia la salvaguardia dell’interesse dell’acquirente dell’azienda, quale accollante dei relativi debiti, ad avere precisa conoscenza degli stessi; interesse che si correla a quello, superindividuale, alla certezza dei rapporti giuridici e alla facilità di circolazione dell’azienda.
Il perimetro della cessione d’azienda del d.l. 99/2017 per la l.c.a. di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e di Veneto Banca s.p.a.
In forza del principio del burden sharing, contemplato dalla Direttiva 2014/59/UE, c.d. BRRD (Bank Resolution and Recovery Directive), attuata con i d.lgs. nn. 180 e 81 del 2015, le conseguenze delle crisi bancarie vanno sopportate in primis da azionisti e obbligazionisti e non possono essere fatte gravare su terzi, tra i quali è ricompreso il cessionario, e ogni eventuale credito nascente dalla vendita delle azioni deve essere trattato all’interno della procedura concorsuale.
La disciplina del d.l. 99 del 2017 è incompatibile con l’applicazione dell’art. 2560, co. 2, c.c. nella parte in cui delimita l’esatto perimetro dell’insieme aggregato di beni, diritti, rapporti giuridici, attività, passività oggetto di cessione, dal quale risultano esclusi i crediti deteriorati, il contenzioso azionario e il contenzioso successivo per fatti pregressi. L’art. 2560 c.c. è dettato solo per l’ipotesi di cessione volontaria di azienda, mentre nell’ambito delle procedure concorsuali vale la regola opposta. La ratio sottostante alla previsione dell’esclusione della responsabilità del cessionario per i debiti del cedente (c.d. effetto purgativo delle vendite) riposa nell’intento di incentivare la vendita di aziende o di rami di aziende fallite, che sarebbe invece pregiudicato a fronte del possibile rischio per l’acquirente di dover rispondere di debiti verosimilmente superiori all’attivo.
La disciplina speciale di cui all’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017, derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, include tra i fatti o atti anche la nullità del contratto di finanziamento antecedente alla cessione. Rientra nell’alveo dell’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017 anche l’ulteriore causa di nullità del mutuo per asserita indeterminatezza del tasso di interesse applicato, dovuta all’adozione di un piano di ammortamento alla francese a rate costanti.
Il perimetro della cessione d’azienda del d.l. 99/2017 per la l.c.a. di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e di Veneto Banca s.p.a.
In forza del principio del burden sharing, contemplato dalla Direttiva 2014/59/UE, c.d. BRRD (Bank Resolution and Recovery Directive), attuata con i d.lgs. nn. 180 e 81 del 2015, le conseguenze delle crisi bancarie vanno sopportate in primis da azionisti e obbligazionisti e non possono essere fatte gravare su terzi, tra i quali è ricompreso il cessionario, e ogni eventuale credito nascente dalla vendita delle azioni deve essere trattato all’interno della procedura concorsuale.
La disciplina del d.l. 99 del 2017 è incompatibile con l’applicazione dell’art. 2560, co. 2, c.c. nella parte in cui delimita l’esatto perimetro dell’insieme aggregato di beni, diritti, rapporti giuridici, attività, passività oggetto di cessione, dal quale risultano esclusi i crediti deteriorati, il contenzioso azionario e il contenzioso successivo per fatti pregressi. L’art. 2560 c.c. è dettato solo per l’ipotesi di cessione volontaria di azienda, mentre nell’ambito delle procedure concorsuali vale la regola opposta. La ratio sottostante alla previsione dell’esclusione della responsabilità del cessionario per i debiti del cedente (c.d. effetto purgativo delle vendite) riposa nell’intento di incentivare la vendita di aziende o di rami di aziende fallite, che sarebbe invece pregiudicato a fronte del possibile rischio per l’acquirente di dover rispondere di debiti verosimilmente superiori all’attivo.
La disciplina speciale di cui all’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017, derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, include tra i fatti o atti anche la nullità del contratto di finanziamento antecedente alla cessione. Rientra nell’alveo dell’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017 anche l’ulteriore causa di nullità delle clausole del mutuo di pattuizione degli interessi per usurarietà.
Allorché si prospetti un credito nei confronti della Banca Popolare di Vicenza s.p.a. o della Veneto Banca s.p.a. discendente dall’esecuzione di un contratto nullo e, dunque, non da un’attività giuridica bensì da un’attività materiale, consistente in una attribuzione patrimoniale priva di alcun titolo, lo stesso risulta essere escluso dalla cessione disciplinata dall’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017, in quanto tra origine da un fatto occorso prima della cessione, da cui è scaturita una controversia in epoca successiva a tale cessione.
Scioglimento dell’associazione in partecipazione per fallimento dell’associante
Prova della cessione d’azienda e responsabilità per i debiti della cedente
Il creditore può dare prova anche presuntiva della cessione dell’azienda o di suo ramo, al fine di esercitare il credito nei confronti dell’impresa cessionaria.
Ai fini della sussistenza della responsabilità della cessionaria per i debiti della cedente è necessario che il debito sussistente in capo alla cedente sia anteriore rispetto al momento della cessione.
Costituisce titolo di responsabilità ex art. 2394 c.c. l’incasso in contatti del corrispettivo della vendita di un bene aziendale.
Principi in tema di rapporti tra coobbligati
Costituisce ius receptum che le domande possono essere sinanco mutate – nei limiti descritti nella ben nota giurisprudenza di legittimità formatasi in materia – fino alla memoria depositata ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., ma anche che, purché non ne muti la sostanza comunicativa (editio actionis: allegazione di petitum e causa petendi), esse possono ben essere lessicalmente riformulate anche in sede di precisazione delle conclusioni, salve limitazioni e riduzioni sempre ammesse in attuazione del principio dispositivo.
Il credito risarcitorio è un diritto soggettivo relativo, che può predicarsi esistente solo verso un debitore determinato (o più debitori determinati). Tradotta tale situazione sul piano processuale, ne deriva che chi si dica terzo rispetto al rapporti di credito / debito che afferma esistenti solo tra altri non può far accertare l’esistenza del credito soltanto nei confronti dell’altro diverso presunto debitore senza la partecipazione dei titolari del diritto di credito, perché gli sarebbe consentito di agire esercitando un diritto altrui o incidendo su di esso senza la partecipazione al processo del suo titolare, in violazione dell’art. 81 c.p.c. In particolare provocherebbe, da terzo e senza la partecipazione del creditore, l’accertamento su chi è l’unico debitore di questi. Rispetto a questo accertamento, che si concreta nell’esercizio processuale di un diritto altrui, l’attore è privo di legittimazione attiva, talché il processo può svolgersi solo con la necessaria partecipazione del creditore. Se poi si ritenesse che quella sentenza non sarebbe opponibile al creditore per la sua mancata partecipazione al giudizio, allora l’attore sarebbe privo di interesse ad ottenerla. Invero quell’attore, quando condannato a pagare il creditore in separato processo, non potrebbe poi rivolgersi al (presunto) “terzo unico responsabile” né in via di regresso contro il condebitore solidale – poiché, in tal caso, i due alternativi debitori non si trovano in rapporto di solidarietà (art. 2055 c.c.) -, né a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., poiché la sentenza che lo individua come debitore costituisce giusta causa del suo pagamento al creditore.
La domanda di accertamento del diritto del condebitore di approfittare della transazione stipulata con il creditore da altro condebitore deve essere proposta nei confronti del creditore. Il condebitore è privo di interesse a far accertare, verso il condebitore che ha stipulato la transazione, il suo diritto di approfittarne. Invero questo diritto non incide per nulla nella sfera giuridica del condebitore che ha transatto ed invece solo nella sfera del creditore, determinando la liberazione del debitore che non ha transatto. Ma l’accertamento verso il condebitore sarebbe inopponibile al creditore, dunque inutile.
La quota interna di responsabilità di un terzo chiamato può essere stabilita nel simultaneus processus perché, in quella sede, viene accertata anche la responsabilità (o no) dei convenuti/debitori verso l’attore/creditore, sicché è concesso, anche per motivi di economia processuale, accertare anche se ed in quale misura un soggetto pur non convenuto ma partecipante al processo a seguito di chiamata di terzo risponda ed in che misura del debito di cui si discute, accertandosi in questo modo la solidarietà del terzo chiamato nel debito. Nel processo autonomo, tuttavia, è ovviamente necessario che sussista un titolo in forza del quale il debitore/attore agisce verso il preteso debitore/convenuto. La domanda non può essere limitata al mero accertamento delle rispettive quote di responsabilità, accertamento rispetto al quale il debitore/attore non ha interesse, sia perché deve comunque l’intero al creditore, sia perché non sussiste un suo diritto che sia oggetto di turbativa da parte del debitore/convenuto.
Per agire in regresso contro altro debitore, il condebitore solidale deve avere pagato l’intero dovuto al creditore, o, quanto meno, una somma superiore a quella commisurata alla sua quota interna di responsabilità.
Cessione di fatto dell’azienda e applicazione estensiva dell’art. 2560 c.c. in un caso di sostanziale coincidenza tra cedente e ceduto
Le limitazioni poste dall’art. 2556, co. 1, c.c. alle modalità con cui può essere provata per legge una cessione d’azienda – ovvero esclusivamente mediante prova scritta – riguardano solo i rapporti tra cedente e cessionario, non potendo invece trovare applicazione nei confronti dei terzi, i quali sono ammessi a fornire la prova di un tale negozio anche a mezzo di presunzioni e testimonianze.
In tema di cessione di azienda, il principio di solidarietà fra cedente e cessionario, fissato dalla norma dell’art. 2560 c.c. con riferimento ai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, principio condizionato al fatto che essi risultino dai libri contabili obbligatori, deve essere applicato tenendo conto della finalità di protezione della disposizione, finalità che consente all’interprete di far prevalere il principio generale della responsabilità solidale del cessionario ove venga riscontrato, da una parte, un utilizzo della norma volto a perseguire fini diversi da quello per i quali è stata introdotta e, dall’altra, un quadro probatorio che, ricondotto alle regole generali fondate anche sul valore delle presunzioni, consenta di fornire una tutela effettiva al creditore che deve essere salvaguardato. La disciplina dettata dall’art. 2560 c.c., co. 2, va letta e interpretata secondo la sua funzione primaria, che è tutelare non già il cessionario, che si avvale già del limite della conoscenza dell’esistenza del debito, bensì i creditori, che sul compendio aziendale poi fatto oggetto di cessione hanno fatto riferimento. [Nel caso di specie, era stata ceduta l’azienda da parte di una s.r.l. a un’impresa individuale di cui era titolare l’amministratrice della società cedente].
Prova dell’esistenza di una società di fatto. Responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta
La società di fatto è una società avente tutti i requisiti previsti dall’art. 2247 c.c., senza che i partecipanti all’esercizio in comune dell’attività economica esprimano necessariamente una volizione, tesa all’adozione delle regole organizzative tipiche del fenomeno societario. Sotto il profilo sostanziale, la prova dell’esistenza di una società di fatto deve passare attraverso la dimostrazione della sussistenza, in concreto, di tre elementi fondamentali: il fondo comune, la partecipazione comune dei soci di fatto agli utili e alle perdite dell’attività e, in un’ottica prettamente soggettiva, l’affectio societatis. Sotto il profilo processuale, nell’ambito del giudizio di merito l’esistenza di una società di fatto vada provata, in difetto di un contratto scritto, attraverso il ricorso a qualunque mezzo probatorio contemplato dall’ordinamento giuridico, ivi comprese le presunzioni semplici di cui all’art. 2729 c.c., purché l’accertamento dei tre requisiti sostanziali su cui si fonda la società di fatto avvenga in maniera rigorosa.
Costituisce trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. qualsiasi operazione che comporti il mutamento della titolarità di un’attività economica qualora l’entità oggetto del trasferimento conservi, successivamente allo stesso, la propria identità, da accertarsi in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione (tra cui il tipo d’impresa, la cessione o meno degli elementi materiali, la riassunzione o meno del personale, il trasferimento della clientela, il grado di analogia tra le attività esercitate). L’art. 2112, co. 2, c.c., che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d’azienda a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario, presuppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d’azienda, con la conseguenza che non è applicabile ai crediti relativi ai rapporti di lavoro esauritisi o non ancora costituitosi a tale momento, salva in ogni caso l’applicabilità dell’art. 2560 c.c., che contempla in generale la responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta, ove risultino dai libri contabili obbligatori. L’iscrizione nei libri contabili obbligatori dell’azienda è un elemento costitutivo essenziale della responsabilità dell’acquirente dell’azienda per i debiti ad essa inerenti. Pertanto, chi voglia far valere i corrispondenti crediti contro l’acquirente dell’azienda ha l’onere di provare, fra gli elementi costitutivi del proprio diritto, anche detta iscrizione, e il giudice, se non può effettuare d’ufficio l’indagine sull’esistenza o meno dell’iscrizione medesima, ben può d’ufficio rilevare che quest’ultima, quale elemento essenziale della responsabilità del convenuto, non sia stata provata.
Distinzione tra cessione di quote sociali e cessione di azienda
Il negozio di cessione di quote sociali non può essere riqualificato quale contratto di cessione di azienda che obblighi il cedente a rispondere dei debiti sociali ai sensi dell’art. 2560 c.c. Infatti, quale che sia l’attività svolta da una società commerciale e quale la consistenza del suo patrimonio, il trasferimento da un soggetto ad un altro di una quota di partecipazione non è mai qualificabile come trasferimento della proprietà o del godimento di un’azienda, che è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa ai sensi dell’art. 2555 c.c. Tale equiparazione non può essere neppure operata mediante il richiamo alla disciplina fiscale (cfr. art. 20 d.p.r. 131/86, TUR, come modificato dalla l. 205/2017 e dalla l. 145/2018) che, ai fini dell’imposta di registro, richiama l’intrinseca natura e gli effetti giuridici prodotti dall’atto. A fini fiscali, si è dunque ritenuto che potessero essere riqualificati, quali cessione di azienda, due distinti negozi, di conferimento di azienda in una società di nuova costituzione e di successiva cessione delle partecipazioni della società stessa. Tale prospettazione qui non è corretta tenuto conto che: (i) la cessione totalitaria di partecipazione non ha la stessa natura e non produce gli stessi effetti della cessione di azienda (ad esempio, la prima attribuisce al cessionario un diritto personale di partecipazione alla vita societaria e non un diritto reale sul patrimonio sociale distinto dalla persona dei soci); (ii) i successivi interventi legislativi (art. 1, co. 87, l. 205/2017 e art. 1, co. 1084, l. 145/2018), confermati da due sentenze della Corte Costituzionale n. 158/2020 e 39/2021, impongono di esaminare, anche a fini fiscali, individualmente ogni singolo atto.