hai cercato articoli in
Art. 2598 c.c.
573 risultati

Know how e concorrenza sleale da parte di un ex dipendente: perimetro applicativo degli istituti e risarcibilità del danno

La concorrenza può dirsi illecita quando la natura stessa dei mezzi utilizzati al fine di compiere i predetti atti sia contraria alla correttezza professionale, e dunque idonea a danneggiare le aziende altrui: in tal senso, costituisce concorrenza sleale il fatto di porre in essere un’attività lesiva, volta ad appropriarsi in maniera illegittima dello spazio di mercato o della clientela delle imprese concorrenti. L’ipotesi di cui al n. 3 dell’art. 2598 c.c. si discosta da quelle dei nn. 1 e 2, giacché questa è configurabile in maniera indipendente rispetto al riscontro della confondibilità, oggettiva e soggettiva, dei prodotti concorrenti: tale considerazione estende il campo applicativo della norma in questione ad ogni condotta che si riveli contraria ai principi di correttezza professionale, e dunque idonea a provocare, nel concreto, danni di rilievo al concorrente sul mercato. È dunque richiesto che vi sia prova, in concreto, dell’idoneità degli atti a comportare, per il concorrente, un determinato pregiudizio, tenuto conto che il n. 3 non prevede specifici atti di concorrenza sleale, ma si estende a qualsiasi condotta volta a minare i principi della concorrenza professionale e dunque idonea a danneggiare l’altrui azienda. A ciò consegue che la norma deve essere intesa in senso ampio, giacché il legislatore non ha voluto configurare in maniera restrittiva il concetto di correttezza professionale, laddove il comportamento illecito a cui si fa riferimento è dato dall’insieme di azioni, e, in generale, dalla “manovra” operata per danneggiare il concorrente.

 

11 Dicembre 2019

Accertamento della contraffazione e sussistenza dei requisiti per la tutela di un segno come marchio di fatto

La genesi di un marchio di fatto non si ricollega automaticamente all’uso, pur protratto ed esclusivo, del segno, ma richiede la prova che tale uso gli abbia attribuito “notorietà”, ossia abbia determinato il diffuso radicamento della forza distintiva del segno nella percezione dei consumatori. Pertanto, l’intensità dell’uso del segno e, conseguentemente, la sua notorietà rappresentano le condizioni primarie e necessarie ai fini del suo riconoscimento e della sua tutela industrialistica come marchio di fatto. L’uso del marchio, per conferirgli la necessaria notorietà, deve essere, quindi, intenzionale e continuo, non precario né sperimentale, occasionale o casuale, e deve assicurare la conoscenza effettiva e diffusa del prodotto contraddistinto.

Importazione parallela e commercializzazione di dispositivi medici previo riconfezionamento senza l’autorizzazione del titolare

Secondo la giurisprudenza comunitaria, il titolare del marchio può opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, contraddistinti dal suo marchio, dopo la prima immissione in commercio, previo riconfezionamento degli stessi, quando non sussista un’esigenza, meritevole di tutela, di procedere a tale riconfezionamento.

[Nel caso di specie, la circostanza che alcuni esemplari dei prodotti contestati, cioè dei prodotti acquistati all’estero, riconfezionati e importati in Italia, siano stati commercializzati al dettaglio in Milano, pur in assenza di un rapporto diretto tra il rivenditore al dettaglio e le società importatrici e distributrici, consente di attribuire la competenza all’Autorità Giudiziaria di Milano anche nei confronti delle società importatrici e distributrici, non essendovi dubbio che anche la mera commercializzazione del prodotto, in asserita violazione dei diritti sul marchio registrato, costituisca un segmento della condotta lesiva del diritto del titolare del marchio di cui alla norma sopra citata.]

 

28 Novembre 2019

Marchi forti e rilevanza delle modifiche

Il carattere forte dei marchi si riverbera sulla loro tutela comportando l’illegittimità di tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo, che costituisce l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante.

Una parola di uso comune appartenente ad una certa lingua (nella quale pertanto non ha alcuna valenza distintiva) può, se adoperata in un altro contesto linguistico, assumere valenza distintiva, potendo di conseguenza essere anche utilizzata come marchio. Per pacifica giurisprudenza infatti è possibile che, a causa delle differenze linguistiche, culturali sociali ed economiche tra gli Stati membri, un marchio che è privo di carattere distintivo o è descrittivo dei prodotti o dei servizi interessati in uno Stato membro non lo sia in un altro Stato membro.

28 Novembre 2019

Condotte integranti concorrenza sleale

L’utilizzo, da parte di un’impresa concorrente e, segnatamente, nella propria pubblicità, di un segno distintivo di cui altra impresa ha diritto all’uso esclusivo come marchio di fatto, può essere inibito, ove tale utilizzo possa determinare confusione nel pubblico, a sensi dell’art. 2, comma 4, c.p.i. (che tutela i segni o marchi di fatto) e dell’art. 2598 c.c.; tale utilizzo dell’altrui segno distintivo, anche di fatto, costituisce infatti non solo “contraffazione di marchio”, ma anche “concorrenza sleale confusoria”, quando si verifica nell’ambito di un rapporto concorrenziale. [ LEGGI TUTTO ]

14 Novembre 2019

Risarcimento del danno per concorrenza sleale e violazione dei diritti d’autore sul software aziendale

In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. [ Nel caso in esame, il Tribunale ritiene che la domanda risarcitoria formulata da parte attrice debba essere decisa sulla base del principio della ragione più liquida.]

11 Novembre 2019

Importanza dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto e diritto di recesso

Ai fini della risoluzione per inadempimento è necessario valutare che esso non abbia scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte (art. 1455 c.c.).

In un contratto di licenza d’uso di marchio, le allegazioni relative alla convenienza dell’affare sono inidonee a integrare un inadempimento rilevante, per cui non si può procedere con la risoluzione quando l’iniziativa commerciale non ha avuto successo, non essendosi realizzata l’attrazione della clientela che ci si aspettava dall’utilizzo del marchio, o a causa dell’insufficienza dei volumi di vendita, che rende l’attività commerciale non più sostenibile.

In secondo luogo, non è possibile procedere con la risoluzione allegando a giustificazione un solo episodio comprovante l’inadempimento, senza avere riguardo al complesso delle circostanze e del contesto in cui ha avuto esecuzione il contratto. Qualora dalla corrispondenza tra le parti emerga un clima di positività, in cui sono comunemente tollerati reciproci inadempimenti in vista del mantenimento dell’accordo e della conclusione di una futura collaborazione commerciale, l’inadempimento dell’attrice relativo al rimborso di una quota dell’affitto “ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”, soprattutto se tale questione è stata trattata solo marginalmente.

In tale contesto, l’esercizio improvviso del diritto di recesso e dunque la cessazione inaspettata del rapporto non risultano rispettose del canone di buona fede, che impone “a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge” (Cass. 20106/2009).

7 Novembre 2019

Anteriorità brevettuali e definizione dell’imitazione servile ex art. 2598, n. 1, c.c.

La valutazione delle anteriorità brevettuali in grado di inficiare la novità del brevetto – e dunque la sua validità – impone, attraverso un giudizio prognostico, di verificare l’effettiva possibilità per un esperto del settore di realizzare l’invenzione oggetto dell’insegnamento brevettuale attraverso la mera ricomposizione ed elaborazione delle già acquisite conoscenze del settore al momento della registrazione. A tal proposito, occorre in primo luogo effettuare un giudizio di rilevanza tra le diverse, e generalmente copiose, anteriorità afferenti a un medesimo settore, circoscrivendo quelle che costituiscono il migliore punto di partenza per giungere alla soluzione rivendicata dalla privativa in esame. In sostanza, affinché possa ritenersi sussistente un’anteriorità, è necessario valutare se un esperto del ramo, attraverso collegamenti ovvi tra anteriorità rilevanti e attraverso semplici associazioni logiche tra soluzioni note alla tecnica – alla data di deposito del brevetto o della priorità rivendicata – sarebbe stato in grado di giungere al risultato della privativa.

Non si concretizza comportamento censurabile quale imitazione servile ex art. 2598, n. 1, c.c. quando vi è una condotta meramente riproduttiva delle forme del concorrente, ma è necessario che dalla imitazione delle forme derivi, in nesso causale, un concreto pericolo di confusione o associazione: questo avviene solo qualora l’imitazione abbia riguardo a forme o aspetti peculiari dei prodotti della concorrente che, per la loro originalità e novità, individuino il prodotto, rendendolo marcatamente diverso dagli altri, tanto da evidenziarne immediatamente la provenienza di fronte alla specifica clientela alla quale esso è destinato. Infatti, la finalità che si pone l’art. 2598 c.c. è mantenere all’attività dell’impresa come concretamente svolta la sua funzione distintiva, garantendo che sia rispettata la possibilità di identificare quella impresa come fonte della produzione di un bene o servizio che sia riconoscibile agli occhi del pubblico e abbia acquisito notorietà sul mercato, tutelandola rispetto a comportamenti che ingenerino equivoci circa la provenienza dei prodotti, determinando così uno sviamento della clientela. In definitiva, chi si duole dell’imitazione servile non può limitarsi a dimostrare che il proprio prodotto sia stato imitato fedelmente dal concorrente, ma deve anche dimostrare che tale imitazione è confusoria.

29 Ottobre 2019

Responsabilità dell’amministratore per concorso nella condotta illecita anticoncorrenziale

Dell’illecito di concorrenza sleale può essere chiamato a rispondere anche l’amministratore di s.r.l. ai sensi dell’art. 2476, co. 6,  se risultano provati la addebitabilità agli amministratori di omissioni e condotte in violazione degli obblighi specifici e dei doveri connessi alla carica rivestita, i pregiudizi patrimoniali diretti asseritamente subiti e il nesso eziologico tra gli addebiti formulati e i danni prospettati.

14 Ottobre 2019

Appropriazione illegittima, a titolo di plagio ed imitazione servile, di soluzioni architettoniche

In materia di diritti relativi ai progetti di lavori dell’ingegneria, o di altri lavori analoghi, la tutela accordata al loro autore dall’art. 99 l.d.a. riguarda progetti che costituiscono soluzioni originali di problemi tecnici [nel caso di specie il Tribunale ha rigettato la domanda dell’attore che lamentava l’imitazione delle soluzioni architettoniche realizzate in altro edificio per l’installazione di pensiline su accessi condominiali].