Art. 2639 c.c.
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Il socio di fatto nelle società di capitali. L’atto costitutivo non è interpretabile secondo l’intenzione dei contraenti
La società di fatto si ha quando la costituzione del rapporto non risulta da una prova scritta e questa non sia richiesta dalla legge ai fini della validità del rapporto sociale. Se è così, non è predicabile l’esistenza della figura del socio cofondatore o del socio di fatto all’interno di una società si capitali, giacché il legislatore richiede per la costituzione di questa tipologia di enti e per l’acquisto della qualità di socio delle formalità e delle attività che non sono surrogabili per fatti concludenti.
Le formalità imposte per la costituzione della società e per l’acquisto della qualità di socio sono richieste per ragioni di certezza del traffico giuridico e di tutela dei terzi. Tipo e scopo sociale, una volta compiute le formalità di legge, sono quelle che emergono dal sistema di pubblicità, con la conseguenza che l’atto di costituzione dell’ente non può più essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti e resta consacrato nei termini in cui risulta iscritto ed è portato a conoscenza dei terzi: le esigenze di tutela di questi ultimi assumono dunque prevalenza e rendono irrilevante la fase negoziale che ha dato luogo alla nascita del nuovo soggetto giuridico, che vive di vita propria, agisce e risponde dei propri atti in via autonoma, quale che sia stata la volontà dei soci sottostante alla formazione del contratto.
L’amministratore di fatto è un istituto concepito al fine di estendere il regime di responsabilità civile e penale previsto per gli illeciti gestori degli amministratori di diritto al soggetto che, pur senza rivestire formalmente tale qualità, si ingerisca con una certa stabilità e continuità nella gestione della società. L’amministratore di fatto non ha alcuna aspettativa giuridicamente tutelata alla conservazione della sua carica, in quanto è privo di una formale investitura proveniente dall’assemblea e, in assenza di tale adempimento, non è nemmeno logicamente configurabile una revoca ai sensi dell’art. 2383 c.c.
La responsabilità dell’amministratore di s.a.s.
La disciplina della società di persone, richiamata per le società in accomandita attraverso il rinvio dell’art. 2315 c.c., prevede all’art. 2260 comma 2 c.c. solo l’azione di responsabilità sociale, esperibile dalla società nei confronti degli amministratori per ottenere il risarcimento del danno arrecato al patrimonio sociale dall’inadempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale. In coerenza con la mancanza di autonomia patrimoniale perfetta delle società di persone e con il regime generale di responsabilità personale dei soci per i debiti sociali non è, invece, prevista l’azione dei creditori sociali nei confronti degli amministratori, che sono di norma anche soci illimitatamente responsabili, già esposti direttamente con il loro patrimonio nei confronti dei creditori sociali. Né è possibile l’applicazione analogica dell’art. 2394 c.c., norma di carattere speciale che, in deroga ai principi generali della responsabilità aquiliana, consente ai creditori, nel contesto di limitazione al patrimonio sociale della responsabilità per i debiti sociali delle società di capitali, di ottenere il risarcimento del danno subito per effetto dell’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le loro pretese che solo indirettamente lambisce la loro sfera giuridica.
L’unica azione che può coesistere con l’azione di responsabilità sociale nelle società di persone è l’azione individuale del socio o del terzo direttamente danneggiati dal comportamento illegittimo del socio amministratore che, in applicazione analogica dell’art. 2395 c.c. fondato sul principio generale del neminem laedere dell’art. 2043 c.c., esige, però, la deduzione e prova di un pregiudizio che non sia il mero riflesso del danno subito dal patrimonio sociale. L’esercizio dell’azione individuale del terzo danneggiato non è, quindi, esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.
Una volta che la società abbia analiticamente individuato i prelievi e pagamenti privi di giustificazione in relazione all’attività sociale grava sull’amministratore, equiparato nella società di persone al mandatario e quindi legato all’ente da rapporto contrattuale, l’onere di fornire la prova liberatoria dalla responsabilità per l’inadempimento degli obblighi derivanti dalla carica, ai sensi dell’art. 1218 c.c., dimostrando attraverso le scritture contabili giustificative o con altra adeguata evidenza probatoria che il denaro sociale oggetto dei prelievi e pagamenti contestati era stato impiegato per saldare debiti della società o sostenere i costi dell’attività di impresa.
La configurabilità del ruolo dell’amministratore di fatto nella s.a.s. prescinde dalla soluzione della dibattuta questione della possibilità che un terzo estraneo alla compagine sociale assuma formalmente il ruolo di amministratore che l’art. 2318, co. 2, c.c. riserva esclusivamente ai soci accomandatari illimitatamente responsabili per le obbligazioni assunte nella gestione sociale, ma che l’art. 2323, co. 2, c.c. permette sia svolto da un amministratore provvisorio ove siano rimasti solo soci accomandanti, così slegando l’esercizio dei poteri gestori dalla responsabilità personale del socio. Il soggetto estraneo alla compagine sociale che in via di fatto si arroghi i poteri gestori spettanti al socio accomandatario amministratore è, infatti, senza alcun dubbio tenuto a rispondere nei confronti della società, dei soci e degli eventuali terzi danneggiati della gestione del patrimonio altrui compiuta in assenza di investitura formale, indipendentemente dal fatto che gli si riconosca o meno la possibilità di rivestire formalmente la carica in relazione alla struttura specifica della società amministrata.
La figura dell’amministratore di fatto presuppone l’esercizio di attività di gestione dell’impresa continuativa e sistematica con autonomia decisionale e funzioni operative esterne di rappresentanza di cui sono indici sintomatici l’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive nei rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti attraverso il conferimento di deleghe o di ampie procure generali ad negotia in settori nevralgici dell’attività di impresa e la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria nell’inerzia costante e nell’assenza abituale dell’amministratore di diritto.
Responsabilità dell’amministratore di fatto per condotte distrattive e responsabilità solidale dell’amministratore di diritto
L’individuazione della figura del c.d. amministratore di fatto presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione, e non anche meramente esecutive, della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni.
Il soggetto che accetti di ricoprire la carica di amministratore di una società di capitali e poi consenta, con pieno assenso e consapevolezza, che a gestire l’impresa sociale sia di fatto un terzo, è sotto il profilo causale necessario compartecipe e sotto quello giuridico corresponsabile di ogni singolo atto di gestione che abbia lasciato compiere all’amministratore di fatto. Ove quest’ultimo arrechi un vulnus all’integrità del patrimonio sociale, la responsabilità in relazione a tale evento dannoso è pertanto ascrivibile, in via solidale, anche all’amministratore di diritto.
L’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica mentre l’azione di responsabilità dei creditori sociali verso gli amministratori si prescrive sempre in cinque anni, ex art. 2949, co. 2, c.c., ma il termine decorre dal momento in cui si è verificata l’insufficienza del patrimonio sociale o, più precisamente, dal momento in cui questa insufficienza patrimoniale diviene oggettivamente conoscibile da tutti i creditori. Quanto all’azione dei creditori sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa.
Responsabilità dell’amministratore per aggravamento del dissesto in ragione dell’illecita prosecuzione dell’attività
L’azione promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. compendia in sé tanto l’azione sociale di responsabilità, volta a reintegrare il patrimonio della società, quanto l’azione dei creditori sociali, volta ad assicurare il soddisfacimento delle ragioni di credito di questi. La prima ha natura contrattuale, atteso che l’amministratore assume verso la società l’obbligo di svolgere il proprio compito con l’ordinaria diligenza, mentre la seconda ha natura aquiliana. Ne consegue che, riguardo all’azione contrattuale, sarà onere del convenuto provare l’adempimento agli obblighi sullo stesso gravanti in ragione del ruolo ricoperto e la non imputabilità a sé dei fatti dannosi; invece, con riguardo all’azione aquiliana, la curatela ha l’onere di dimostrare la condotta dolosa o colposa posta in essere dal convenuto, il danno arrecato ai creditori mediante tale condotta ed il nesso di causalità tra la prima ed il secondo.
In nessun caso è dato sindacare il merito gestorio, ossia le singole scelte amministrative e gestionali, purché sorrette da criteri di ragionevolezza. Infatti, l’obbligazione contratta dall’amministratore, come pure del liquidatore, è di natura professionale, trattandosi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori o ai liquidatori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purchè questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.
Criteri per l’individuazione dell’amministratore di fatto
Ai sensi dell’art. 2639 c.c., è amministratore di fatto “chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.
Secondo l’orientamento della giurisprudenza prevalente, la corretta individuazione della figura dell’amministratore di fatto richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie (svolte in via di fatto) non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni.
Peraltro, la significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione. In relazione a questi criteri, lo svolgimento di funzioni tipiche dell’amministratore di fatto non presuppone uno svuotamento o undepotenziamento costante e non solo occasionale del ruolo dell’amministratore di diritto, poiché tale svuotamento può assumere valenza indiziaria, ma non costituisce un requisito necessario per il riconoscimento della figura, ben potendo l’amministrazione essere affidata a più persone, con coesistenza di amministratori di diritto e di fatto; in altri termini, l’esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici dell’amministratore dev’essere accertato, in positivo, per l’amministratore di fatto e non, in negativo, rispetto all’amministratore di diritto, fatta salva la rilevanza probatoria anche dei comportamenti di quest’ultimo.
Le norme di legge che disciplinano l’attività degli amministratori di una società di capitali sono applicabili non soltanto alle persone fisiche immesse, nelle forme stabilite dalla legge, mediante atto negoziale di preposizione gestoria nelle funzioni di amministrazione, ma anche a coloro che si siano di fatto ingeriti nella gestione della società in assenza di una qualsivoglia investitura da parte dell’assemblea. Pertanto, i responsabili delle violazioni di dette norme vanno individuati non sulla base della loro qualificazione formale, bensì con riguardo al contenuto delle funzioni concretamente esercitate; con l’ulteriore, necessaria precisazione che l’individuazione della figura del cosiddetto “amministratore di fatto” presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non anche meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale.
Al fine di far emergere il soggetto che effettivamente esercita le funzioni gestorie e di individuare, quindi, l’amministratore di fatto è possibile far riferimento a elementi quali l’assenza di una efficace investitura assembleare, l’attività esercitata (non occasionalmente ma) continuativamente, le funzioni riservate alla competenza degli amministratori di diritto, l’autonomia decisionale (non necessariamente surrogatoria, ma almeno cooperativa non subordinata) rispetto agli amministratori di diritto.
Responsabilità dell’amministratore di s.r.l. e dell’amministratore di fatto
Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, ovvero per non aver osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.
Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, essi possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.
L’individuazione della figura del c.d. amministratore di fatto presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni; l’influenza dell’amministratore di fatto si deve tradurre, per essere rilevante, nell’ingerenza concreta nella gestione sociale che abbia il carattere della sistematicità.
Rapporti tra procura e mandato. Presupposti e prova della qualità di amministratore di fatto. Indebito oggettivo e rilevanza degli stati soggettivi
Il rilascio di procura speciale irrevocabile non è di per sé idoneo ad integrare la stipula di un contratto di mandato, risolvendosi (i) la prima in un atto unilaterale avente ad oggetto il conferimento ad un terzo del potere di compiere un atto giuridico in nome e per conto di un altro soggetto e (ii) il secondo in un contratto in forza del quale una parte assume l’obbligo di compiere uno o più atti giuridici nell’interesse dell’altra [nel caso di specie, in favore dell’attore era stata rilasciata procura a vendere una quota di s.r.l. (anche a se stesso, con espressa autorizzazione del rappresentato ex art. 1395 c.c.): avendo successivamente il rappresentato trasferito detta quota in favore di un terzo, l’attore aveva domandato la risoluzione per inadempimento del contratto di mandato e il risarcimento del danno, entrambe rigettate dal Collegio sul rilievo dell’insussistenza del mandato].
Il mandato conferito anche nell’interesse del mandatario ex art. 1723, co. 2 c.c. (c.d. mandato in rem propriam), ancorchè revocabile solo per giusta causa, non priva il mandante del potere di disporre dei propri diritti sul bene oggetto del mandato né lo esonera dai correlativi obblighi.
Il conferimento di una procura speciale a vendere un bene, ancorché in favore dello stesso rappresentante, non è idoneo a far sorgere in capo al rappresentato alcuna obbligazione di vendere il bene, essendo piuttosto rimessa al rappresentante la facoltà di avvalersi del potere all’uopo conferitogli con la procura.
La circostanza che una parte del prezzo oggetto di un contratto di compravendita di una quota venga corrisposta dall’acquirente direttamente in favore della società, piuttosto che del socio venditore, non fa venir meno la giustificazione causale del pagamento, allorquando risulti plausibile che il venditore intendesse destinare una parte del prezzo alla società, per far fronte alla crisi di liquidità in cui quest’ultima versava.
La qualifica di amministratore di fatto implica l’esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla funzione di amministrazione: il soggetto deve aver esercitato, in modo non episodico o occasionale, ma continuativo e sistematico, un’attività di gestione (non meramente esecutiva) della società, attraverso precise condotte aventi rilevanza esterna e tali da ingenerare nei terzi il convincimento che egli sia il gestore della società.
La prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società ovvero in un qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare.
Ai fini della ripetizione dell’indebito oggettivo, non è necessario che il solvens versi in errore circa l’esistenza dell’obbligazione, posto che – diversamente dall’indebito soggettivo ex latere debitoris, in cui l’errore scusabile è previsto dalla legge come condizione della ripetibilità del pagamento, ricorrendo l’esigenza di tutelare l’affidamento dell’accipiens, che riceve ciò che gli spetta, sia pure da un soggetto diverso dal vero debitore – nell’ipotesi di cui all’art. 2033 c.c. non vi è affidamento da tutelare, in quanto l’accipiens non ha alcun diritto di conseguire, né dal solvens né da altri, la prestazione ricevuta, rilevando il suo stato di buona o mala fede al solo fine della decorrenza degli interessi.
Gli interessi contemplati dall’art. 2033 c.c. hanno funzione compensativa e, costituendo oggetto di un’obbligazione autonoma (ancorché accessoria rispetto all’obbligazione restitutoria principale), in forza del principio della domanda devono essere puntualmente richiesti da chi abbia effettuato il pagamento indebito, non potendo altrimenti esserne pronunciata la corresponsione.
Presupposti per l’accertamento della qualifica di amministratore di fatto di S.r.l. e responsabilità gestoria
La qualifica di amministratore di fatto postula, a norma dell’art. 2639 cod. civ., l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione gestoria, e la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive.
È assoggettabile all’azione di responsabilità, ai sensi degli art. 146 L.F., anche l’amministratore di fatto, identificabile in colui che abbia effettivamente gestito la società in assenza di una nomina in forma legale oppure quando l’investitura sia ricollegabile al contegno dei soci, in modo da determinare l’inserimento di tale organo amministrativo nella funzione, con conseguente assunzione degli obblighi connessi all’ufficio assunto.
Azione di responsabilità civile da parte del curatore del fallimento in s.r.l. nei confronti dell’amministratore di fatto
La corretta individuazione della figura dell’amministratore di fatto, di cui all’art. 2639 c.c., richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, [ LEGGI TUTTO ]
In tema di responsabilità degli amministratori di fatto di S.r.l.
La nozione di amministratore di fatto (prevista, per gli illeciti penali, dall’art. 2639 c.c.), postula l’esercizio in concreto ed in modo continuativo delle attività di gestione inerenti alla qualifica: tali attività non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono un esercizio a carattere sistematico che non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale.