Art. 2697 c.c.
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Responsabilità degli amministratori e business judgment rule
Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore, nello svolgimento delle mansioni al medesimo affidate, non può investire le scelte di gestione ovvero le relative modalità di attuazione, ancorché esse presentino profili di rilevante alea economica, bensì anzitutto la diligenza mostrata dall’amministratore nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, potendo pertanto avere ad oggetto, ad esempio, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche ed informazioni normalmente richieste per operazioni della stessa natura e tipologia e nelle medesime circostanze (regola c.d. “procedurale”; art. 2381, co. 6, c.c.).
La natura dell’obbligazione che incombe sugli amministratori per legge e per statuto – in relazione alla quale è commisurato, in chiave di adempimento, l’obbligo di agire con diligenza – è un’obbligazione di mezzi e non di risultato – attuare l’oggetto sociale nell’interesse della società, non meccanicamente identificabile con quello del socio maggioritario – e che è così configurata (non solo ma) anche perché conforme al principio fondante secondo cui del rischio d’impresa rispondono solo i soci e non gli amministratori. Se di quel rischio non si può far carico agli amministratori, allora ben si comprende il fondamento dell’altro aspetto della regola della c.d. business judgement rule, ossia che gli amministratori rispondono soltanto per scelte del tutto arbitrarie, manifestamente irrazionali (regola c.d. “sostanziale”).
Ne consegue che l’adempimento della “regola procedurale” non ha effetti totalmente scriminanti – ben potendo l’amministratore proceduralmente diligente compiere poi scelte del tutto arbitrarie – e, per converso, il suo inadempimento non essendo di per sé foriero di responsabilità, quando, pur disinformato, l’amministratore non abbia compiuto una scelta gestoria irrazionale o arbitraria.
Il rapporto tra regola sostanziale e regola procedurale può dunque combinarsi, in relazione alla natura contrattuale della responsabilità degli amministratori, in questo modo: (i) l’onere di provare la correttezza procedurale incombe sugli amministratori chiamati in responsabilità, pur trattandosi di un “onere temperato” in relazione all’onere di allegazione specifica che grava sull’attore; l’adempimento della regola procedurale comporta una presunzione iuris tantum di correttezza sostanziale della decisione assunta dagli amministratori; tuttavia, non è consentito, a livello interpretativo, di parlare di presunzione iuris et de iure, dunque invalicabile, sia perché in fase decisionale in fase esecutiva ben possono scaturire decisioni ed esecuzioni assolutamente irrazionali o arbitratrie, sia perchè si costruirebbe, in via interpretativa, un inesistente limite positivo alla responsabilità degli amministratori ex art. 2392 c.c.; (ii) se invece quella prova è stata raggiunta ma l’attore (la società che agisce in responsabilità) intende provare comunque l’irrazionalità o arbitrarietà della scelta, l’onere di allegazione e prova incomberanno integralmente su di lui; (iii) se manca l’allegazione o la prova della correttezza procedurale, la prova della non irrazionalità dell’operazione dovrà essere data dall’amministratore convenuto.
Gli elementi costitutivi della società di fatto
Il contratto di società di persone è un contratto a forma libera, di conseguenza, il consenso delle parti può essere manifestato con qualsiasi mezzo idoneo e, quindi, anche per facta concludentia. Non costituendo un particolare tipo di società ma una semplice qualificazione, la società di fatto è soggetta alla disciplina della società semplice o della s.n.c. irregolare, nell’ipotesi in cui eserciti attività d’impresa.
Gli elementi costitutivi della società di fatto sono quelli menzionati dall’art. 2247 c.c. e quindi:
(i) il conferimento di beni e servizi;
(ii) l’esercizio in comune di attività economica;
(iii) l’intesa di divisione degli utili e delle perdite derivanti dall’esercizio dell’attività comune.
Tali requisiti possono essere dimostrati anche in via presuntiva.
La deliberazione dell’assemblea di s.r.l. assunta senza la preventiva convocazione di uno dei soci è nulla
L’art 2479 ter, co. 3, c.c., in tema di invalidità delle decisioni dei soci di s.r.l., sancisce la impugnabilità delle decisioni aventi oggetto illecito o impossibile e quelle prese in assenza assoluta di informazioni, al fine di tutelare il diritto dei singoli soci di partecipare alle deliberazioni societarie. Pertanto, tali delibere sono impugnabili, nei tre anni dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci di s.r.l., trattandosi di decisioni da considerarsi nulle, pure in difetto di una previsione espressa, per la sostanziale assonanza di tale forma di invalidità con quella espressamente dichiarata come dante luogo a nullità, di cui all’ art. 2379 c.c. dettato in tema di s.p.a. Posto che la regola dell’art 2479 ter, co. 3, c.c., nella parte in cui considera le decisioni prese in assenza assoluta di informazioni, deve intendersi riferita non soltanto alla mancanza di informazioni sugli argomenti da trattare, ma anche alla mancanza di informazioni sull’avvio del procedimento deliberativo, con la conseguenza che la deliberazione dell’assemblea di società a responsabilità limitata assunta senza la preventiva convocazione di uno dei soci è nulla. Pertanto, l’omessa informazione e l’omessa convocazione di uno o più soci con diritto al voto determina una fattispecie qualificabile in termini di decisione presa in difetto assoluto di informazione, dovendosi di conseguenza dichiarare la nullità della delibera viziata, se impugnata da chiunque vi abbia interesse, nel termine di tre anni.
Grava sul socio impugnante la delibera assembleare l’onere di provare la falsità delle attestazioni risultanti dal verbale. Il socio può far valere la difformità del verbale rispetto alla realtà con qualsiasi mezzo di prova, senza dover ricorrere alla querela di falso, non essendo il verbale di assemblea documento dotato di fede privilegiata.
Nel caso di delibera adottata dall’assemblea di una s.r.l. in difetto di regolare convocazione, qualora nel relativo verbale sia dato atto della partecipazione di tutti i soci, incombe su colui il quale impugna la deliberazione l’onere di provare il carattere non totalitario dell’assemblea.
Risoluzione per inadempimento del contratto di associazione in partecipazione
Secondo il dettato dell’art. 2967 c.c., come interpretato dai costanti indirizzi di legittimità, il creditore che agisce al fine di ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento deve provare la fonte – negoziale o legale – del proprio diritto, mentre è il debitore che ha l’onere di provare il fatto estintivo – costituito dall’adempimento – del diritto azionato dal creditore.
Nullità parziale delle fideiussioni omnibus
I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a), l. 287/1990 e 101 del TFUE) sono parzialmente nulli, ai sensi dell’art. 2, co. 3, l. 287/1990 e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
Tale ipotesi di nullità riguarda esclusivamente le fideiussioni omnibus, caratterizzate dalla previsione secondo la quale fideiussore garantisce il debitore di una banca per tutte le obbligazioni da questo assunte, comprensive non solo dei debiti esistenti nel momento in cui la garanzia fideiussoria viene prestata, ma anche di quelli che deriveranno in futuro da operazioni, di qualunque natura, intercorrenti tra la banca e il debitore principale, entro un importo massimo garantito, da definire comunque in sede di sottoscrizione del contratto ai fini della sua validità, ai sensi della formulazione vigente dell’art 1938 c.c., predeterminazione necessaria per evitare che il fideiussore resti obbligato oltre a quanto stabilito al momento del rilascio della garanzia. La nullità non può colpire anche le fideiussioni specifiche, riproducenti lo schema ABI relativo alla fideiussione omnibus, ai sensi dell’art. 2 della l. 287/1990 e ciò a prescindere dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005. Con riguardo alle fideiussioni specifiche, è da considerarsi quindi non sufficiente l’allegazione di moduli contenenti le clausole censurate, predisposte da vari istituti di credito, al fine della prova dell’illiceità dell’intesa a monte, in quanto la standardizzazione contrattuale non produce necessariamente effetti anticoncorrenziali, né costituisce elemento dirimente per accertare l’accordo illecito tra gli istituti di credito.
Sull’autorità del giudicato nelle controversie contrattuali
L’efficacia preclusiva dell’accertamento è destinata ad estendersi anche alle questioni presupposte che non siano state fatte valere in sede di opposizione, non essendo più consentito al debitore nel successivo giudizio porre in discussione la validità ed efficacia del medesimo rapporto in cui aveva trovato titolo il credito opposto per doglianze differenti.
L’autorità del giudicato copre sia il dedotto che il deducibile, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel medesimo giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, se pure non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano, tuttavia, premesse necessarie della pretesa e dell’accertamento relativo, in quanto si pongono come precedenti logici essenziali e indefettibili della decisione (giudicato implicito).
Ne discende quindi che qualora giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, pertanto, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punto decisivo comune a entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo e il petitum del primo.
Effetti dell’accordo transattivo nei confronti degli altri amministratori convenuti in solido e onere di produzione da parte del creditore
In tema di società di capitali, la delibera assembleare con la quale è autorizzato il promovimento dell’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. deve contenere l’individuazione degli elementi costitutivi dell’azione, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
E’ onere del creditore che abbia concluso nel corso del giudizio una transazione che ha sciolto il vincolo di solidarietà con solo alcuni dei debitori in solido convenuti produrre in causa la transazione per dimostrare il quantum della sua residua obbligazione verso i debitori non transigenti; l’omessa produzione della transazione implica sul piano della prova la mancata dimostrazione del quantum della obbligazione risarcitoria su cui il Tribunale è chiamato a pronunciare la condanna: senza la produzione della transazione o in altro modo offrire la prova del suo contenuto non è dato al giudice determinare il quantum della obbligazione residua cui i convenuti devono essere condannati. Infatti, “ove la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideate di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’ accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.” (Cass SU 30174/2011).
Relativamente alle domande risarcitorie per responsabilità contrattuale, il criterio di riparto dell’onere di allegazione e prova dei fatti costitutivi è regolato dagli artt. 1218 e 2697 cc e dal principio della vicinanza della prova, in forza dei quali spetta a chi agisce in risarcimento allegare e provare la fonte legale o convenzionale dell’obbligazione che si assume totalmente o parzialmente inadempiuta, la condotta, il danno ed il nesso causale tra la prima e il secondo; incombe, invece, al convenuto provare di avere adempiuto esattamente o di non avere potuto adempiere per causa a sé non imputabile, ovvero altri fatti idonei a paralizzare la pretesa attorea [nel caso in esame, la Società attrice, aveva dunque l’onere – per provare il suo credito risarcitorio verso i convenuti coobbligati in solido rimasti in causa – di produrre in giudizio gli accordi transattivi intervenuti e ciò al fine di dimostrare il residuo danno oggetto del petitum; omettendo la produzione delle transazioni l’attrice è venuta meno all’onere di fornire elementi a sua disposizione e necessari per provare il quantum del residuo danno nel suo preciso ammontare. Né può presumersi che i co debitori transigenti abbiano transatto per un importo non superiore alla loro quota di responsabilità, potendosi apprezzare tale elemento solo in concreto alla luce del contenuto della transazione in relazione all’apporto causale della condotta di ciascun transigente].
Concorrenza sleale: indebita acquisizione nonché utilizzazione di informazioni riservate e onere della prova
In ottemperanza al principio dell’onere della prova, ex art. 2697 c.c., la parte che intende invocare la tutela delle informazioni riservate ai sensi degli artt. 98 e 99 CPI deve provarne (a) l’effettiva consistenza, fattura e configurazione depositando disegni, progetti, o comunque documentazione tecnica idonea di per sé a circoscrivere, identificare e descrivere l’oggetto dell’asserita indebita divulgazione e utilizzazione, (b) l’effettiva identità tra le macchine realizzate sulla base di tali informazioni e (c) l’effettiva commercializzazione delle macchine con caratteristiche rispondenti alle informazioni.
Il danno imputato all’amministratore deve essere provato in relazione alla sussistenza e alla causalità.
Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146, secondo comma, legge fall., la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, sempreché il ricorso ad esso sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.
Cessione d’azienda stipulata dall’amministratore di s.r.l. in violazione dei limiti del suo potere gestorio
La conclusione, da parte dell’amministratore di società a responsabilità limitata, di un contratto di cessione di azienda in violazione dei limiti del suo potere gestorio rileva unicamente sul piano dei rapporti interni e non si traduce in una invalidità del negozio, salvo che si provi che i terzi hanno intenzionalmente agito in danno della società, secondo quanto previsto dall’art. 2475 bis c.c.
Al fine di ottenere una dichiarazione di nullità del contratto di cessione d’azienda per contrarietà a norme imperative ex art. 1418 c.c., non è sufficiente la produzione nel giudizio civile della sentenza pronunciata in sede penale (avente ad oggetto le medesime condotte poste in essere dall’amministratore della società cedente) se questa ha dichiarato estinto il reato contestato per intervenuta prescrizione. Infatti, il giudicato penale è vincolante nel giudizio civile in ordine all’accertamento dei fatti materiali solo ove si tratti di sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento, ma non nel caso di sentenza meramente dichiarativa dell’intervenuta prescrizione del reato. La pronuncia di non luogo a procedere per estinzione del reato viene ad escludere lo stesso accertamento dell’illecito penale e quindi non prova nulla circa la responsabilità degli imputati per quel fatto. Per queste ragioni, il giudice civile non è vincolato al rispetto della sentenza e deve interamente e autonomamente rivalutare il fatto in contestazione, potendo ripartire la responsabilità in modo diverso rispetto a quanto stabilito dal giudice penale.
Nell’ipotesi di vendita di azienda altrui si applicano i principi generali previsti all’art. 1478 c.c., secondo cui tale vendita non è nulla o inefficace, bensì è valida con efficacia obbligatoria (e non traslativa), facendo sorgere in capo al venditore l’obbligo di procurare l’acquisto del bene altrui venduto al compratore. In ogni caso, l’acquirente che era ignaro dell’altruità dell’azienda al momento dell’acquisto può, in conformità con quanto previsto dall’art. 1479 c.c., chiedere la risoluzione del contratto.