Art. 100 c.p.c.
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Cessazione della materia del contendere e compensazione delle spese
La declaratoria di cessazione della materia del contendere costituisce un’ipotesi di estinzione del processo che si ha quando si verifica una situazione tale da eliminare le ragioni di contrasto, ad esempio in caso di sopravvenuto accordo negoziale fra le parti. In caso di transazione tra le parti, non si verifica una carenza sopravvenuta dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., atteso che le parti, al contrario, insistono per ottenere una decisione sulla controversia, sebbene con la mera dichiarazione che essa è definita dall’accordo negoziale.
Nell’ipotesi di cessazione della materia del contendere, il governo delle spese non va statuito in base al principio della soccombenza virtuale, ma occorre provvedere alla compensazione integrale sia nel caso di mancata espressa richiesta della rifusione a favore delle parti (in tal caso, il silenzio serbato dalle parti sul punto spese si deve intendere come invito alla Corte a disporre la compensazione), sia nel caso in cui le parti abbiano espressamente richiesto la compensazione.
Sopravvenuta carenza di interesse ad agire per mancata impugnazione della delibera sostitutiva di quella invalida
Se il socio impugnante la prima delibera non ha impugnato anche la delibera sostitutiva questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endo-societario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito la invalidità in sede processuale, con il che viene meno (non già la materia del contendere, ma) lo stesso interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endo-societario del deliberato censurato con altro comunque efficace.
Mancata impugnazione della delibera di approvazione del bilancio sostitutiva di quella invalida e carenza di interesse ad agire
L’interesse ad agire del socio dissenziente viene meno qualora quest’ultimo – dopo aver impugnato la delibera di approvazione del bilancio di esercizio – ometta di impugnare la delibera approvativa del bilancio sostitutivo. Infatti, l’accoglimento della domanda non produrrebbe alcuna utilità concreta all’attore rispetto alla lesione denunciata ed al sottostante interesse sostanziale. L’impugnante non potrebbe conseguire, cioè, alcun bene della vita dall’eventuale accoglimento della propria pretesa, giacché il documento contabile gravato è stato nel frattempo sostituito, in ambito endosocietario, da un altro dotato di autonoma efficacia.
Se il socio impugnante una delibera di approvazione del bilancio d’esercizio della società non ha impugnato anche la delibera sostitutiva, questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endo-societario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito la invalidità in sede processuale, con il che viene meno (non già la materia del contendere ma) lo stesso interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endo-societario del deliberato censurato con altro comunque efficace.
Convocazione d’urgenza del consiglio di amministrazione
Al fine di procedere con la convocazione d’urgenza del consiglio di amministrazione di una s.p.a., con la conseguente riduzione dei termini di preavviso previsti nello statuto per l’invio dell’avviso di convocazione ai membri del consiglio di amministrazione, è sufficiente l’effettiva sussistenza delle ragioni d’urgenza e che tali ragioni d’urgenza siano conosciute dai membri del consiglio di amministrazione, senza che sia necessario qualificare espressamente la convocazione come urgente, né indicare all’interno dell’avviso di convocazione quali siano i motivi dell’urgenza.
Ammissibilità e interesse dell’intervento di terzo e la retroversione degli utili tra opzioni difensive e preclusioni processuali
Ai sensi dell’art. 268 c.p.c., il termine finale per spiegare intervento è rappresentato dal provvedimento mediante il quale il giudice istruttore rimette le parti al collegio fissando l’udienza collegiale per la discussione, così spogliandosi in tale modo della causa. Fino a quando tale provvedimento non sia stato emesso ed anche se le parti siano state invitate dall’istruttore a precisare le conclusioni l’intervento del terzo deve dunque ritenersi ammissibile. Ai fini dell’accertamento dell’interesse del terzo a fondare il proprio intervento in causa è sufficiente che esso trovi effettivo e concreto riscontro nelle domande delle parti adiuvate, a prescindere dalla loro ammissibilità e fondatezza.
Poiché l’istituto della retroversione degli utili si pone sostanzialmente in via alternativa alla tutela risarcitoria classica, è necessario che della scelta dell’opzione dell’applicazione della retroversione degli utili in via alternativa rispetto alla valutazione del profilo del lucro cessante sia data esplicita e chiara manifestazione mediante la proposizione della specifica domanda, entro il termine assegnato per il deposito della prima memoria ex art.183, comma 6, c.p.c., che segna in via definitiva il limite per le preclusioni assertive. Tale necessità non è soddisfatta da un mero ed isolato richiamo nel corpo dell’atto di citazione del solo termine “retroversione” e non formulata come domanda specifica nelle conclusioni.
Legittimazione attiva all’impugnativa di delibere assembleari in caso di comproprietà del pacchetto azionario e nullità delle delibere di approvazione del bilancio di esercizio
La nomina necessaria del rappresentante comune priva i singoli comproprietari della quota dell’esercizio dei propri diritti, in quanto il loro interesse cede rispetto a quello della società di avere un unico interlocutore così da evitare che la situazione di comproprietà si trasformi in un ostacolo all’attività societaria. La legittimazione sostanziale del rappresentante comune priva i comproprietari della quota, ancorché agiscano di concerto, del potere di impugnativa, quale riflesso dell’esercizio dei diritti sociali; invero, l’art. 2347, co. 1, c.c., nel conferire alla partecipazione azionaria il carattere della indivisibilità, ha considerato indispensabile, in relazione alle esigenze peculiari della organizzazione societaria e alla natura del bene in comunione, la unitarietà dell’esercizio dei diritti, impedendone, quanto meno nei rapporti esterni, il godimento e l’amministrazione in forma individuale; e ciò al fine, da un lato, di evitare che contrasti interni si riflettano sulle attività assembleari e, dall’altro, di garantire certezza e stabilità alle deliberazioni assunte, correttamente approvate con la conseguenza che se l’intervento in assemblea e il diritto di voto in via esclusiva competono al rappresentante comune, la impugnazione prevista dagli artt. 2377 e 2379 c.c., non può che essere a lui attribuita. Anche nell’ipotesi in cui l’impugnazione sia esercitata unitariamente da tutti i comproprietari del titolo azionato il diritto processuale di impugnativa è riservato al rappresentante comune, dovendosi ritenere che il legislatore abbia valutato a priori – attraverso la previsione della nomina obbligatoria di un rappresentante comune senza eccezione – che non sia opportuna la verifica nei singoli casi dell’eventuale comunione di intenti dei comproprietari, essendo prevalente l’interesse a che la società, a fronte della comunione, a qualsiasi titolo, della quota di partecipazione azionaria, debba confrontarsi con un unico centro di interessi costituito, appunto, dal rappresentante comune.
Rientrano nel novero delle delibere nulle, in quanto aventi un oggetto illecito ex art. 2379 c.c., le delibere con cui risulta approvato un bilancio non conforme ai principi di cui all’art. 2423 c.c., ovvero in violazione di tutte le altre norme dettate in materia di bilancio, sicchè l’impugnativa può essere promossa da chiunque vi abbia interesse. Trattasi, infatti, di norme imperative inderogabili, poste a tutela di interessi generali che trascendono i limiti della compagine sociale e riguardano anche i terzi, destinatari delle informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, i quali possono agire in giudizio previa allegazione di un’incidenza negativa nella loro sfera giuridica delle irregolarità denunciate riguardo al risultato economico della gestione sociale. Il pregiudizio lamentato derivante dalla decisione impugnata, che l’attore ha l’onere di dimostrare in giudizio quale presupposto del suo interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. e che deve sussistere non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione, non deve essere necessariamente di carattere economico – ipotesi che si verifica ad esempio nel caso di perdita di valore o redditività della partecipazione, laddove l’attore agisce in qualità di socio –, potendo anche consistere nella lesione del diritto a ricevere dal bilancio un’informazione corretta in merito alla consistenza patrimoniale della società ed alla sua efficienza economica.
Nel caso dell’azione volta a far dichiarare la nullità di una deliberazione assembleare approvativa del bilancio di esercizio di una società, l’attore, che assuma di aver subito un pregiudizio a causa del difetto di chiarezza, veridicità e correttezza di una o più poste contenute in bilancio, ha l’onere di enunciare quali siano esattamente le poste iscritte in violazione dei principi legali vigenti e il giudice dovrà valutare se quanto prospettato configuri o meno il pregiudizio al diritto di informazione di cui il socio è portatore; l’esame delle singole poste e la verifica della loro conformità ai precetti legali è, tuttavia, compito logicamente successivo, che attiene al giudizio di fondatezza della domanda, ma non al requisito dell’interesse ad agire.
La mancata indicazione dell’identità dei partecipanti all’assemblea nel verbale della stessa determina la sola annullabilità della delibera; ciò in quanto con riferimento alla verbalizzazione della delibera assembleare l’art. 2379, co. 3, c.c. sanziona con la nullità esclusivamente l’ipotesi di verbale mancante, che si realizza quando esso è omesso o è carente in uno dei requisiti specificatamente previsti dalla norma, in cui non rientra la mancata indicazione dei partecipanti.
L.c.a. delle banche venete: regime di invalidità ex art. 2358 c.c. ed interesse ad agire
La violazione dell’art. 2358 c.c. – applicabile anche alle banche popolari – da sola non delinea una illiceità ex art. 1343 c.c., non contenendo l’art. 2358 c.c. un divieto assoluto ascrivibile alla materia delle norme imperative, ma “solo” una norma inderogabile, la cui violazione genera nullità del contratto e semplicemente la annullabilità, ai sensi dell’art. 1972, co. 2 c.c., della transazione che sia fatta su di esso, a beneficio del solo contraente ignaro della causa di nullità.
Sussiste interesse attoreo e procedibilità della domanda – non essendo l’interesse soddisfacibile in sede fallimentare – quando la parte attrice agisce per ottenere l’accertamento della nullità del finanziamento funzionalmente collegato alle operazioni di commercializzazione di azioni, finalizzata ad ottenere accertamento di non debenza da parte sua dell’adempimento contrattuale, ossia del pagamento delle rate di rimborso.
Sopravvenuta carenza di interesse ad agire nell’impugnativa di bilancio per l’approvazione medio tempore del bilancio successivo non impugnato
La ratio della previsione dell’art. 2434 bis c.c. consiste nella finalità di attuare, esprimendolo nella fattispecie concreta, il generale principio di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), poiché – secondo la valutazione della fattispecie stessa data dal legislatore, letta alla luce del principio di continuità dei bilanci –, approvato il bilancio successivo, la rappresentazione data, con il bilancio precedente, della situazione economico-patrimoniale della società ai soci e ai terzi ha esaurito le sue potenzialità informative (e organizzative), e dunque anche le sue potenzialità decettive, dovendo invece i destinatari dell’informazione, per ogni valutazione e decisione organizzativa conseguente, far riferimento all’ultimo bilancio approvato. Pertanto, non sussiste interesse ad agire rispetto all’impugnativa di un bilancio superato dall’approvazione di quello successivo.
Legittimazione a impugnare la delibera del CdA e interesse ad agire per l’accertamento della nullità di un contratto
L’affermazione dell’obiettivo di ottenere la rimozione dall’ordinamento di una delibera contraria a norma imperativa equivale all’affermazione di un generico interesse all’attuazione della legge; di contro, l’interesse ad impugnare (nell’accezione di cui agli artt. 1421 c.c. e 100 c.p.c.) richiede la prospettazione dell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, per evitare una lesione attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica. Non è coerente con il sistema ammettere all’impugnativa chi abbia contribuito direttamente a determinare la causa di nullità (art. 157 c.p.c.), né potrebbe mai riconoscersi un valido interesse ad agire nell’obiettivo di ottenere, con la pronuncia di annullamento, l’eliminazione dal mondo giuridico degli effetti di una condotta già definitivamente accertata, in sede giudiziale erariale, come produttiva di danno, stante la prevalenza dell’interesse pubblicistico al perseguimento della pretesa recuperatoria dell’indebito erariale. Ove il deliberato consiliare, di contenuto autorizzativo, costituisca un atto prodromico alla stipulazione di un successivo contratto – fonte, a sua volta, dell’effettivo spostamento patrimoniale indebito – non può ammettersi l’impugnativa sine die della stessa delibera che ha esaurito i suoi propri effetti con la stipulazione del successivo contratto.
Impugnazione di delibera di approvazione del bilancio ed interesse ad agire
Le disposizioni dirette a garantire la veridicità, la chiarezza e la precisione del bilancio sono inderogabili e la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento che prescinde dalla condotta delle parti, sicché la delibera di approvazione di un bilancio non conforme alla legge è nulla (cfr. Cass., ord. 13031/2014).
Sotto il profilo processuale, simmetricamente, l’interesse del socio ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio deve valutarsi alla stregua della prospettazione della parte, la quale ben può limitarsi a lamentare la mancanza di una corretta informazione – secondo le prescrizioni di legge – sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’ente (cfr. Cass., ord. 21238/2021).