Art. 100 c.p.c.
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Azione diretta all’accertamento di autenticità di un’opera del pittore Lucio Fontana
Il nostro ordinamento non riconosce un’azione generale di mero accertamento diretta a verificare la riconducibilità di un’opera artistica alla mano del suo autore. Siffatta tutela specifica viene espressamente configurata solo in capo a quest’ultimo, cui si accorda in ogni caso il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, e ad ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione (art. 20, c. 1, L. 633/1941, c.d. “Legge sul diritto d’Autore.”) nonché l’esercizio di azioni accertamento e di interdizione (artt. 156 e ss. l.d.a.) nelle ipotesi di falsa attribuzione, cui conseguono anche rilevanti risvolti penali.
In giurisprudenza sono, invero, rinvenibili diverse pronunce in cui è stata verificata, in corso di causa, l’autenticità di opere d’arte, sia mediante l’esperimento di consulenze tecniche d’ufficio, sia a seguito della valutazione complessiva di diversi elementi probatori (quali, ad esempio, expertise stragiudiziali o prove testimoniali). Tuttavia, ad eccezione di pochi esempi isolati, in tali fattispecie l’attività accertativa non risultava mai fine a sé stessa, bensì si poneva sempre come strumentale alla soddisfazione di un’ulteriore pretesa (per l’appunto diversa dal mero riconoscimento della paternità dell’opera d’arte oggetto del giudizio), nascente da un diverso rapporto giuridico esistente. Le pronunce in cui si rinvengono accertamenti incidentali di questo tipo riguardano, infatti, le ipotesi di acquisto e vendita di opere d’arte, rispetto alla quali siano successivamente intervenute valutazioni di inautenticità da parte di terzi soggetti.
Impugnazione della delibera di approvazione del bilancio e clausola compromissoria
Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall’impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, trascendono l’interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili.
Deve ritenersi invece compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione – anche per vizi di nullità – di una delibera di nomina di membri del collegio sindacale.
Una volta dichiarata invalida la delibera di approvazione di un bilancio scatta l’obbligo per gli amministratori, ai sensi dell’art. 2377 c.c., sia di redigere un nuovo bilancio del relativo esercizio e di procedere alla nuova approvazione, sia di adottare tutte le correzioni necessarie con riguardo ai bilanci successivi, se e nella misura in cui le rettifiche al bilancio originariamente impugnato producono conseguenze riflesse sui bilanci intervenuti in seguito. Di conseguenza, in pendenza del primo giudizio di impugnazione, coloro che hanno agito per sentir pronunciare l’invalidità di una delibera di approvazione di un bilancio non hanno l’onere, nè il diritto, di impugnare tutti i bilanci successivi per ottenere che gli effetti dell’invalidità si riflettano sugli stessi. Infatti tali soggetti difettano dell’interesse ad agire, in quanto potrebbero conseguire il medesimo risultato senza il ricorso al giudice, in virtù dell’anzidetta applicazione dell’art. 2377 c.c.
Cessazione della materia del contendere e revoca di un brevetto europeo
Va dichiarata cessata la materia del contendere quanto alla domanda di nullità della frazione italiana di un brevetto europeo in conseguenza del fatto che l’Ufficio Europeo dei Brevetti ha definitivamente revocato il brevetto europeo per mancanza dei requisiti di brevettabilità.
La pronuncia di cessazione della materia del contendere presuppone che sia venuto meno l’interesse delle parti ad una decisione sulla domanda giudiziale proposta, e cioè se risulti ritualmente acquisita o concordemente ammessa una situazione dalla quale emerga che è venuta meno ogni ragione di contrasto tra le stesse.
Interesse all’impugnazione in caso di delibera assembleare negativa
La delibera assembleare costituisce l’esito di un procedimento che può e deve essere valutato sotto il profilo della sua correttezza e legittimità; dunque, anche nel caso in cui l’esito del procedimento si traduca in una mancata delibera è coerente con il sistema ammettere l’impugnazione per consentire il rilievo di un vizio procedimentale, determinante dell’esito. L’interesse alla impugnazione deve essere rappresentato, e sussiste, qualora si possa dimostrare che, correggendo il vizio del procedimento, l’esito sarebbe stato diverso.
La necessità di una preventiva autorizzazione assembleare rispetto a una o più materie o decisioni non può dirsi idonea ad esautorare gli amministratori, titolari del potere gestorio, laddove vi sia una giustificazione nello specifico assetto societario
La previsione di quorum assembleari ultra-qualificati deve ritenersi generalmente ammissibile, con le uniche ed espresse eccezioni dei casi di approvazione del bilancio e nomina o revoca delle cariche sociali
Inesistenza della qualità di socio e mancanza di interesse ad agire nell’impugnazione delle delibere assembleari
L’accertamento dell’inesistenza della qualità di socio in capo ad un soggetto, per effetto dell’intervenuta declaratoria di nullità del titolo di acquisto delle sue partecipazioni sociali, determina la mancanza di suo interesse ad agire nell’impugnazione delle delibere assembleari, qualora non vi sia altro interesse se non quello derivante dall’appartenenza alla compagine sociale, di cui è parte terza. [ LEGGI TUTTO ]
Inammissibilità della domanda di mero accertamento della responsabilità per danni arrecati dagli amministratori alla società per carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.
La mancata reiterazione in sede di udienza di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti conclusivi della domanda di condanna al risarcimento del danno, originariamente formulata nell’atto di citazione dalla società e dal socio nei confronti degli amministratori giudiziali e degli amministratori sociali, comporta l’abbandono della domanda medesima, giacché le parole “accertare la responsabilità al risarcimento del danno” nell’ambito di un atto processuale civile non possono assumere il valore semantico di “condanna al risarcimento del danno”. Sicché, la totale assenza di un esplicito riferimento all’interesse ripristinatorio e recuperatorio del danno lamentato nelle difese conclusive attoree evidenzia una sopraggiunta volontà di proporre unicamente una domanda di mero accertamento della responsabilità dei convenuti e non, anche, quella di condanna.
Se il diritto inizialmente dedotto in giudizio è di tipo risarcitorio, non è oggettivamente apprezzabile un sopraggiunto interesse alla sola affermazione della responsabilità senza condanna al risarcimento stesso. È, infatti, inammissibile per difetto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. la domanda di mero accertamento della responsabilità per danni formulata dalla società e dal socio nei confronti degli amministratori giudiziali e degli amministratori sociali atteso che il mero accertamento della responsabilità rispetto ad un diritto risarcitorio, non è idoneo a consentire agli attori stessi di conseguire un vantaggio giuridicamente concreto e oggettivamente valutabile. Tale diritto, infatti, può essere soddisfatto solo con un’azione recuperatoria risarcitoria dove l’accertamento della lesione e la quantificazione del danno causalmente collegato alla condotta dei convenuti costituiscono elementi della fattispecie di responsabilità risarcitoria.
Diritto di prelazione ed effetti dell’accertamento dell’intento simulatorio
Non sussiste l’interesse ad agire del terzo che chiede l’accertamento della simulazione del contratto di cessione d’azienda poiché la conseguenza dell’accertamento dell’intento simulatorio produrrebbe effetti solo rispetto alle parti dell’accordo simulato e non nei confronti della generalità dei terzi, alla luce del disposto di cui all’art. 1415 c.c., che stabilisce che la simulazione può essere fatta “valere in confronto delle parti”.[Nel caso di specie l’attrice aveva richiesto l’inefficacia del contratto di cessione aziendale a seguito del quale la cessionaria era subentrata nel diritto di prelazione della conduttrice-cedente ex art. 38 L. 392/78 e aveva esercitato la prelazione così determinando l’inefficacia del preliminare di vendita dell’immobile stipulato tra la stessa attrice e il promittente venditore].
Interesse ad agire per la nullità dell’atto di cessione di quote sociali aventi ad oggetto un credito
La locuzione contenuta nell’art. 1421 c.c. “chiunque vi abbia interesse” si riferisce ai soggetti terzi che si sentano minacciati dall’apparenza creata dal contratto nullo o dai danni che ne potrebbero derivare. L’interesse ad agire, quindi, deve essere concreto ed attuale. Tali requisiti non sono soddisfatti nell’ipotesi in cui la società che agisce per la nullità di un contratto di cessione quote inter alios vanti un credito che, oltre ad essere di modesto ammontare rispetto a quello oggetto del contratto di cessione, è stato acquistato solo successivamente rispetto alla predetta cessione.
Difetto dell’interesse ad agire nella richiesta di accertamento di un mero fatto non oggetto di controversia
La domanda giudiziale con cui l’organo amministrativo di una cooperativa chiede di accertare e dichiarare la validità della propria delibera che ha escluso il socio moroso non è meritevole di accoglimento per difetto della condizione dell’interesse ad agire, in quanto non è stato dedotto alcun elemento di incertezza oggettiva di tale fatto.
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Compenso degli amministratori e impugnativa di bilancio
Relativamente al compenso degli amministratori, la disciplina codicistica si limita a dettare le modalità da seguire per fissare i compensi degli amministratori che sono determinati dall’assemblea (art. 2364, comma 1, n. 3 c.c.) e tendenzialmente all’atto della nomina (art. 2389 c.c.), ma non dice alcunché con riferimento ai parametri da seguire circa la determinazione nel quantum.
Pertanto, nel nostro ordinamento, la determinazione di compensi “congrui” o “ragionevoli” non forma in re ipsa oggetto di un espresso obbligo di legge, né è possibile rinvenire nell’attuale assetto normativo i criteri in base ai quali detta adeguatezza può in concreto essere accertata (fatti salvi alcuni specifici regolamenti per alcune tipologie di società, come per quelle operanti nel settore delle assicurazioni, ove si tiene conto delle linee guida dettate dal Regolamento IVASS n. 38 del 3 luglio 2018).
Dunque il sindacato giudiziale sulla congruità del quantum inevitabilmente, si sostanzia in una valutazione che è diretta non ad accertare, in sostituzione delle scelte istituzionalmente spettanti all’assemblea dei soci, la convenienza o l’opportunità della deliberazione per l’interesse della società, bensì ad identificare, nell’ambito di un giudizio di carattere relazionale, teso a verificare la pertinenza, la proporzionalità e la congruenza della scelta, un eventuale motivo di illegittimità desumibile dalla irragionevolezza della misura del compenso stabilita in favore dell’amministratore.
E’ inammissibile per carenza di interesse l’impugnativa del bilancio in cui sono iscritti i compensi deliberati in favore degli amministratori, quando la delibera di determinazione dei compensi è già stata impugnata.
Diretta conseguenza è che coloro che hanno fatto valere determinate pretese d’invalidità di una delibera non solo non hanno l’onere di impugnare la successiva delibera di approvazione del bilancio che ne recepisce la determinazione sostanziale, sino alla definitività della sentenza, ma non hanno nemmeno il diritto di farlo, proprio perché la pretesa all’adempimento di quanto imposto dal citato art. 2377 c. c. diventa concreta ed attuale nel momento in cui le denunciate invalidità sono state definitivamente accertate in sede giudiziale.