Art. 13 reg. UE
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Evocazione illecita di DOP: il caso ‘Parmigiano Reggiano’
L’acronimo “DOP” sta per denominazione di origine protetta e consiste nel nome di un prodotto che ne indica l’origine o provenienza da un certo luogo o territorio, tale che la denominazione diviene garanzia di qualità del prodotto per la rispondenza a un disciplinare di produzione legato al territorio.
Il legislatore nazionale (art. 30 C.p.i.) ed europeo (art. 13 Regolamento UE 1151/2012) delineano un illecito evocativo della DOP, non solo riferito alla denominazione del prodotto, ma anche a qualsiasi altro mezzo o pratica atti a indurre in errore il consumatore sull’origine del prodotto o sulle qualità dello stesso legate alla sua provenienza, talché l’illecito ben può consistere, non solo nell’incorporazione della DOP o nell’affinità fonetica e visiva tra le due denominazioni, ma pure nella “vicinanza concettuale” tra la DOP e la denominazione di cui trattasi, o anche nella somiglianza tra i prodotti protetti dalla DOP e i prodotti (o servizi) contrassegnati dalla denominazione in sua violazione.
L’illecito evocativo della DOP, come fattispecie imitativa del prodotto protetto, non può consistere tout court nel fatto che viene imitato il prodotto protetto dalla DOP, ma richiede che l’imitazione afferisca alle caratteristiche esteriori identificative della DOP medesima.
Esaurimento del marchio e onore della prova
L’art. 5 del Codice della Proprietà Industriale prevede, al primo comma, che “Le facoltà esclusive attribuite dal presente codice al titolare di un diritto di proprietà industriale si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati immessi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità economica europea o dello Spazio economico europeo”. L’art. 13.1 del Regolamento Comunitario (CE) 207/2009 dispone: “Il diritto conferito dal marchio comunitario non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nella Comunità con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso”.
E’ per contro pacifico nella giurisprudenza comunitaria che l’esaurimento non opera in relazione a prodotti originali messi in commercio dal titolare o con il suo consenso al di fuori del SEE (c.d. esaurimento internazionale). Ne consegue che i diritti del titolare di un marchio comunitario non si esauriscono in caso di commercializzazione dei prodotti al di fuori della UE atteso che in tal modo è consentito al titolare del marchio di controllare la prima immissione in commercio dei prodotti recanti il marchio nel SEE; per contro, in caso di vendite dei prodotti nel SEE da parte del titolare o con il suo consenso, l’esaurimento si determina in quanto la vendita “consente al titolare di realizzare il valore economico del suo marchio”.
In tema di onere della prova della sussistenza o della assenza dei fatti costitutivi dell’esaurimento si è pronunciata più volte la Corte di Giustizia chiarendo preliminarmente che, nonostante l’assenza di una normativa comunitaria specifica sul punto, la regolazione dell’onere della prova deve essere uniforme sul territorio comunitario, ed anzi che è possibile in questa materia procedere alla disapplicazione del diritto interno, se contrastante. E, quindi, che spetta al soggetto che invoca l’esistenza di un consenso del titolare all’immissione in commercio fornire la prova di questa circostanza, mentre non è onere del titolare del marchio dimostrare la mancanza di consenso . E’ stato chiarito che l’esaurimento del diritto di marchio costituisce una eccezione che può essere sollevata dal terzo convenuto in contraffazione dal titolare del marchio, cosicché è il terzo a dover provare, in line di principio, i presupposti dell’esaurimento. Un temperamento a tale criterio di distribuzione dell’onere probatorio si verifica quando il titolare commercia i prodotti nella UE attraverso un sistema di distribuzione esclusiva, dato che in questo caso, se il terzo dovesse fornire la prova del luogo in cui i prodotti sono stati messi in commercio per la prima volta, il titolare potrebbe individuare il distributore infedele ed eliminare la possibilità di approvvigionamento del terzo presso questo distributore così verificandosi il rischio di isolamento dei mercati nazionali con le relative differenze di prezzo tra i vari rivenditori. Il terzo dunque, per beneficiare dell’inversione dell’onere probatorio dovrà fornire la prova che l’immissione in commercio dei prodotti nella UE da parte del titolare o con il suo consenso determina un rischio concreto di compartimentazione dei mercati nazionali, solo in questo caso spettando al titolare la prova che i prodotti sono stati immessi con il suo consenso al di fuori della UE. Se questa prova fosse raggiunta il terzo dovrebbe provare che vi fosse un consenso del titolare alla successiva commercializzazione dei prodotti nella UE.