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Art. 146 l.fall.
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1 Febbraio 2021

Legittimo il rimborso dei finanziamenti soci in assenza dell’allegazione dei presupposti di cui all’art. 2467 c.c.

Le eventuali rimesse eseguite dalla società a favore di alcuni soci a titolo di restituzione di finanziamenti soci non possono essere annoverate fra i pagamenti ingiustificati, laddove il fallimento attore non alleghi l’esistenza – al momento dell’erogazione dei prestiti e del loro rimborso – dei presupposti stabiliti dall’art. 2467 c.c. per l’operatività dell’invocata postergazione.

7 Gennaio 2021

Azione di responsabilità e società pubblica: i criteri di valutazione della condotta degli amministratori non mutano

Nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto un’azione di responsabilità promossa dalla curatela ai sensi dell’art. 146 l. fall., la circostanza che la fallita sia partecipata da enti pubblici non costituisce motivo per adottare logiche diverse nella valutazione della condotta dei suoi amministratori, sindaci e direttore generale, i quali sono comunque tenuti a gestire la società diligentemente e in maniera da assicurarne l’equilibrio economico-finanziario, così da consentire, anche a tutela dei terzi creditori, il regolare adempimento delle obbligazioni assunte. Pertanto, in favore degli organi amministrativi e di controllo, non sussiste alcuna ragione per derogare al generale obbligo di diligente gestione societaria, applicandosi la disciplina privatistica della forma societaria prescelta.

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21 Dicembre 2020

Azione di responsabilità ed efficacia probatoria della sentenza ex art. 444 c.p.p.

Il mero richiamo ai capi di imputazione elaborati nell’ambito del processo penale per bancarotta fraudolenta conclusosi con la condanna dei convenuti in applicazione della pena su richiesta della parte ai sensi dell’art. 444 c.p.p. non è sufficiente ai fini dell’espletamento dell’onere probatorio posto in capo alla curatela attrice nel giudizio di responsabilità dell’amministratore di fatto e del socio “gestore” di s.r.l. per i danni cagionati alla società e ai creditori. Infatti, poiché la sentenza penale emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. e divenuta irrevocabile è solo equiparata ad una pronuncia di condanna e, ai sensi dell’art. 445, co. 1-bis, c.p.p., non ha efficacia in sede civile o amministrativa, le risultanze del procedimento penale non sono vincolanti, ma possono essere liberamente apprezzate dal giudice civile ai fini degli accertamenti di sua competenza.

16 Dicembre 2020

Rilevanza probatoria nell’azione di responsabilità del patteggiamento dell’amministratore

Benché la sentenza di patteggiamento non abbia efficacia di giudicato nel giudizio civile inerente la responsabilità gestoria e risarcitoria degli amministratori, essa assume tuttavia in sede civile (in ordine agli specifici ed identici fatti contestati) natura e valenza di prova critica e, quindi, una valenza probatoria importante. Questo significa che il Giudice civile può utilizzarla come elemento di prova sufficiente a ritenere fondata la responsabilità gestoria in merito agli stessi fatti dedotti; al contrario, qualora voglia discostarsene dovrà motivare specificatamente le ragioni del non utilizzo: in tal caso, il Giudice ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’amministratore imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (la richiesta di patteggiamento, dell’imputato implica pur sempre il riconoscimento del fatto-reato, quindi, una ammissione di colpevolezza che esonera la controparte dall’onere della prova).

Per lo stesso fatto soltanto alla stregua di valide giustificazioni, debitamente argomentate, possono ammettersi differenti e contrastanti decisioni giudiziali, pur nell’autonomia dei relativi giudizi assicurata e disciplinata da norme di rango costituzionale e di natura processuale.

16 Dicembre 2020

Profili di responsabilità degli amministratori alla luce della Business Judgement Rule. Solidarietà passiva nelle transazioni

La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che questa ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (il Giudicante richiama Cass. 11.11.2010 n. 22911).

All’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità” (il Giudicante richiama Cass. 12.2.2013 n. 3409 e Cass. 2.2.2015 n. 1783).

In tema di responsabilità dell’amministratore di una società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata, l’insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione (cd. “business judgement rule”) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi sia “ex ante”, secondo i parametri della diligenza del mandatario, alla luce dell’art. 2392 c.c., – nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla novella introdotta dal d.lgs. n. 6 del 2003 – sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere” (il Giudicante richiama Cass. 22.6.2017 n. 15470).

Il debitore che non sia stato parte della transazione stipulata dal creditore con altro condebitore in solido non può profittarne se, trattandosi di un’obbligazione divisibile ed essendo stata la solidarietà prevista nell’interesse del creditore, l’applicazione dei criteri legali d’interpretazione dei contratti porti alla conclusione che la transazione ha avuto ad oggetto non l’intero debito ma solo la quota di esso riferibile al debitore che ha transatto; in caso contrario, il condebitore ha diritto a profittare della transazione senza che eventuali clausole in essa inserite possano impedirlo. Qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che la ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se invece il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto (il Giudicante richiama Cass. SU 30.12.2011 n. 30174).

16 Dicembre 2020

Azione di responsabilità ex art. 146 l. fall. In caso di omesso adempimento degli oneri fiscali da parte dell’amministratore

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. cumula i presupposti e gli scopi dell’azione sociale di responsabilità ex artt. 2392-2393 c.c. e dell’azione spettante ai creditori sociali ex art. 2934 c.c.

È onere probatorio incombente sulla curatela (attrice ex art. 146 l. fall) quello di dimostrare: (i) il mancato o negligente adempimento agli obblighi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo a tutela della compagine sociale e dei creditori sociali; (ii) l’esistenza di un danno causalmente imputabile al comportamento negligente dell’organo gestorio. La contumacia dell’amministratore convenuto è qualificabile come rinuncia alla prova della sussistenza di fatti impeditivi ed ostativi all’assolvimento del proprio onere probatorio.

Ai fini dell’imputabilità all’amministratore dei danni patiti dalla fallita, tra gli obblighi di diligente gestione e di conservazione del patrimonio sociale è compreso quello di gestire le risorse finanziarie in modo da provvedere agli obblighi fiscali, evitando così l’aggravio delle relative sanzioni e interessi di mora. Nel caso di omesso pagamento di oneri fiscali e contributivi da parte dell’amministratore della fallita, il danno è pari all’aggravamento del passivo provocato – da detta omissione – a causa dei maturati oneri per interessi e sanzioni, giacché non è sulla debenza o meno dell’imposta che incide il comportamento dell’amministratore stesso.

26 Novembre 2020

Prescrizione dell’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall.

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c. promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. è soggetta a prescrizione decorrente dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione). In ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando pertanto all’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (cfr. in questo senso anche Cass. n. 13787/2014 e n. 24715/2015).

Il curatore fallimentare che esercita l’azione di responsabilità ai sensi dell’art.146 l.f. propone al contempo sia l’azione sociale ex art.2393 cc, sia quella dei creditori sociali ex art.2394 cc, azioni che si cumulano, pur restando ciascuna assoggettata al regime che ad essa è proprio. Ne deriva che, ove la società e gli amministratori abbiano compromesso in arbitri ogni controversia attenente alla responsabilità di questi ultimi, la clausola compromissoria e l’eventuale lodo arbitrale sono opponibili anche al curatore del sopravvenuto fallimento, seppur limitatamente all’azione sociale di responsabilità svolta ex art.146 l.f.

24 Novembre 2020

Opponibilità ai terzi della cessazione dalla carica di amministratore e sindacato sull’operato dell’organo amministrativo

Considerato che ai sensi dell’art. 2385, ult. co., c.c. la cessazione degli amministratori dall’ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro trenta giorni nel registro delle imprese e considerato, inoltre, che l’art. 2193 c.c. dispone che i fatti di cui la legge prevede l’iscrizione, se non sono stati iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l’iscrizione a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza, l’eventuale cessazione dalla carica di amministratore per essere opponibile ai terzi creditori sociali deve necessariamente essere iscritta nel registro delle imprese

Se è vero che le determinazioni dell’imprenditore – ovvero del suo organo amministrativo – sono tradizionalmente considerate esenti da sindacato in sede giurisdizionale, ciò non significa che l’amministratore della società sia libero di adottare qualsivoglia decisione, essendo questi comunque tenuto ad espletare il proprio incarico con la diligenza professionale prescritta ex lege, la quale si estrinseca nella fase preliminare all’adozione della decisione e si fonda sull’acquisizione delle conoscenze tecniche e fattuali necessarie in relazione al caso di specie. Ne consegue, dunque, che il giudizio de quo possa investire unicamente l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostante e con quelle modalità.

 

23 Novembre 2020

Azione di responsabilità degli amministratori e danno rappresentato da debiti tributari

In tema di danno risarcibile dagli amministratori nell’ipotesi di azione di responsabilità esercitata nei loro confronti dal curatore fallimentare ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 146 l.fall., qualora il danno sia rappresentato da debiti tributari, il danno sussiste per tutte quelle componenti accessorie del debito che si sarebbero potute evitare con una gestione diligente.

Quindi, rileva non il mancato pagamento dell’imposta, che rimane un inadempimento che genera un debito al pari degli altri debiti concorsuali (al netto di un eventuale pagamento preferenziale) ma, invero, la mala gestio degli amministratori, che consiste nell’aggravarsi di tale debito, causalmente connesso ad una condotta negligente ed imprudente della gestione, vuoi per non avere pagato l’imposta quando ve ne era la possibilità, vuoi per avere fatto maturare ulteriori accessori tributari, non chiedendo il proprio fallimento pur avendone un obbligo penalmente sanzionato.

23 Novembre 2020

Dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c., prosecuzione dell’attività gestoria in presenza di una causa di scioglimento e azione revocatoria verso atto dispositivo a danno dei creditori

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l.fall., è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non dell’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato di insolvenza di cui all’art. 5 l.fall., derivante, in primis, dall’indisponibilità di ottenere ulteriore credito. In ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.

La prosecuzione dell’attività gestoria, pur in presenza di una causa di scioglimento della società, non può essere di per sé considerata causa dell’aggravamento del dissesto finanziario di una s.r.l., poi fallita, poiché alcune condotte degli amministratori, potrebbero valutarsi, con un giudizio da farsi necessariamente “ex ante”, ai fini della prova della responsabilità verso la società ed i creditori sociali, del tutto neutre, se non addirittura in alcuni casi positive nell’evitare alla società perdite ancor più gravi.

Riguardo invece al tema della revocatoria, quando occorre giudicare in ordine alla anteriorità del credito o della ragione di credito rispetto all’atto dispositivo impugnato, ai fini dell’art. 2901, comma 2, c.c. occorre fare riferimento non già al momento in cui il credito venga accertato in giudizio, bensì a quello in cui si è verificata la situazione di fatto alla quale il credito stesso si ricollega. Ed invero l’azione revocatoria non persegue specificatamente scopi restitutori, quanto piuttosto mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori compresi quelli meramente eventuali. Quanto all’elemento soggettivo, c.d. scientia damni, allorché l’atto dispositivo sia successivo all’insorgere del credito, l’unica condizione richiesta è che il debitore fosse a conoscenza del pregiudizio per le ragioni del creditore e trattandosi di atto a titolo oneroso, che di esso fosse consapevole anche il terzo acquirente. Tale requisito, può essere provato anche a mezzo di presunzioni, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra debitore e terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente.