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Art. 146 l.fall.
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3 Maggio 2017

La responsabilità del socio di S.r.l.: danno, nesso causale e presupposti per l’azione

Sussiste la responsabilità dei soci di una s.r.l. qualora costoro si siano intromessi nella gestione della società, intenzionalmente decidendo o autorizzando il compimento di atti dannosi per la società, per i soci e per i terzi.

Sono considerati soci ai sensi dell’art. 2476, co. 7, c.c., coloro i quali abbiano un qualche potere decisionale in ordine al compimento di un determinato atto di gestione della società, oppure che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato detto atto, a prescindere dal fatto che ciò sia avvenuto in forza di un potere loro attribuito per legge o per statuto ovvero semplicemente di fatto ed anche solo in via occasionale, non sussistendo in tale contesto la violazione del generale principio della non responsabilità del socio per le obbligazioni sociali, in quanto tale responsabilità serve a garantire la necessaria correlazione tra l’attribuzione di un potere e la responsabilità di chi ne sia investito facendo sì che il socio risponda, in solido con gli amministratori, del modo in cui ha esercitato il potere di amministrazione attribuitogli.

Con riguardo all’elemento psicologico, atteso che la legge richiede che i soci abbiano “intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”, l’intenzionalità è costituita dalla piena coscienza di compiere quell’atto decisionale o autorizzatorio potenzialmente dannoso e, in definitiva, dalla riferibilità psicologica dell’atto al socio, a nulla rilevando che il socio abbia agito con la specifica coscienza e volontà di arrecare danno alla società, agli altri soci o ai terzi.

La erogazione di denaro della società senza alcuna giustificazione e senza garanzie in ordine alla sua restituzione integra indubbiamente un atto distrattivo, dannoso per il patrimonio sociale, del quale sono tenuti a rispondere non solo gli amministratori, ma anche i soci della società.

3 Maggio 2017

Responsabilità degli amministratori per mancato versamento di tributi e contributi e quantificazione del risarcimento in caso di fallimento

In tema di omesso versamento di tributi e contributi, sebbene la corretta esecuzione dei pagamenti relativi ad oneri contributivi e previdenziali costituisca effettivamente un dovere per l’amministratore di una società di capitali, il danno subito dalla società non può essere parametrato all’entità dell’imposta o del contributo omesso, in quanto la società era tenuta comunque a sopportarne il costo. Il danno può, quindi, essere commisurato soltanto sulla base dell’entità delle sanzioni comminate dall’amministrazione finanziaria e dagli interessi maturati successivamente alla scadenza del termine legalmente previsto, poiché tali esborsi sarebbero stati evitabili qualora l’amministratore, utilizzando l’ordinaria diligenza, avesse provveduto ad adempiere ai propri obblighi in modo regolare.

Qualora il curatore fallimentare di una società di capitali eserciti l’azione di responsabilità verso l’ex amministratore imputato di mala gestio, il mancato rinvenimento della contabilità d’impresa non determina in modo automatico che l’ex amministratore risponda della differenza tra l’attivo e il passivo accertati in sede fallimentare, potendo il giudice di merito applicare il criterio differenziale soltanto in funzione equitativa, attraverso l’indicazione delle ragioni che non hanno permesso di accertare gli specifici effetti pregiudizievoli della condotta e che rendono plausibile ascrivere al convenuto l’intero sbilancio patrimoniale. [fattispecie relativa a fatti verificatisi anteriormente all’introduzione del terzo comma dell’art. 2486 c.c., disposta dall’art. 378, comma 2, D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14]

È onere del creditore (e nel caso di specie, del Fallimento attore) allegare in maniera precisa il comportamento dell’amministratore non conforme al contratto o alla legge, oltre che allegare e provare il danno ed il nesso di causalità. Quindi, per poter applicare il criterio del cd. deficit fallimentare, è necessario che l’attore, a fondamento della domanda risarcitoria, abbia allegato inadempimenti che, almeno astrattamente, siano idonei a produrre un danno corrispondente all’intero deficit patrimoniale accumulato dalla società fallita ed accertato nell’ambito della procedura concorsuale. Ed è evidente che tale danno può essere prodotto solo da quelle violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che proprio a cagione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza. Per contro, se le dedotte violazioni avessero soltanto aggravato il dissesto, unicamente tale aggravamento potrebbe essere ad esse ricollegato.

Con riguardo alla omessa rilevazione di una causa di scioglimento della società ex art. 2482 e ss. c.c. una tale condotta omissiva può rilevare, da punto di vista risarcitorio, esclusivamente sotto il profilo dei danni causati dalla prosecuzione dell’attività sociale e dal compimento di nuove operazioni, nonostante l’esistenza di una causa di scioglimento che avrebbe dovuto comportare la sua immediata messa in liquidazione. Tuttavia, nulla di specifico risulta dedotto dal Fallimento, il quale ha omesso di chiarire quali sarebbero i danni cagionati al patrimonio sociale dalla prosecuzione della attività e dalla ritardata messa in liquidazione della società, non potendosi questi individuare automaticamente in tutti gli oneri e costi maturati successivamente.

Il risarcimento del danno cui è tenuto l’amministratore, ai sensi dell’art. 2393 c.c., dà luogo ad un debito di valore, avendo per contenuto la reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione economica preesistente al verificarsi dell’evento dannoso, con la conseguenza che nella liquidazione del risarcimento deve tenersi conto della svalutazione monetaria verificatasi tra il momento in cui si è prodotto il danno e la data della liquidazione definitiva: ciò, peraltro, vale anche se, al momento della sua produzione, il danno consista nella perdita di una determinata somma di denaro, in quanto quest’ultima vale soltanto ad individuare il valore di cui il patrimonio del danneggiato è stato diminuito e può essere assunta come elemento di riferimento per la determinazione dell’entità del danno.

Nei debiti di valore il riconoscimento di interessi costituisce una mera modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso col limite costituito dall’impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell’illecito. Non gli è invece inibito di riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate; ovvero sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia; ovvero di determinare il tasso di interesse in misura diversa da quella legale; ovvero, ancora, di non riconoscere affatto gli interessi se, in relazione ai parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato, un danno da lucro cessante debba essere positivamente escluso.

 

 

24 Aprile 2017

Individuazione dell’amministratore di fatto

Ormai da tempo dottrina e giurisprudenza hanno totalmente equiparato la figura dell’amministratore di fatto a quella dell’amministratore di diritto. Ed, invero, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, le norme che disciplinano la responsabilità degli amministratori (e dei direttori generali) delle società di capitali sono applicabili anche a coloro i quali si siano ingeriti (in maniera non occasionale, ma sistematica e continuativa) nella gestione sociale (e non limitatamente ad attività meramente esecutive) in assenza di una qualsivoglia investitura da parte della società.

24 Aprile 2017

Azione di responsabilità degli amministratori di s.r.l. esercitata dal curatore fallimentare: natura dell’azione, onere probatorio, individuazione dei doveri imposti agli amministratori, responsabilità degli amministratori di fatto e liquidazione degli interessi compensativi

Per effetto del fallimento di una società di capitali, le (diverse) fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. (ante riforma) confluiscono in un’unica azione, dal carattere unitario ed inscindibile, all’esercizio della quale è legittimato, in via esclusiva, il curatore del fallimento, ai sensi dell’art. 146 l. fall., che può [ LEGGI TUTTO ]

12 Aprile 2017

Incompletezza/inattendibilità delle scritture contabile e responsabilità degli amministratori nei confronti del curatore fallimentare

L’incompletezza e l’inattendibilità delle scritture contabili non può essere ritenuta ex se fonte di responsabilità per gli amministratori, essendo necessario rilevare un pregiudizio al patrimonio sociale potenzialmente ricollegabile a tale violazione in termini di lucro cessante e danno emergente.

4 Aprile 2017

Prova della qualità dell’amministratore di fatto e degli eventi causativi della responsabilità dei cessati amministratori rimasti contumaci

La qualità di amministratore di fatto può essere desunta attraverso indizi la cui valutazione è rimessa, ex art. 116 c.p.c.,  al prudente apprezzamento del giudice (nel caso di specie, è stata ritenuta idonea all’accertamento [ LEGGI TUTTO ]

L’omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili non giustifica di per se stessa il ricorso al criterio deficit patrimoniale accertato in sede di fallimento

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali previste agli artt. 2393 e 2394 c.c., pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento della società medesima confluiscono nell’unica azione di responsabilità, esercitabile dal curatore ai sensi dell’art. 146 L.F.

L’omessa o irregolare tenuta della contabilità [ LEGGI TUTTO ]