Art. 2256 c.c.
3 risultati
Decisioni dei soci nelle società di persone e diritto alla percezione dei dividendi
Nelle società di persone, che non hanno personalità ma solo soggettività giuridica e un’autonomia patrimoniale c.d. imperfetta, le decisioni dei soci non sono soggette al metodo collegiale: invero, non esiste l’organo sociale assemblea, così come non esiste l’organo consiglio di amministrazione, propri, invece, delle società di capitali. Sicché i soci deliberano liberamente, senza l’obbligo della osservanza di formalità e la volontà dai medesimi espressi, all’unanimità o a maggioranza, non si manifesta attraverso l’assemblea, salvo ciò non sia, legittimamente, previsto nello statuto, ma attraverso la raccolta interna del consenso dei singoli soci, come si desume anche da disposizioni quali quelle di cui agli artt. 2256 e 2301 c.c., le quali richiedono “il consenso degli altri soci” e non già “l’autorizzazione della società”. Sul tema della necessità di una volontà unanime o maggioritaria dei soci, deve ritenersi che sussista la necessità di raccogliere il consenso unanime dei soci laddove si tratti di decidere aspetti organizzativi di base (legali o convenzionali) della società, mentre sia sufficiente quello della sola maggioranza quando si tratti di decidere su temi che attengono alla gestione dell’impresa (come l’approvazione del rendiconto, o la revoca dell’amministratore).
Ciascun socio dispone del proprio diritto alla distribuzione degli utili e, quindi, certamente non sarebbe sufficiente il consenso della maggioranza a negarla, come potrebbe avvenire in una società di capitali ove la distribuzione degli utili è rimessa alla volontà collegiale dell’assemblea, essendo bensì necessario il consenso di ciascuno dei soci, che all’esito dell’approvazione del rendiconto che ne attesta l’esistenza, matura il relativo diritto ex art. 2262 c.c. In assenza della previsione, anche statutaria, di specifiche formalità, l’espressione della volontà contrattuale dei soci di una società di persone può avvenire anche in forma tacita, per effetto di atti non formali, ma di facta concludentia.
Responsabilità dell’amministratore di snc per prelievi ed ammanchi di cassa e per utilizzo personale di beni sociali
E’ responsabile nei confronti della società l’amministratore di società in nome collettivo che abbia:
i. effettuato prelievi ingiustificati dai conti correnti;
ii. distratto corrispettivi relativi alla attività caratteristica non registrati o regolarizzati (e non scontrinati o fatturati);
iii. utilizzato beni sociali per fini personali. Tale condotta illegittima costituisce una forma di inadempimento ai propri obblighi ed ingenera una responsabilità in capo all’amministratore, il quale è tenuto a risarcire il danno cagionato.
Grava sulla società l’onere di dimostrare la sussistenza delle condotte illegittime, il nesso causale ed il danno cagionato (nel caso di specie i prelievi e l’indebito utilizzo di risorse sociali e di proventi e corrispettivi della attività non fatturati e contabilizzati); tuttavia, una volta allegati e/o dimostrati e non specificamente contestati i prelievi e gli ammanchi di cassa, spetta all’ex amministratore fornire la prova liberatoria di cui all’art. 1218 c.c., dimostrando con evidenza contabile (o con adeguata prova costituenda) che il denaro sociale oggetto di tali prelievi e pagamenti fosse stato reimpiegato per spesare costi o saldare debiti della società.
In assenza di contestazione e di prova di ciò, l’ex amministratore deve restituire alla società le somme non reimmesse nelle casse sociali.
La mancata impugnazione della decisione di rimozione delle funzioni gestorie da parte del socio-amministratore di snc rende la cessazione dalla carica definitiva e le eventuali irregolarità ed illegittimità inopponibili alla società.
In una società di persone l’utile di esercizio realizzato e risultante da rendiconto non opposto è automaticamente distribuibile tra i soci, vantando in tal caso il socio un vero e proprio diritto di credito liquido ed esigibile; diritto non conculcabile neppure (a differenza che nelle società di capitali) per delibera maggioritaria (salvo che non sia l’atto costitutivo a prendere una diversa disciplina).
E’ nulla la clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo di una società di persone che, in difformità rispetto al dettato normativo di cui all’art. 34, co. 2 del d.lgs. n. 5/2003 ed anche se anteriore allo stesso, non attribuisca il potere di nomina degli arbitri ad un soggetto terzo, demandandone l’individuazione alle parti stesse.
Società occulta e onere della prova
Seppur la mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisca il presupposto indispensabile per l’esistenza di una società occulta, occorre sempre la partecipazione di tutti i soci all’esercizio dell’attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell’ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio “comune”, sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (art. 2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (art. 2270 e 2305 c.c.), l’unica particolarità della peculiare struttura collettiva “de qua” consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci) ma in nome proprio.
A tal fine, è quindi necessario provare l’unificazione della collettività dei soci (che si manifesta con l’attribuzione alla società di un nome, di una sede, di un’amministrazione e di una rappresentanza) e l’autonomia patrimoniale del complesso dei beni destinati alla realizzazione degli scopi sociali (che si riflette nell’insensibilità, più o meno assoluta, di fronte alle vicende dei soci e nell’ordine, più o meno rigoroso, imposto ai creditori sociali nella scelta dei beni da aggredire) e la distribuzione delle quote sociali.
Detta dimostrazione può derivare, oltre che da prove dirette specificamente riguardanti i suoi requisiti tipici (quali “l’affectio societatis”, la costituzione di un fondo comune, la partecipazione agli utili e alle perdite), anche da manifestazioni esteriori dell’attività di gruppo, quando esse per la loro sintomaticità e concludenza evidenzino l’esistenza della società anche nei rapporti interni.