Art. 2498 c.c.
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Non sono compromettibili in arbitri le controversie aventi ad oggetto diritti indisponibili
Il criterio distintivo tra diritti disponibili e indisponibili al fine dell’accertamento della possibilità di devolvere una controversia ad arbitri si fonda sull’incidenza o meno della stessa controversi non solo sui diritti dei soci, ma anche su di quelli di terzi, dovendosi in tal ultimo caso parlare di diritti indisponibili mentre nel primo caso di diritti disponibili. In caso di diritti disponibili l’interesse coinvolto è, pertanto, meramente privatistico, ovvero riferito ai componenti la sola compagine sociale, mentre nel caso di diritti indisponibili l’interesse coinvolto è di tipo pubblico, ovvero coinvolgente anche l’interesse dei terzi estranei alla compagine sociale, anche in ragione di violazione di norme imperative.
Le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio sono inderogabili in quanto la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento a prescindere dalla condotta delle parti e rende illecita, e quindi nulla, la delibera di approvazione. Ne consegue che non è compromettibile in arbitri la controversia relativa alla validità della delibera di approvazione del bilancio.
Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società, le quali sono nulle in relazione all’oggetto (illecito o impossibile) per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione, venendo in rilievo norme non solo imperative, ma dettate a tutela, oltre che dell’interesse dei singoli soci, dell’interesse collettivo dei soci e di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, e quindi riguardanti diritti indisponibili.
Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale di cui all’art. 2447 c.c., per violazione delle norme sulla redazione della situazione patrimoniale ex art. 2446 c.c., vertendo tale controversia, al pari dell’impugnativa della delibera di approvazione del bilancio per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione, su diritti indisponibili, essendo le regole dettate dagli artt. 2446 e 2447 c.c. strumentali alla tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche dei terzi.
Legittimazione attiva e interesse ad agire, in quanto condizioni dell’azione, devono essere posseduti da chi agisce in giudizio tanto al momento della proposizione della domanda quanto al momento della decisione. Il potere-dovere del giudice di decidere il merito della controversia dipende infatti, oltre che dalla legittimazione, dalla sussistenza di un interesse concreto e attuale in capo all’attore, in difetto del quale la domanda deve essere dichiarata inammissibile. Il difetto della qualità di socio in capo all’attore al momento della proposizione della domanda, o a quello della decisione della controversia, esclude di regola la sussistenza in lui dell’interesse ad agire per evitare la lesione attuale di un proprio diritto e per conseguire con il giudizio un risultato pratico giuridicamente apprezzabile. Tuttavia, all’ex socio devono essere riconosciuti legittimazione ed interesse ad impugnare la delibera in conseguenza della quale egli ha perso tale qualità. Infatti, la legittimazione viene riconosciuta eccezionalmente all’ex socio nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta: poiché in tal caso anche la stessa legittimazione dell’attore ad ulteriormente interferire con l’attività sociale sta o cade a seconda che la deliberazione impugnata risulti o meno legittima, sarebbe allora logicamente incongruo, e si porrebbe insanabilmente in contrasto con i principi enunciati dall’art. 24, co. 1, Cost. l’addurre come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.
Il socio ha dritto a una chiara, corretta e veritiera rappresentazione di bilancio anche in caso di perdita del capitale sociale e di azzeramento del valore economico della singola partecipazione.
Opposizione dei creditori alla trasformazione eterogenea
L’opposizione dei creditori alla trasformazione ex art. 2500 novies c.c., in deroga alla previsione generale di cui all’art. 2500 comma 3 c.c., differisce gli effetti della trasformazione eterogenea al decorrere dei 60 giorni dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari richiesti. Pertanto, la delibera di trasformazione è sottoposta alla condizione sospensiva della mancata opposizione da parte dei creditori. L’effetto sospensivo originato dalla presentazione dell’opposizione dei creditori non si produce laddove consti il consenso dei creditori o il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso.
La ratio del rimedio dell’opposizione dei creditori deve essere interpretata alla luce della natura prettamente modificativa della trasformazione, che non realizza alcun effetto novativo né di successione tra enti. Se quindi la trasformazione per il principio di continuità dei rapporti giuridici come enucleato nell’art. 2498 c.c. consente la continuazione dell’originaria attività dell’ente, con il medesimo patrimonio, ne consegue che il pregiudizio dedotto dal ceto creditorio va provato sulla base di un concreto pericolo di pregiudizio delle proprie ragioni sulla base di circostanze specifiche adeguatamente comprovate, non potendosi genericamente dolere dell’adozione di un modello societario più debole sotto il profilo della conservazione del patrimonio oppure per la perdita di un regime di responsabilità più vantaggioso per i creditori. Il fondamento dell’opposizione ex art. 2500 novies c.c. deve quindi essere ravvisato nella esigenza di conservazione della consistenza della garanzia patrimoniale generica costituita dal patrimonio della società trasformanda. Non vi è dubbio che il creditore possa lamentare una riduzione delle legittime aspettative di soddisfazione delle sue ragioni a causa del mutamento delle regole di governo e amministrazione o di salvaguardia del patrimonio della forma organizzativa di arrivo rispetto a quella rivestita dall’ente al momento della concessione del credito.
Il riconoscimento della trasformazione eterogenea come modificazione del contratto sociale consistente nel passaggio da un tipo ad un altro sancisce il definitivo superamento del limite dell’omogeneità causale ostativo alla trasformazione di enti non societari, liberalizzando il cd. mutamento “di scopo o di ente” idoneo a consentire ad organizzazioni che non hanno causa societaria a trasformarsi in società e viceversa.
La peculiarità della novella legislativa è stata quella di legittimare l’ampliamento della regola della continuità dei rapporti giuridici oltre il campo strettamente societario, superando consolidate posizioni dottrinali e giurisprudenziali sul punto.
Se allora la trasformazione realizza unicamente un mutamento della componente strutturale della fattispecie (societaria o meno) che può determinare anche un cambiamento dello scopo (da mutualistico a lucrativo, o da lucrativo a non lucrativo, a seconda dei casi), il pregiudizio patrimoniale dedotto dai creditori opponenti non può essere incentrato nel mero mutamento della disciplina conseguente alla trasformazione, dovendosi accertare se effettivamente la modifica delle regole di governo incida sulla garanzia patrimoniale del debitore.
Infatti, fermo restando che l’opposizione ha natura contenziosa dando origine, come nel caso in esame, ad un processo di cognizione nel quale occorre valutare la fondatezza dell’atto oppositivo, la legittimazione all’opposizione deve essere riconosciuta in caso di pericolo di pregiudizio, che deve essere motivato e valutato nel caso concreto, senza bisogno di provare che dalla trasformazione conseguirà un danno effettivo al creditore.
Il secondo comma dell’art. 2500 novies c.c., infine, con l’esplicito richiamo all’ultimo comma dell’art. 2445 c.c. come riformato, prevede che il tribunale possa rimuovere l’impedimento alla piena efficacia della trasformazione qualora ritenga che non sia fondato il “pericolo di pregiudizio” o rilevi che sia stata prestata idonea garanzia.