Art. 2530 c.c.
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Fallimento del debitore opponente nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo
Nell’ipotesi di dichiarazione di fallimento o liquidazione coatta amministrativa intervenuta nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal debitore ingiunto poi fallito o posto in liquidazione coatta amministrativa, il creditore opposto deve partecipare al concorso con gli altri creditori previa domanda di ammissione al passivo, attesa la inopponibilità al fallimento di un decreto non ancora definitivo e, pertanto, privo della indispensabile natura di sentenza impugnabile, esplicitamente richiesta dall’art. 95, co. 3, l.fall., norma di carattere eccezionale, insuscettibile di qualsivoglia applicazione analogica.
In tal caso, la domanda deve essere riproposta al giudice fallimentare, la cui competenza inderogabile prevale sul criterio della competenza funzionale del giudice che ha emesso l’ingiunzione e la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria, se proposta prima dell’inizio della procedura concorsuale, diventa improcedibile e tale improcedibilità è rilevabile anche d’ufficio, anche nel giudizio di cassazione, derivando da norme inderogabilmente dettate a tutela del principio della par condicio creditorum.
Nel caso di domanda riconvenzionale proposta in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo da un soggetto successivamente fallito nel corso del giudizio (interrotto e successivamente riassunto dal fallimento), deve essere dichiarata improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo, mentre il giudice adito rimane competente a conoscere della domanda riconvenzionale proposta dal fallito e riassunta dal fallimento.
Natura dell’autorizzazione al recesso del socio di società cooperativa
Le previsioni in ordine al recesso del socio dalla cooperativa dettate all’interno dello statuto costituiscono manifestazione della volontà negoziale ed è, quindi, rimesso alla libertà delle parti di definirne le modalità e il contenuto ovvero limitarlo o subordinarlo alla sussistenza di determinati presupposti o condizioni, quali ad esempio l’approvazione da parte del consiglio di amministrazione o dell’assemblea dei soci. Tali clausole attribuiscono un potere discrezionale ai suddetti organi, che non possono essere esercitati in modo arbitrario, né tradursi in un rifiuto a provvedere o in un diniego assoluto ed immotivato dell’approvazione, altrimenti tali decisioni sarebbero contrarie al principio di correttezza e si verificherebbe una sostanziale vanificazione del diritto di recesso, che non può essere reso eccessivamente gravoso.
La clausola che preveda la necessaria autorizzazione del consiglio di amministrazione non vale a rendere quest’ultima una accettazione contrattuale, dovendo la stessa qualificarsi, piuttosto, come una condizione di efficacia della dichiarazione unilaterale recettizia del socio; pertanto, in caso di inerzia dell’organo societario, risulta applicabile l’art. 1359 c.c., in virtù del quale la condizione si considera avverata, qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento. La necessità dell’autorizzazione non comporta, infatti, la trasformazione della fattispecie in un accordo, né all’ambito del quale la determinazione della società venga ad assumere la funzione di accettazione della proposta del socio, configurandosi pur sempre il recesso come un negozio unilaterale, corrispondente al diritto potestativo di uscire dalla società e di rinunciare a conservare lo stato derivante dal rapporto giuridico nel quale il socio è inserito e rispetto al quale la deliberazione del consiglio di amministrazione o dell’assemblea opera come condizione di efficacia.
Nelle cooperative edilizie aventi come scopo la costruzione di alloggi e l’assegnazione degli stessi in godimento e, successivamente, in proprietà individuale ai soci, i rapporti tra questi ultimi e la società sono di due specie: da un lato, quelli attinenti all’attività sociale, comportanti l’obbligo dei conferimenti e della contribuzione alle spese comuni di organizzazione e di amministrazione; dall’altro, i rapporti relativi alla peculiarità dello scopo perseguito, comportanti anticipazioni ed esborsi di carattere straordinario ai fini dell’acquisto del terreno, della realizzazione degli alloggi e così via. Mentre le contribuzioni del primo tipo rientrano fra i debiti di conferimento, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2530 c.c., e si ricollegano ad un obbligo che permane fino a quando persiste la qualità di socio (e, cioè, fino allo scioglimento della cooperativa, salvo il caso di recesso o esclusione del socio), non vi rientrano invece quelle del secondo tipo, perché non strettamente inerenti al rapporto sociale e destinate a gravare, in caso di uscita dalla cooperativa del socio che le ha fatte, sul socio che gli subentra e che acquista, in questo modo, l’aspettativa all’assegnazione dell’alloggio, con la conseguenza che le anticipazioni e gli esborsi effettuati dal socio non a titolo di conferimento e in relazione all’obbligo inerente alla partecipazione alle spese comuni di organizzazione e di amministrazione, ma per il conseguimento dei singoli beni o servizi prodotti dalla cooperativa, pongono il socio nella posizione di creditore verso quest’ultima, posizione che, una volta avvenuto lo scioglimento del rapporto sociale, si manifesta come diritto alla restituzione delle somme anticipate (sempre che, ovviamente, la proprietà dell’alloggio non sia stata nel frattempo conseguita e lo scopo sociale non sia stato raggiunto), non sottoposto – salva la possibilità di una diversa regolamentazione pattizia – alla disciplina legislativa relativa alla quota sociale.
Sullo scioglimento del rapporto sociale nell’ambito di una cooperativa edilizia
In caso di scioglimento del rapporto sociale nell’ambito di una cooperativa edilizia, è necessario distinguere i due rapporti esistenti tra la società e il socio e la sorte delle somme versate in ragione dell’uno o dell’altro rapporto. Infatti, nelle cooperative edilizie aventi come scopo la costruzione di alloggi e l’assegnazione degli stessi in godimento e, successivamente, in proprietà individuale ai soci, i rapporti tra questi ultimi e la società sono di due specie: da un lato, quelli attinenti all’attività sociale, comportanti l’obbligo dei conferimenti e della contribuzione alle spese comuni di organizzazione e amministrazione; dall’altro, i rapporti relativi alla peculiarità dello scopo perseguito, comportanti anticipazioni ed esborsi di carattere straordinario ai fini dell’acquisto del terreno, della realizzazione degli alloggi e così via.
La ragione di tale distinzione deriva dal fatto che mentre le contribuzioni del primo tipo (le contribuzioni alle spese comuni di organizzazione e di amministrazione) rientrano fra i debiti di conferimento e si ricollegano ad un debito che permane fino a quando persiste la qualità di socio, non vi rientrano quelle del secondo tipo (anticipazioni ed esborsi di carattere straordinario per realizzare lo scopo mutualistico), perché non strettamente inerenti al rapporto sociale e destinate a gravare sul socio che subentra e che acquista, in questo modo, l’aspettativa all’assegnazione dell’alloggio. Ne consegue che le anticipazioni e gli esborsi effettuati dal socio non a titolo di conferimento e in conseguenza dell’obbligo inerente alla partecipazione alle spese comuni di organizzazione e di amministrazione, ma per il conseguimento dei singoli beni o servizi prodotti dalla cooperativa, pongono il socio nella posizione di creditore verso la cooperativa, posizione che, una volta avvenuto lo scioglimento del rapporto sociale, si manifesta come diritto alla restituzione delle somme anticipate (sempre che, ovviamente, la proprietà dell’alloggio non sia stata nel frattempo conseguita e lo scopo sociale non sia stato raggiunto), non sottoposto, salva la possibilità di una diversa disciplina pattizia, alla disciplina giuridica relativa alla quota sociale.
Collocamento di azioni nel mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c. in tema di assistenza finanziaria
L’art. 2358 c.c., che prevede le condizioni che rendono possibile l’assistenza finanziaria, afferma nel suo principio generale un divieto che ha carattere imperativo, posto che detto divieto laddove non derogato in ragione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’assistenza finanziaria è chiaramente diretto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori della società. L’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento di capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento, non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari messi a disposizione della società.
Deve escludersi che le norme imperative la cui violazione comporta la nullità del contratto siano solo quelle che si riferiscano alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti. L’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, co. 1, c.c., è più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo, dovendosi ricomprendere in essa anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto, per cui ove il contratto venga stipulato, nonostante il divieto imposto dalla legge, è la stessa sua esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni ancora più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto. Ne consegue che, ove un collocamento di azioni avvenga nel mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c. e, quindi, in violazione del divieto di assistenza finanziaria, la sanzione comminabile sarà quella della nullità.
L’interesse preminente tutelato dal legislatore con l’art. 2358 c.c. è quello della società e dei creditori all’integrità del capitale sociale, interesse rilevante anche per le società cooperative per azioni.
Quanto alle banche costituite in forma cooperativa si rileva che la disciplina che limita le operazioni che possono mettere a rischio il capitale non può dirsi incompatibile con la finalità mutualistica propria delle cooperative, tanto che l’art. 2529 c.c. prevede una regolamentazione specifica in tema di acquisto di proprie azioni, pur non derogando espressamente alla disciplina delle altre operazioni vietate, quali quelle di assistenza finanziaria. Così non può dirsi incompatibile con la natura delle società cooperative la necessità di delibera assembleare autorizzativa ex art. 2358 c.c., posto che se è esclusivo compito degli amministratori l’ammissione di nuovi soci, non è possibile escludere di per ciò stesso la necessità di delibera assembleare per autorizzare gli amministratori a collocare azioni mediante l’operazione di assistenza finanziaria.
L’abrogazione dell’art. 9 d.lgs. 105/1948 – che prevedeva la possibilità per la società di accordare anticipazioni ai soci sulle proprie azioni entro i limiti stabiliti caso per caso dall’organo cui per legge era demandata la vigilanza sulle aziende di credito, limiti che non potevano in ogni caso eccedere il 40 % delle riserve legali – e il disposto dell’art. 150 bis t.u.b. – che indica espressamente quali norme del codice civile non si applicano alle banche popolari e non novera tra queste quella di cui all’art. 2358 c.c. – autorizzano a ritenere che sussista anche per le banche popolari il divieto di finanziare l’acquisto di proprie azioni secondo il paradigma dell’art. 2358 c.c.
Placet degli amministratori nella cessione di quote di cooperativa a r.l.
Nel giudizio di accertamento dell’insussistenza della qualità di socio in capo al cedente di quota sociale, il fatto che la comunicazione al c.d.a. contenente la manifestazione di volontà del cedente risulti priva di data certa non vale ad inficiare la validità della cessione perfezionata nel rispetto dell’iter delineato dall’art. 2530 c.c.
Qualora la delibera di autorizzazione della cessione sia stata dapprima revocata e poi invece ratificata, ai fini del suddetto accertamento negativo non assume rilievo la partecipazione del cedente alle assemblee intercorse tra la revoca del placet e la successiva ratifica.
Recesso dalle cooperative edilizie a r.l.
Il principio di parità di trattamento di cui all’art. 2516 c.c., pur dettato con riferimento alle fasi della costituzione e dell’esecuzione del rapporto mutualistico, deve essere rispettato, per opinione comune, anche nella fase di cessazione del rapporto.
Recesso del socio e legittimità della delibera di rigetto
Il recesso del socio di società cooperativa costituisce negozio unilaterale che lo statuto della società [ LEGGI TUTTO ]
Rifiuto del recesso esercitato dal socio di cooperativa
Il recesso del socio di società cooperativa costituisce negozio unilaterale che lo statuto della società può sottoporre alla condizione dell’approvazione del consiglio di amministrazione, con la conseguenza che, in caso di rifiuto di provvedere o di diniego assoluto ed immotivato, detta condizione si considera avverata, perché il suo mancato avveramento è dipeso da causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario. Una motivazione in ordine al diniego del recesso è necessaria in ragione della possibilità di esercizio di controllo giurisdizionale sulle ragioni del diniego medesimo.