Art. 3 d.lgs. 168 2003
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Incompetenza delle sezioni imprese per l’accertamento di un inadempimento contrattuale
L’azione volta ad accertare l’inadempimento di un contratto, anche se riferito ad attività di consulenza societaria [nel caso di specie, un mandato di consulenza in merito alla costituzione e quotazione di una socità], non è soggetta alla competenza della sezione imprese, alla luce della previsione dell’art. 3 del d.lgs. 27 giungo 2003, n. 168, come modificato dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni nella l. 24 marzo 2012, n. 27.
Incompetenza della sezione specializzata imprese in materia di società di persone
Ai sensi dell’art. 3, co. 2, d.lgs. n. 168/2003, la competenza delle sezioni specializzate è limitata alle società di capitali. Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nel caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni dell’ufficio giudiziario; deve di contro ritenersi che rientri nell’ambito della competenza in senso proprio la relazione tra la sezione specializzata in materia di impresa e l’ufficio giudiziario, diverso da quello ove la prima sia istituita.
L’adesione all’eccezione di incompetenza territoriale espressa da parte attrice ai sensi dell’art. 38 c.p.c. comporta l’esclusione di ogni potere del tribunale ordinario adito di decidere sulla competenza e conseguentemente di pronunciare sulle spese processuali relative alla fase svoltasi davanti a lui, dovendo provvedervi il giudice al quale è rimessa la causa.
Amministratore di fatto e competenza della Sezione Specializzata
Le domande risarcitorie relative alla responsabilità dell’organo amministrativo di una s.r.l., sia pure con riferimento ad una carica ricoperta senza formale investitura, rientrano nell’ambito della previsione dell’art. 3 lett. a) del d. lgs. 168/2003 laddove riserva alla competenza della sezione specializzata in materia di impresa le azioni da chiunque promosse contro i componenti dell’organo amministrativo. Afferma, al riguardo, la suprema corte che “Appartengono alla cognizione delle sezioni specializzate in materia di impresa, le azioni di responsabilità, da chiunque promosse, nei confronti degli amministratori di fatto di una società di capitali, dal momento che, da un lato, non vi sono ragioni per discriminare il caso della gestione di fatto di una società ai fini della definizione della competenza delle dette sezioni specializzate e, dall’altro, depone in tal senso la formulazione letterale dell’art. 3, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 168 del 2003, che, richiamando tutti i “rapporti societari”, va intesa come formula indicativa di una nozione generale e non quale espressione meramente riassuntiva delle peculiari ipotesi citate nel testo della medesima norma.” ( Cass. 2.8.2018 n. 20441).
La figura dell’amministratore di fatto delineata dalla giurisprudenza presuppone l’esercizio di attività di gestione dell’impresa continuativa e sistematica con autonomia decisionale e funzioni operative esterne di rappresentanza di cui sono indici sintomatici l’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive nei rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti attraverso il conferimento di deleghe o di ampie procure generali ad negotia in settori nevralgici dell’attività di impresa e la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria nell’inerzia costante e nell’assenza abituale dell’amministratore di diritto.
Ove non impugnata, la transazione stipulata tra l’amministratore e la società preclude l’esercizio di qualsiasi azione risarcitoria, anche a titolo di ripetizione di indebito, nei confronti dello stesso amministratore, anche ove siano avanzate censure di conflitti di interesse sull’operato dei soggetti coinvolti.
Acquisto a non domino di quota di s.r.l.
La disciplina di cui all’art 1153 c.c., che stabilisce che l’acquisto a non domino produce l’effetto del trasferimento della proprietà in capo all’acquirente in buona fede sulla base di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà, è applicabile anche con riferimento alla quota di s.r.l., una volta che il relativo atto di acquisto sia stato iscritto nel registro delle imprese consentendo all’acquirente in buona fede di conseguire il possesso della quota.
Oggetto del contratto di cessione di partecipazioni e competenza delle sezioni specializzate
Oggetto del contratto di cessione di partecipazioni societarie è la partecipazione in sé, ovvero il complesso dei diritti che la partecipazione medesima attribuisce in seno alla società (oggetto immediato), tanto che va escluso quale effetto naturale del contratto che il venditore sia obbligato a garantire l’effettivo valore patrimoniale della partecipazione ceduta. Tuttavia, un simile obbligo di garanzia può essere previsto dalle parti, di modo che l’acquirente possa dolersi del fatto che la partecipazione acquistata abbia valore difforme dal prezzo pattuito.
Ai fini dell’individuazione della competenza della Sezione Specializzata in Materia di Impresa, il riferimento ai “diritti inerenti”, contenuto nell’art. 3, co. 2, lett. b), del d. lgs. 168/2003, deve essere interpretato nel senso che tale norma allude anche ai diritti conseguenti agli atti di trasferimento delle partecipazioni sociali e a ogni altro negozio che le abbia ad oggetto, per cui la competenza in questione sussiste tutte le volte in cui la controversia abbia a oggetto non solo la validità e l’efficacia dell’atto di cessione della partecipazione sociale (ovvero i diritti sociali ad essa inerenti), ma anche il credito del venditore della partecipazione societaria al pagamento del relativo prezzo.
Natura e caratteri del patto leonino
Il patto leonino ricorre allorché gli accordi finalizzati all’esclusione del socio dalle perdite e dagli utili siano stati stipulati dai soci con la società, mentre il patto avente identico contenuto e finalità, ove stipulato inter socios, non è riconducibile nell’alveo del predetto divieto in quanto esso non sarebbe opponibile alla società rimasta ad esso estranea, la quale, per ciò, continuerebbe ad imputare perdite ed utili alle proprie partecipazioni sociali in base agli ordinari criteri e principi, nel rispetto anche del divieto de quo.
La ratio che informa il divieto del patto leonino di cui all’art. 2265 c.c., applicabile anche alle società di capitali, consiste nel preservare la purezza della causa societatis, evitando che un socio possa essere escluso dagli utili o dalle perdite; ipotesi questa che contrasta con l’interesse generale alla corretta amministrazione della società, inducendo il socio a disinteressarsi della proficua gestione della stessa, avendo comunque assicurato il guadagno o restando esonerato da ogni possibile perdita. Deve, quindi, trattarsi di un patto finalizzato alla regolamentazione degli assetti ed equilibri societari con conseguenti implicazioni anche di natura organizzativa/gestoria.
Il patto leonino è ravvisabile solo in presenza di una esclusione totale e costante dalle perdite e dagli utili e solo quando questa non integri una funzione autonoma meritevole di tutela. L’esclusione dalle perdite o dagli utili, quale situazione assoluta e costante, deve cioè riverberarsi sullo status del socio. Infatti, perché il limite all’autonomia statutaria dell’art. 2265 c.c. sussista è necessario che l’esclusione dalle perdite o dagli utili costituisca una situazione assoluta e costante. Assoluta, perché il dettato normativo parla di esclusione “da ogni” partecipazione agli utili o alle perdite, per cui una partecipazione condizionata (ed alternativa rispetto all’esclusione in relazione al verificarsi, o non della condizione) esulerebbe dalla fattispecie preclusiva. Costante, perché riflette la posizione, lo status, del socio nella compagine sociale, quale delineata nel contratto di società. Detta esclusione deve finire per alterare la causa societaria nei rapporti con l’ente-società, che trasla, quanto al socio interessato da quell’esonero dalla condivisione dell’esito dell’impresa collettiva, da rapporto associativo a rapporto di scambio con l’ente stesso.
Il patto parasociale, in forza del quale taluni soci si impegnano ad eseguire prestazioni a beneficio della società, integra la fattispecie del contratto a favore di terzo, ai sensi dell’art. 1411 c.c., del quale sono legittimati a pretendere l’adempimento sia la società, quale terzo beneficiario, sia i soci stipulanti, moralmente ed economicamente interessati a che l’obbligazione sia adempiuta nei confronti della società di cui fanno parte.
Una domanda avente ad oggetto l’adempimento di obbligazioni nascenti da patti parasociali coinvolgenti società di capitali, e diretti, in generale, a disciplinare, inter alia, profili di natura organizzativa e gestoria della società partecipata, la circolazione delle relative partecipazioni e, quindi, l’assetto e la struttura della compagine sociale, nonché, a dotare quest’ultima delle necessarie risorse finanziarie, introduce una controversia, oggettivamente e soggettivamente, riconducibile a quelle per le quali la competenza è, ope legis, riservata, in via esclusiva funzionale ed inderogabile, ratione materiae, alle sezioni specializzate in materia di impresa, in virtù del disposto di cui all’art. 3, lett. c, d.lgs. n. 168/2003, il quale, tra le controversie attribuite alla competenza funzionale ed inderogabile delle sezioni specializzate in materia di impresa, include espressamente quelle “in materia di patti parasociali”.
Patti parasociali atipici e competenza delle sezioni specializzate
L’art. 3, co. 2, lett. c), del d.lgs. n 168/2003 contempla una nozione più ampia di patto parasociale di quella configurata dall’art. 2341 bis c.c., stabilendo che, al fine di radicare la competenza della sezione specializzata, rilevano anche i patti diversi da quelli regolati dall’articolo 2341 bis c.c. e, quindi, anche quelli atipici.
La causa identifica lo scopo pratico del negozio, ovvero la sintesi degli interessi divisati dalle parti, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato. L’accertamento della causa in concreto non può, dunque, prescindere dall’apprezzamento degli interessi che il contratto è destinato a realizzare, quali emergono dalle circostanze obiettive pregresse, coeve e successive alla sua conclusione.
Cancellazione della società e fenomeno di tipo successorio nei confronti dei soci
Ai sensi degli artt. 2490 e 2495 c.c., qualora all’estinzione della società di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione
I beni immobili già di proprietà della società estinta ed ancora intestati a quest’ultima nei registri immobiliari diventano di proprietà esclusiva, pro quota, dei soci della cessata società.
Incompetenza in relazione alla risoluzione di un contratto di cessione di quote di società estera
Ai sensi dell’art. 3 d.lgs. n. 168/2003 rientrano nella competenza della sezione specializzata di impresa i procedimenti e le cause relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti. Gli anzidetti procedimenti giudiziari rientrano, però, nella competenza delle sezioni specializzate in materia d’impresa solo relativamente ai tipi di società espressamente contemplati dalla norma. Non è sufficiente il semplice fatto di aver tra le parti una delle predette società, ma tali società devono costituire l’oggetto, anche indiretto delle controversie rimesse alle sezioni specializzate di impresa. Il medesimo secondo comma dell’art. 3 contiene espresso riferimento alle società di capitali regolate dal codice civile, alle società europee e società cooperative europee, disciplinate dal diritto comunitario (di cui al Regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, e di cui al Regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003). Un’eccezione a quanto fin qui illustrato ricorre nei casi in cui la società costituita all’estero, le cui partecipazioni sono oggetto di trasferimento, abbia in Italia una stabile organizzazione ovvero nei riguardi di società che esercitano la direzione ed il coordinamento o sono sottoposte alla direzione ed al coordinamento di tali società. Dal secondo comma dell’articolo 3 d.lgs. 168/2003 si evince, pertanto, che le sezioni specializzate sono competenti relativamente alle stabili organizzazioni nel territorio dello stato delle società costituite all’estero per le cause e i procedimenti relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali. Per le società costituite all’estero ciò che radica la competenza delle sezioni specializzate è esclusivamente l’esercizio dell’attività economica compiuta nel territorio dello stato.
Ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente a conoscere della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, ai sensi dell’art. 20 c.p.c., occorre avere riguardo al luogo in cui doveva essere eseguita l’originaria obbligazione il cui inadempimento viene dedotto a sostegno della domanda, per tale dovendosi intendere l’obbligazione fondamentale e primaria derivante dal contratto, e non anche eventuali obbligazioni accessorie e strumentali o quelle derivate e sostitutive, quali le domande restitutorie o di risarcimento del danno.
Sul difetto di competenza delle sezioni specializzate nelle cause aventi ad oggetto la declaratoria di nullità delle operazioni baciate
L’art. 3 del d.lgs. n. 168/2003, come modificato dal d.l. n. 1/2012, convertito in l. n. 27/2012, attribuisce alla competenza distrettuale delle sezioni specializzate in materia di impresa le controversie relative ai rapporti societari, con relativa elencazione esemplificativa, e le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali od ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti. Detta competenza si determina in relazione all’oggetto della controversia, dovendo sussistere un legame diretto di questa con i rapporti societari e le partecipazioni sociali, riscontrabile alla stregua del criterio generale del petitum sostanziale, identificabile in funzione soprattutto della causa petendi, per la intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio. Così, la lettura della citata norma deve rispettarne lettera e ratio, concorrenti nell’indicarne la corretta interpretazione e che si concretano, da un lato, nell’esistenza di una controversia relativa a rapporti societari ed a partecipazioni sociali e, dall’altro, nel rilievo di situazioni rilevanti sulla vita sociale, sia pure in senso ampio, con riguardo quindi non solo alle vicende di governo interno, ma anche alla persona del singolo socio, nei suoi rapporti con la società, con gli organi societari o con gli altri soci. Quando, di converso, nessuna questione la controversia coinvolga che sia relativa ad un rapporto societario, l’interpretazione razionale della disposizione induce ad attribuire la controversia medesima al giudice non specializzato. La partecipazione azionaria si presta, a seconda dei casi, a costituire lo strumento per esprimere le diverse possibili motivazioni dell’investimento azionario, ora volto ad una funzione propulsiva nell’impresa ed ora, invece, ad un ruolo essenzialmente finanziario del socio, la cui partecipazione in società resta un mero investimento, con sostanziale indifferenza alla dialettica assembleare, organo che diventa la sede delle istanze dei creditori-investitori rispetto alla maggioranza che la governa, con la conseguenza che in queste ipotesi le controversie che avessero ad oggetto la partecipazione azionaria rientrerebbero nel novero di quelle devolute al tribunale delle imprese.
Di converso, non sussiste la competenza della sezione specializzata qualora sia introdotta controversia non avente come precipuo oggetto, individuato in ragione del petitum e della causa petendi, un rapporto di natura societaria tra socio e società, benché si invochi la violazione dell’art. 2358 c.c., bensì la invalidità di contratti di finanziamento asseritamente collegati ad acquisti azionari, ove cioè l’acquisto delle azioni e la relativa titolarità non rileva quale partecipazione effettiva alle dinamiche societarie dell’impresa, così come non rileva come espressione di un ruolo anche semplicemente finanziario del socio.