Art. 3 legge 244 2007
3 risultati
Procedimento di dismissione delle partecipazioni non più detenibili dagli enti pubblici e determinazione del valore della quota
Al fine di tutelare la concorrenza ed il mercato, gli enti locali non possono mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in società aventi per oggetto le attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali. In caso di mancata alienazione mediante la procedura ad evidenza pubblica entro il termine indicato dall’art. 1, co. 569 della Legge 147/2013, si verifica una sorta di decadenza ope legis della partecipazione con il conseguente obbligo, per la società, di procedere alla liquidazione all’ente del valore delle quote o delle azioni in base agli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2437 ter, co. 2 c.c.. Si tratta di un procedimento di dismissione delle partecipazioni che non può essere configurato come esercizio del diritto di recesso, il quale, diversamente, presuppone l’espressione di una volontà abdicativa legata all’interruzione del rapporto societario.
Il rinvio alla disciplina dell’art. 2437-ter c.c. è limitato esclusivamente ai criteri da utilizzare per individuare il valore della partecipazione da liquidare al socio uscente. Il procedimento di liquidazione della quota deve essere fissato al momento della cessazione di diritto della partecipazione, non potendo accollare al socio uscente gli effetti di scelte strategiche maturate quando ormai il socio non fa più parte di diritto della compagine societaria. Vista l’incompatibilità con il procedimento ordinariamente disciplinato dal diritto societario per addivenire alla liquidazione del socio e dovendo prescindere da una valutazione dell’assemblea sociale della partecipata circa le modalità attuative più idonee della scelta di dismissione dell’ente, non è consentita l’applicazione del procedimento ex art. 2437 quater c.c.
Cessazione e liquidazione delle partecipazioni pubbliche ritenute “non strategiche”
Natura del rapporto di amministrazione e sua cessazione per dimissioni del consiglio.
Anche a voler condividere l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’applicazione della clausola simul stabunt simul cadent deve avvenire nel rispetto del principio generale della buona fede, affinché possa ipotizzarsi un diritto al risarcimento dell’amministratore per la sua decadenza dall’ufficio conseguente l’applicazione di tale clausola, l’amministratore ha l’onere di provare [ LEGGI TUTTO ]