Art. c.c.
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Liquidazione della partecipazione detenuta da amministrazione pubblica e domanda di condanna
Non può essere accolta la domanda di condanna al pagamento del valore della partecipazione per cui sia stato esercitato il recesso ai sensi dell’art. 24 TUSP, se l’ente pubblico partecipante non si rende espressamente disponibile al trasferimento in favore della società delle azioni di cui è titolare o non chiede l’emissione di una pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c.
Il testo di una delibera assembleare la quale preveda – in senso univoco – la mera approvazione da parte dell’organo assembleare, che si è espresso a maggioranza, di un piano economico-finanziario, non comporta la diretta assunzione implicita da parte dei soci in sede assembleare di uno specifico impegno a versare la quota fissa relativa ad un precedente contratto stipulato correntemente giunto a scadenza. Per l’assunzione di un siffatto impegno è richiesta una ulteriore manifestazione di volontà negoziale da parte di ciascun socio uti singulus.
Il bilancio nelle s.r.l. e le modalità di dazione di denaro da parte del socio alla società
L’art. 2429, co. 3, c.c., applicabile anche alle s.r.l., secondo il quale il progetto di bilancio deve restare depositato in copia nella sede della società nei quindici giorni che precedono l’assemblea, attribuisce a tutti (e soltanto) i soci un diritto soggettivo perfetto alla preconoscenza del fascicolo di bilancio. Essa è volta a consentire una più informata, e quindi adeguata, espressione di voto al riguardo, tanto che il bilancio deve rimanere consultabile fino alla sua intervenuta approvazione anche il giorno stesso della riunione. Costituisce quindi in materia, nel bilanciamento fra l’interesse a una celere approvazione del bilancio e quello dei soci a conoscere in modo approfondito tale fondamentale snodo documentativo della gestione sociale, un presidio informativo inderogabile, tale per cui il deposito stesso e il suo termine quindicinale di durata a ritroso può essere compresso soltanto ove tutti i soci espressamente vi acconsentano. In caso di contestazione da parte di un socio dell’adempimento di tale obbligo, spetta alla società provare di avervi invece assolto.
Varie sono le modalità di dazione di denaro da parte del socio alla società, ciascuna munita di una propria causa concreta, onde dalla relativa qualificazione discendono conseguenze eterogenee rilevanti e il giudice del merito deve verificarne la natura, attraverso un’analisi volta a individuare la causa del negozio intervenuto fra socio e società. Le diverse figure in cui la dazione del socio includono i conferimenti, i finanziamenti dei soci, i versamenti a fondo perduto o in conto capitale e i versamenti finalizzati a un futuro aumento di capitale. Decisiva nella qualificazione della dazione di un socio è l’interpretazione della volontà delle parti, occorrendo, in particolare, accertare se si sia trattato di un rapporto di finanziamento riconducibile allo schema del mutuo o di un contratto atipico di conferimento, e, in quest’ultimo caso, se esso sia stato, in modo inequivoco, condizionato o no, nella restituzione, a un futuro aumento del capitale nominale della società, indagine che può tener conto di ogni elemento del caso concreto capace di svelare la comune intenzione delle parti e gli interessi coinvolti, tenendo conto del fatto che l’onere di provare la natura di finanziamento è dell’attore che agisce per la restituzione.
Il capitale sociale può essere eliso dalle perdite solo dopo l’assorbimento delle riserve, che vengono intaccate dalle perdite sulla base di un ordine successivo: dalla riserva meno vincolata e più disponibile alla riserva più vincolata e meno disponibile, qualificazione che tiene conto del grado di facilità con cui la società stessa potrebbe deliberarne la destinazione ai soci. Se il capitale sociale ha un grado di indisponibilità maggiore di quello relativo alle riserve legali, le riserve statutarie e quelle facoltative create dall’assemblea sono liberamente disponibili; pertanto, devono essere utilizzati, nell’ordine, prima le riserve facoltative, poi quelle statutarie, indi quelle legali e, da ultimo, il capitale sociale. Si tratta di principio posto a tutela di un interesse generale, che trascende quello del singolo socio, essendo dettato, in particolare, a protezione dell’affidamento che i terzi abbiano fatto sulla consistenza del capitale sociale, che, perciò, non può essere intaccato prima che siano state esaurite le altre voci del patrimonio stesso.
L’azione del socio verso l’amministratore nelle società di persone
Nelle società di persone, pur in assenza di apposita disposizione, è configurabile una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società, in termini sostanzialmente analoghi a quanto prevede, in materia di società per azioni, l’art. 2395 c.c.
La natura extracontrattuale ed individuale dell’azione del socio è fondata sull’art. 2043 c.c. in applicazione analogica dell’art. 2395 c.c., ed esige che il pregiudizio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente recati al patrimonio sociale, ma che si tratti di danni direttamente causati al socio come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori.
Il socio di società di persone ha facoltà di agire nei confronti dell’amministratore per la mancata presentazione del rendiconto da parte dell’amministratore e la conseguente mancata percezione degli utili da parte dei soci non amministratori.
Finanziamenti atipici e responsabilità degli amministratori di cooperativa per aggravamento del dissesto
L’impiego di risorse finanziarie nuove, ancorché destinato a copertura dei debiti scaduti o in scadenza, non implica sempre ed automaticamente la presenza di una situazione di insolvenza, e cioè di stabile e tendenzialmente irreversibile incapacità dell’impresa di far fronte alle proprie obbligazioni con strumenti normali, né può far presumere, da solo, la presenza di una riduzione del patrimonio tale da rendere necessaria, in assenza di apposita ricapitalizzazione, la messa in liquidazione della società. La percezione di somme a titolo di anticipi salvo buon fine in eccedenza rispetto al dovuto, che realizza una forma atipica e irrituale di finanziamento, può sì essere accompagnata dall’insolvenza o dalla perdita del capitale sociale, ma ciò rappresenta soltanto una possibilità.
La rilevanza del comportamento successivo delle parti nell’interpretazione del contratto
La mera riconsegna all’acquirente dell’assegno bancario ricevuto dal venditore per il pagamento del prezzo di un contratto di compravendita di partecipazioni sociali non è di per sé sufficiente a provare l’esistenza di un successivo accordo di compensazione volontaria, al quale le parti nelle loro intese [nel caso di specie si trattava di un accordo di regolazione delle conseguenze della crisi coniugale] non hanno fatto testualmente alcun cenno.
In tema di interpretazione del contratto, infatti, il criterio ermeneutico del comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto ex art. 1362 c.c. ha rilievo meramente sussidiario e, pertanto, di esso non può tenersi conto quando la volontà effettiva dei contraenti risulta chiara dal senso letterale delle parole.
[Essendo pacifico il mancato incasso dell’assegno e, di conseguenza, l’inadempimento dell’obbligo di pagamento del prezzo delle partecipazioni sociali, il Tribunale ha risolto il contratto di compravendita e condannato l’acquirente a restituire la quota al venditore].
Società professionistiche affiliate alla FIP e responsabilità solidale degli amministratori
L’art. 142, comma 2, del Regolamento Organico (Reg. Org.) della Federazione Italiana Pallacanestro (FIP), il quale prevede che “in caso di scioglimento, di revoca della affiliazione o di mancato rinnovo della affiliazione, delle obbligazioni assunte dalla Società verso la FIP e i suoi Organi, le Società e i terzi affiliati o tesserati rispondono altresì in solido tra loro il Presidente o Legale Rappresentante della Società e i membri del Consiglio Direttivo”, si applica esclusivamente alle società affiliate FIP che operano nel settore dilettantistico, ma non alle società operanti nel settore professionistico.
In caso di scioglimento e di messa in liquidazione delle società affiliate FIP che operano nel settore professionistico si applicano invece, come testualmente previsto dall’art. 142, comma 3, Reg. Org. FIP, le norme del codice civile in materia. Ai sensi dell’art. 127, comma 3, Reg. Org. FIP, le società affiliate FIP che operano nel settore professionistico devono necessariamente essere organizzate nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata; pertanto, non risultano configurabili, per le società professionistiche, eccezioni rispetto al regime ordinario di natura civilistica di separazione fra patrimonio societario e patrimonio personale degli amministratori. Infatti, un regolamento di una federazione sportiva di per sé non può comportare una deroga alle norme fondanti la responsabilità civilistica delle società di capitali e dei suoi amministratori, senza che il singolo abbia espresso un impegno chiaro ed esplicito all’assunzione di determinate e specifiche obbligazioni che comportino una responsabilità ulteriore, di maggior ampiezza, rispetto a quanto previsto e prescritto dallo statuto normativo delle società di capitali.
Sull’onere della prova nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di società cooperativa
Nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una società cooperativa, incombe sulla società – che, pur se formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore – l’onere di provare i fatti posti a fondamento dell’atto ed in base ai quali risulti adottata la deliberazione impugnata, senza poter invocare in giudizio, a sostegno della legittimità medesima, fatti distinti e diversi, ancorché potenzialmente idonei a giustificare l’interruzione del rapporto societario.
Truffa contrattuale e annullamento del contratto per dolo
Azione di responsabilità: costituzione in mora e giudizio d’appello
Ai fini della valida costituzione in mora idonea ad interrompere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno nei confronti dei membri degli organi sociali, non è necessaria l’individuazione degli specifici addebiti né la distinzione tra le posizioni dei diversi amministratori e sindaci, ma è sufficiente, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto.
La parte appellante che intenda censurare l’interpretazione fornita dal primo giudice ai documenti prodotti dalla parte vittoriosa, laddove quest’ultima non si sia costituita in appello e tali documenti non siano stati perciò acquisiti nel relativo giudizio mediante la produzione del fascicolo di parte, ha l’onere di produrli, estraendone copia ai sensi dell’art. 76 disp. att. c.p.c.; in caso contrario, il giudice di secondo grado non può esaminarli e, di conseguenza, gli è preclusa la verifica della fondatezza dei motivi d’appello connessi alla valutazione di quei documenti.
Risulta viziata da ultrapetizione la sentenza di primo grado che abbia condannato un amministratore al risarcimento dell’intero danno, in solido con gli altri membri degli organi sociali convenuti, senza al contempo limitarne la responsabilità all’importo indicato dall’attore stesso nell’atto di citazione, quale ammontare del danno imputabile a quell’amministratore.
La natura della clausola di earn-out e la conseguente insussistenza di un obbligo legale di rinegoziazione.
Le clausole di earn-out sono clausole atipiche di fonte esclusivamente convenzionale: pertanto, essendo originate dall’esercizio dell’autonomia privata delle parti ed in assenza di diretti riferimenti normativi, devono essere interpretate dal Giudice nel rigoroso rispetto del regolamento d’interessi trasfuso dalle parti nella disciplina contrattuale, in applicazione dei principi ex artt. 1362 ss. c.c. Ciò trova, peraltro, un ulteriore riscontro nella natura ontologicamente aleatoria del meccanismo stesso dell’earn-out, alla stregua del quale l’an e il quantum dell’obbligazione di pagamento del segmento di prezzo supplementare sono influenzati dal verificarsi di condizioni o eventi incerti, specificatamente individuati dalle parti nell’accordo di cessione parziale o totale di partecipazioni sociali, al verificarsi dei quali opera tale clausola.
Nel caso di specie, con riferimento all’avveramento di un rischio espressamente preso in considerazione dalle parti nella formulazione di una clausola di earn-out inserita in un Accordo Quadro relativo alla cessione di partecipazioni in una società a responsabilità limitata, il Tribunale ha rilevato l’insussistenza di un obbligo di rinegoziazione della suddetta clausola ex artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c., non essendo tale obbligo testualmente previsto dal contratto. Dunque, illegittima è apparsa la richiesta di parte attrice di invocare l’inadempimento di un obbligo legale di rinegoziazione del contratto al solo fine di sottrarsi al fisiologico verificarsi di una delle condizioni al cui verificarsi è subordinata l’operatività della clausola di earn-out. [Nello specifico, la clausola di earn-out concerneva la possibilità – poi effettivamente realizzatasi – per una delle parti di farsi riconoscere una somma significativamente minore rispetto a quella originariamente pattuita nella suddetta clausola, mediante un successivo accordo transattivo con le controparti pubbliche e secondo termini non manifestamente irragionevoli né contrari a buona fede].