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Francesco Carelli

Francesco Carelli

Avvocato presso lo Studio Legale BonelliErede in Milano - Laurea cum laude in Giurisprudenza presso l'Università Bocconi - Laurea Magistrale in Economia e Legislazione d'Impresa presso l'Università degli studi di Pavia.

30 Luglio 2024

Perfezionamento della notifica e inammissibilità delle prove prodotte per la prima volta in appello

Il momento di perfezionamento per il destinatario della notificazione eseguita con le formalità dell’art. 140 c.p.c. è la data del ricevimento della raccomandata informativa e, in ogni caso, la data di decorrenza del termine di dieci giorni dalla relativa spedizione; pertanto, in sostanza per la verifica dell’epoca di perfezionamento della notifica è necessario avere riguardo alla scadenza del termine di dieci giorni dalla spedizione della raccomandata informativa o alla data del ricevimento della stessa se anteriore. Fermo restando il fatto che, ai fini della valida ed effettiva conclusione del procedimento notificatorio, è sempre necessaria la prova dell’avvenuta ricezione da parte del destinatario della raccomandata informativa, essendo anche il perfezionamento della notificazione ex art. 140 c.p.c. nei confronti del destinatario costruito come fattispecie a formazione progressiva ove l’effetto provvisorio di perfezionamento alla data della spedizione della raccomandata informativa si consolida con l’effettivo ricevimento della stessa. Per il deposito in appello di documenti già prodotti nel primo grado, la parte è onerata di dimostrare che gli stessi coincidono con quelli già presentati al primo giudice in osservanza degli adempimenti prescritti dagli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c. In difetto, è precluso al giudice dell'impugnazione l'esame della produzione, senza che rilevi la mancata opposizione della controparte, non trattandosi di salvaguardare il principio del contradditorio sulla prova, bensì di assicurare il rispetto della regola, di ordine pubblico processuale, stabilita dall'art. 345, co. 3, c.p.c. [ Continua ]
29 Luglio 2024

Le irregolarità contabili non necessariamente creano un pregiudizio alla società

Sono privi di fondamento gli addebiti di responsabilità formulati nei confronti dell’amministratore convenuto nell'azione sociale di responsabilità, sotto il profilo della prospettazione del danno sofferto, in ragione delle presunte irregolarità contabili in misura pari alla somma di debiti intenzionalmente dissimulata e costituente un deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, in quanto il deterioramento della situazione patrimoniale non deriva dalle irregolarità contabili in sé ma dallo squilibrio finanziario eventualmente connesso all’ammontare del debito sommerso e la falsità della rappresentazione contabile, sicuramente pericolosa per i terzi creditori e fornitori dell’impresa o per i terzi acquirenti delle partecipazioni dei soci, posto che le irregolarità contabili non necessariamente creano un pregiudizio alla società. [ Continua ]
29 Luglio 2024

Querela di falso

È priva di fondamento la querela di falso proposta dalla società avverso una firma che il pubblico ufficiale non ha mai specificamente attribuito al suo legale rappresentante. La questione relativa alla mancata indicazione nella relata di notifica dell’identità e qualità della persona che ha ricevuto l’atto è estranea al giudizio di falso, potendo al più integrare una causa di nullità della notificazione, che è compito del giudice della causa di merito accertare. [ Continua ]
9 Settembre 2024

Azione di responsabilità verso i liquidatori e i soci di s.r.l.

Poiché ai sensi dell'art. 2495, co. 3, c.c., a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese e della sua estinzione, i soci possono essere chiamati a rispondere nei confronti dei creditori esclusivamente nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, nulla sarà dovuto da loro anche se nel corso delle operazioni di liquidazione siano stati rimborsati agli stessi dei finanziamenti da loro effettuati in precedenza, a nulla rilevando che questi potessero avere natura postergata, giacché ciò che rileva ai fini della successione dei soci nei debiti della società a seguito dell’estinzione di quest’ultima è esclusivamente la percezione di somme all’esito dell’approvazione del bilancio finale di liquidazione. È negligente la condotta del liquidatore che, nel corso delle operazioni di liquidazione, rimborsa ai soci finanziamenti che devono considerarsi postergati ai sensi dell’art. 2467 c.c. in quanto effettuati  in un momento in cui vi era un eccessivo squilibrio tra l’indebitamento e il patrimonio netto e, comunque, quando la situazione finanziaria avrebbe consigliato un conferimento. Ai sensi dell’art. 2476, co. 8, c.c. nella s.r.l. i soci possono essere chiamati a rispondere in solido con gli amministratori per gli illeciti gestori compiuti da questi ultimi soltanto laddove i soci medesimi abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi così come si prevede il concorso di responsabilità dei soci per gli illeciti gestori compiuti dai liquidatori, posto che a questi ultimi si applicano le stesse norme degli amministratori in punto di responsabilità (art. 2489, co. 2, c.c.). Tale responsabilità è, tuttavia, ricollegata all’approvazione o all’autorizzazione di singole operazioni contrarie ai doveri di diligenza compiute dall’amministratore o dal liquidatore, che chi agisce in giudizio ha l’onere di individuare e allegare specificamente. [ Continua ]
9 Settembre 2024

Divieto di assistenza finanziaria e nullità contrattuale

Il divieto per la società per azioni di accordare prestiti e di fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni di cui all’art 2358 c.c. è applicabile anche alle società cooperative per azioni in quanto l’interesse preminente tutelato dal legislatore è quello della società e dei creditori all’integrità del capitale sociale, interesse rilevante anche per questo tipo di società. Tale disciplina trova applicazione altresì con riferimento alla fattispecie delle obbligazioni convertibili. Il divieto de quo, laddove non derogato in ragione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’assistenza finanziaria espressamente previste dall'art. 2358 c.c., è diretto a tutelare l’effettività del patrimonio sociale e a garantire la tenuta del sistema. L’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento al tempo dell’acquisto/aumento di capitale, ponendo in buona sostanza divieto per quelle operazioni di finanziamento o di garanzia attraverso le quali si può arrivare al risultato di depatrimonializzazione la società fino al suo svuotamento patrimoniale, dovendo il patrimonio essere costituito da risorse vere e non ad elevato rischio di essere vanificate. L’operazione realizzata in violazione dell’art. 2358 dà luogo all’inosservanza di una norma imperativa di grado elevato, qual è quella tesa a tutelare interessi di sistema. Pertanto, il mancato rispetto del divieto, ove difettino le condizioni stabilite dalla legge, produce la nullità, ex art. 1418 c.c., dell’operazione di assistenza finanziaria nel suo complesso. Tuttavia, per aversi una nullità negoziale, occorre che vi sia un collegamento di natura negoziale tale per cui, in virtù dei patti intercorsi, vi sia una erogazione della provvista da parte della banca effettuata in favore degli acquirenti precisamente per l’acquisto dei titoli. [ Continua ]
3 Settembre 2024

Il socio di fatto nelle società di capitali. L’atto costitutivo non è interpretabile secondo l’intenzione dei contraenti

La società di fatto si ha quando la costituzione del rapporto non risulta da una prova scritta e questa non sia richiesta dalla legge ai fini della validità del rapporto sociale. Se è così, non è predicabile l’esistenza della figura del socio cofondatore o del socio di fatto all’interno di una società si capitali, giacché il legislatore richiede per la costituzione di questa tipologia di enti e per l’acquisto della qualità di socio delle formalità e delle attività che non sono surrogabili per fatti concludenti. Le formalità imposte per la costituzione della società e per l’acquisto della qualità di socio sono richieste per ragioni di certezza del traffico giuridico e di tutela dei terzi. Tipo e scopo sociale, una volta compiute le formalità di legge, sono quelle che emergono dal sistema di pubblicità, con la conseguenza che l’atto di costituzione dell’ente non può più essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti e resta consacrato nei termini in cui risulta iscritto ed è portato a conoscenza dei terzi: le esigenze di tutela di questi ultimi assumono dunque prevalenza e rendono irrilevante la fase negoziale che ha dato luogo alla nascita del nuovo soggetto giuridico, che vive di vita propria, agisce e risponde dei propri atti in via autonoma, quale che sia stata la volontà dei soci sottostante alla formazione del contratto. L’amministratore di fatto è un istituto concepito al fine di estendere il regime di responsabilità civile e penale previsto per gli illeciti gestori degli amministratori di diritto al soggetto che, pur senza rivestire formalmente tale qualità, si ingerisca con una certa stabilità e continuità nella gestione della società. L’amministratore di fatto non ha alcuna aspettativa giuridicamente tutelata alla conservazione della sua carica, in quanto è privo di una formale investitura proveniente dall’assemblea e, in assenza di tale adempimento, non è nemmeno logicamente configurabile una revoca ai sensi dell’art. 2383 c.c. [ Continua ]
19 Aprile 2024

Azione individuale del socio e prova del danno in caso di operazioni di ricapitalizzazione

Nessun danno subisce il socio dalla perdita della partecipazione sociale priva di valore in una società operante a patrimonio netto negativo. Le condotte degli organi sociali riconducibili all’alterazione dei dati contabili non possono avere incidenza causale sulla genesi del danno da perdita della partecipazione sociale quando questo derivi dalle perdite maturate dalla società nell’esercizio dell’attività di impresa. Affinché possa configurarsi un danno nei confronti del socio ai sensi dell'art. 2395 c.c., è necessario che l'ostacolo all’esercizio da parte del socio del diritto di opzione mediante compensazione del credito da finanziamento iscritto a bilancio gli abbia precluso la partecipazione a una ricapitalizzazione effettivamente necessaria, che avrebbe riportato la società a operare in condizioni di equilibrio economico e finanziario. In mancanza del prospettato rifiuto da parte dell’amministratore di consentirle la compensazione nei limiti del credito da finanziamento socio riconosciuto in bilancio non può ritenersi imputabile agli organi sociali la mancata sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte del socio, essendo la mancanza della liquidità necessaria a provvedervi evento riferibile solo a quest'ultimo. [ Continua ]
19 Aprile 2024

Responsabilità dell’amministratore per operazioni compiute in conflitto d’interessi

Il regime della responsabilità dell’amministratore delineata dall’ordinamento non ha valenza meramente sanzionatoria della violazione formale degli obblighi e doveri derivanti dalla carica, ma richiede che dalla loro comprovata inosservanza sia derivato alla società un effettivo pregiudizio economico. La conclusione di contratti di fornitura da parte della società con una società terza facente parte di un contratto di associazione in partecipazione con un'altra società di cui l'amministratore della prima è amministratore e socio unico non costituisce operazione in conflitto d'interessi, in quanto è da escludere che un interesse economico indiretto così vagamente prospettato possa rilevare ai fini della configurazione in concreto di un conflitto di interessi tra l’amministratore e la società rappresentata che, come noto, presuppone un contrasto tale tra gli obiettivi perseguiti da non consentire al soggetto che agisce di soddisfare l’uno senza sacrificare l’altro. [ Continua ]
18 Aprile 2024

Sulla legittimazione del singolo componente del CdA a impugnare la delibera assembleare di s.p.a.

Il potere, riconosciuto agli amministratori di s.p.a. dall’art. 2377, co. 2, c.c., di impugnare le deliberazioni dell'assemblea della società che non siano state prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo, spetta al CdA e non agli amministratori individualmente considerati, atteso che tale potere è attribuito per la tutela degli interessi sociali, e dunque richiede una deliberazione dell'organo incaricato di detta tutela, il quale, nella società retta da un consiglio di amministrazione, si identifica, appunto, nel consiglio, e non nei singoli componenti di esso. Una legittimazione del consigliere di amministrazione all'impugnazione della delibera assembleare può sussistere qualora questi venga immediatamente leso in un suo diritto dalla delibera stessa: il singolo componente del CdA è legittimato a impugnare per l’annullamento esclusivamente la decisione dell’assemblea che abbia leso la sua posizione individuale. L’elenco delle materie da trattare all’ordine del giorno dell’assemblea deve essere redatto in modo sintetico e comprende, quindi, anche argomenti impliciti, presupposti, conseguenziali o accessori rispetto a quelli specificamente previsti [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che nel punto dell’o.d.g. relativo a “Revoca deleghe e poteri attribuiti all’amministratore delegato. Determinazioni” fosse implicita la discussione sulla decadenza dell’amministratori, poiché l’argomento non sarebbe di competenza dell’assemblea ove la revoca delle deleghe non dipendesse a monte da una causa di cessazione dell’amministratore delegato dalla carica gestoria]. [ Continua ]
17 Gennaio 2024

Il nesso di causalità tra informazione al mercato e danno da investimento

Non è configurabile un danno da investimento quando l'emittente abbia fornito tutte le informazioni ad esso relative, seppure ad alta tecnicità, e queste fossero complete e idonee a consentire al singolo investitore di orientare le proprie decisioni di investimento rispetto al rischio dell’operazione. Restano dunque a carico del piccolo investitore i rischi connessi ad operazioni rispetto alle quali l’emittente il titolo ha reso le necessarie informazioni, seppure connotate da alta tecnicità: l’eventuale tutela si colloca invero in un altro segmento contrattuale, ossia rispetto all’intermediario sul quale necessariamente deve appoggiarsi. Sussiste una presunzione di nesso di causalità tra la scelta di investimento/disinvestimento e l’informazione data al pubblico dall’emittente; la presunzione è suscettibile però di prova contraria se si dimostra e risulta dagli atti del processo, anche alla luce delle condotte tenute dall’investitore successivamente al disvelamento della informazione decettiva, l’irrilevanza delle informazioni date al mercato in rapporto alla scelta concreta dell’investitore specifico. Pertanto, se in virtù di convinzioni autonome gli investitori - anche dopo il disvelamento del vero - hanno inteso non dismettere i precedenti investimenti e, anzi, hanno continuato ad acquistare azioni anche a distanza temporale sensibile dall’acquisizione delle corrette informazioni, non può sussistere un nesso di causalità con l'eventuale successiva perdita, in quanto la perdita lamentata non può essere causalmente derivata dalle carenze informative denunciate. [ Continua ]