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La mancata reiterazione in sede di udienza di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti conclusivi della domanda di condanna al risarcimento del danno, originariamente formulata nell’atto di citazione dalla società e dal socio nei confronti degli amministratori giudiziali e degli amministratori sociali, comporta l’abbandono della domanda medesima, giacché le parole “accertare la responsabilità al risarcimento del danno” nell’ambito di un atto processuale civile non possono assumere il valore semantico di “condanna al risarcimento del danno”. Sicché, la totale assenza di un esplicito riferimento all’interesse ripristinatorio e recuperatorio del danno lamentato nelle difese conclusive attoree evidenzia una sopraggiunta volontà di proporre unicamente una domanda di mero accertamento della responsabilità dei convenuti e non, anche, quella di condanna.
Se il diritto inizialmente dedotto in giudizio è di tipo risarcitorio, non è oggettivamente apprezzabile un sopraggiunto interesse alla sola affermazione della responsabilità senza condanna al risarcimento stesso. È, infatti, inammissibile per difetto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. la domanda di mero accertamento della responsabilità per danni formulata dalla società e dal socio nei confronti degli amministratori giudiziali e degli amministratori sociali atteso che il mero accertamento della responsabilità rispetto ad un diritto risarcitorio, non è idoneo a consentire agli attori stessi di conseguire un vantaggio giuridicamente concreto e oggettivamente valutabile. Tale diritto, infatti, può essere soddisfatto solo con un'azione recuperatoria risarcitoria dove l'accertamento della lesione e la quantificazione del danno causalmente collegato alla condotta dei convenuti costituiscono elementi della fattispecie di responsabilità risarcitoria.
[ Continua ]La materia dei contributi che i consorziati devono versare al consorzio e quella dell’impugnazione di deliberazioni consortili e, più in generale, le vicende che investono i rapporti consortili con riguardo a consorzi non costituiti in forma societaria, non rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 3 ex D. Lgs. n. 168/2003, né per espressa previsione normativa né per analogia, stante la disciplina tipica prevista dagli artt. 2602 e ss. c.c.
L’eventuale ampliamento della competenza della Sezione Specializzata viene in rilievo solo nel caso in cui sia sottoposta al suo esame almeno una materia rientrante nell’art. 3 di cui sopra.
[ Continua ]In virtù del disposto dell’art. 2392 c.c. e della natura contrattuale della responsabilità degli amministratori nei confronti della società, in osservanza degli ordinari canoni probatori che sovraintendono il processo civile, grava sulla società attrice l’onere di dimostrare la sussistenza di due indefettibili condizioni: la violazione dell’obbligo di adempiere con la necessaria diligenza gli obblighi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo a tutela della compagine sociale nonché l’esistenza di un danno causalmente imputabile al comportamento negligente posto in essere dagli amministratori stessi. Più precisamente grava sulla società attrice sia l’onere di provare, giusta l’art. 2697 c.c., la violazione dei doveri e degli obblighi di derivazione pattizia o legale connessi alla assunzione dell’incarico da parte dell’amministratore, sia l’esistenza di precipue voci di danno eziologicamente riconducibili alla inosservanza dei suddetti obblighi e doveri.
[ Continua ]Non sussistono motivi ostativi all'assunzione, da parte del socio accomandante, della qualifica di amministratore provvisorio ex art. 2323 secondo comma c.c. Non appare, infatti, meritevole di seguito quell'orientamento giurisprudenziale negativo che fa leva sulla (assoluta) incompatibilità tra qualifica di accomandante e assunzione di funzioni gestorie nell'ambito della società, atteso che proprio l'art. 2323 c.c. introduce una parziale deroga al divieto di immistione di cui all'art. 2320 c.c., ammessa nella sola eccezionale ipotesi in cui la società sia rimasta senza accomandatari e con le limitazioni (temporali e contenutistiche) previste dal medesimo articolo. D’altro canto la stessa affermazione secondo cui “l'amministratore provvisorio non assume la qualità di accomandatario” ha un senso soltanto con riferimento all'accomandante che è nominato a tale carica. Ad opinare diversamente, occorrerebbe concludere che la norma imponga, di necessità, la nomina ad amministratore provvisorio di un soggetto estraneo alla compagine sociale: soluzione che non appare convincente, avuto riguardo alla natura personalistica della società in accomandita semplice ove l'intuitus personae assume primario rilievo. Va da sé che, ove l'accomandante-amministratore provvisorio non dovesse rispettare le limitazioni di cui sopra, tornerebbe ad applicarsi la norma generale ex art. 2320 c.c.
[ Continua ]Ai fini del superamento della situazione prevista dall'art. 2484 n. 3 c.c., è sufficiente l'approvazione formale del bilancio da parte dell'assemblea, non essendo, per contro, consentito al Tribunale in sede di volontaria giurisdizione andare a sindacare, neppure in via incidentale, la validità della deliberazione stessa (cfr. Trib. Roma decr., 14 novembre 2016). Ciò posto, al Tribunale è consentito un controllo di tipo qualificatorio in ordine alla riconducibilità, sulla base dei requisiti estrinsechi del documento portato all'attenzione del giudicante, ad una deliberazione assembleare che abbia approvato una qualche proposta posta all'ordine del giorno: infatti, un conto è sindacare la validità sostanziale della deliberazione, altra cosa è prendere atto che una delibera, in quanto tale, sia stata effettivamente assunta dall'assemblea. Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale, in sede di volontaria giurisdizione, ben può analizzare il contenuto del verbale per valutare se l’organo assembleare sia concretamente giunto all’approvazione del bilancio.
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